giovedì 15 ottobre 2009

MITOLOGIA COMPARATA - Fiori di melo, tempo di spose... again!

I casi fortunati capitano, specie se la mente vacilla e la memoria non è più quella di una volta. Così accade che pensavo di aver trovato, e postato a Voi, vaste masse, tutti gli episodi mitici che collegavano delle mele, spesso d'oro, ai matrimoni di dei o eroi. Tutti i riferimenti contenuti nei libri letti (non su Internet, orrore per i bardi!) durante la mia carriera di onesto appassionato di mitologia.

E invece basta una connessione che non vuole arrivare, un libro lasciato sulla scrivania accanto al pc, sfogliare a caso... Il libro è quello di Brian Branston, intitolato "Gli dei del Nord", che spesso è stato ri-consultato e usato nei post dedicati ai miti norreni. La pagina è la 276, il capoverso il quarto. Non cercavo certo il mito delle nozze di Frey, che ricordavo solo per la spada data come dote (o forse no). Eppure una rapida lettura ed ecco la sorpresa: un nuovo episodio, letto oltre quindici anni fa e finito nei remoti meandri della mente, chissà se divorato dai Langolieri del cervello, che riemerge, e ancora una volta, ci dà un segnale del legame tra mele e nozze!

La storia in breve: Frey è figlio di Njordhr, di cui abbiamo parlato più volte. Frey è il giovane campione dei Vanir, ma in quel momento si trova ad Asgard, non è chiaro se prima o dopo che la guerra in cielo portò lui, il padre Njordhr e la sorella Freya a vivere definitivamente assieme agli Aesir, come pegno della pace tra i due popoli divini dopo quel conflitto. Sta di fatto che Frey riesce a salire sull'Alto Seggio di Odino, Hlidhskjalf, e da lì osserva tutto il mondo. La sua attenzione viene attirata dalla luce emessa da Gerdhr, figlia del gigante Gymir, e subito se ne innamora. Ma l'unione tra i due non poteva essere approvata né dai Giganti, né tantomeno da Aesir e Vanir (e neppure dagli elfi, ci specifica lo Skìrnirsmàl, opera della prima metà del X secolo).

Frey deperisce e si chiede in una muta malinconia, finché il padre gli manda Skìrnir, un amico d'infanzia del figlio: a lui Frey racconta la sua infelice passione e gli chiede di fare da intermediario, rintracciare la donna e portargliela, anche se il padre di lei fosse stato contrario. Skìrnir chiede che Frey gli ceda il suo "cavallo che corre nell'oscurità", per compiere il viaggio, e la sua celebre spada che combatteva da sola, ma non è chiaro se la voglia per se o per offrirla a Gymir come dono di nozze.
Sta di fatto che, dopo un viaggio periglioso, Skìrnir arriva a casa di Gymir, e viene ricevuto da Gerdhr... e a questo punto offre alla gigantessa undici mele d'oro in cambio del matrimonio con Frey. Gerdhr rifiuta questo dono, così come l'anello Draupnir che appartiene a Odino e che ogni notte produce magicamente otto sue copie. Gerdhr cederà solo quando Skìrnir passerà a minacciarla di scagliare maledizioni sempre più terribili se la gigantessa non acconsentirà alle nozze.
Dopo nove giorni ci sarà l'incontro tra Frey e Gerdhr, e il matrimonio sarà celebrato. Ma la magica spada è perduta per lo sposo, e Frey la rimpiangerà quando, il giorno del Ragnarokkr, il Crepuscolo degli dei, dovrà affrontare a mani nude Surtr, il Gigante del Fuoco: Frey verrà annichilito da Surtr che così potrà dare alle fiamme il cielo.

Ancora una volta ci troviamo un episodio che vede le mele come offerta di nozze: Branston ipotizza che si tratti delle mele di Idhunn, le mele che possono dare l'eterna giovinezza, le stesse mele che abbiamo visto all'origine del mito delle nozze tra Njordhr e Skadhi.
Casualmente un altro matrimonio tra uno dei Vanir e una gigantessa...

Una breve nota
Malinconia per malinconia, causata forse dall'amore. Amici di infanzia chiamati per capire cosa tormenti il giovane erede... Sì, ok, la ricorrenza delle trame narrative è ormai assodata, ma una reminiscenza di questa storia non può forse ritrovarsi nella vicenda di Amleto e in Rosenkrantz e Guilderstern? Sì, è vero, non c'è un padre da vendicare e uno zio usurpatore.
Però se pensiamo che dietro Amleto, secondo Santillana e von Dechend (nel volume "Il Mulino di Amleto"), si nasconde l'antica divinità nordica di nome Amlodhi...

domenica 11 ottobre 2009

MITOLOGIA COMPARATA \ GO(D)Ssip - Fàcce ridere!

Gli dei ridono? Pare di sì.
Ma non parleremo di giustizia poetica somministrata ad incauti mortali, di raffinate risate intellettuali, nè della risata tonante di Tulkas quando discese su Arda, come narra il Silmarillion di J.R.R. Tolkien.

Vi racconterenmo di come gli dei conoscano (e apprezzino) la risata becera, da avanspettacolo, quella che nasce dalle allusioni sessuali o dall'esibizione delle proprie parti intime.
Qui non intendiamo spiegare i motivi psicologici che conducono a quello straordinario moto di riso che coinvolge (quasi) tutti noi, anche perchè siamo al massimo umili mitografi (la Mater Dejanarum ci perdoni per tale professione di umiltà): ci basta segnalare qualche episodio che mostri come anche gli dei, lungi dall'essere bacchettoni, fossero sensibili a quegli stessi stimoli che poi furono uno dei pezzi forti nella Commedia Attica Antica di Aristofane.

Partiamo dalla Grecia, dunque. Una terra che aveva un dio preposto al sarcasmo (Momo), lungi dagli ideali di Winckelmann di serenità e compostezza "apollinea", lasciava spazio anche alla risata discinta e scomposta: ci piacerebbe dire "dionisiaca", un valore universale e fondamentale.
La storia è ben nota in alcune sue parti: Ade, signore del regno dei Morti, si innamora di Persefone, la rapisce in Sicilia (è questo il mito all'origine della fuitina?), e la porta con sè sotto terra.
La madre di Persefone, Demetra, dea delle messi mature, va alla ricerca della figlia, e tutta la natura deperisce. La dea madre è inconsolabile: pensa solo alla figlia scomparsa, ed erra ovunque, in lacrime; una roccia su cui si sedette per riposare, divenne nota come la "Pietra senza Gioia".
Giunge finalmente a Eleusi, accompagata dal piccolo Iacco, il dio che in seguito avrebbe guidato i cortei dei Misteri Eleusini.
Due sono a questo punto le versioni: la prima dice che la dea entrò nella reggia di re Celeo e Metanira. Qui delle vecchie sono sedute, immaginiamo nella sala del focolare centrale, la accolgono, come sempre si accoglieva lo straniero in quelle terre. Le vecchie la vedono triste, cercano di consolarla, ma la dea non risponde agli incoraggiamenti, perchè troppa tristezza alberga nel suo animo.
Allora la serva Iambe, figlia di Pan e della ninfa Eco, inizia a scherzare, componendo poesie secondo quel metro chiamato, appunto "Giambico", che sarà poi tipica delle poesi di insulto più o meno divertenti (meno per chi le riceveva, ovvio). E la dea finalmente ride.
La seconda versione (ma Robert Graves, nei suoi "Miti Greci" la mescola alla prima) narra di come Demetra si fermò a casa di Baubò, moglie di Disaule. La donna offrì alla dea in lacrime una minestra d'orzo profumata alla menta, ma Demetra, troppo addolorata anche per mangiare, la rifiutò. Allora Baubò, per distrarre la dea o per manifestare il suo disappunto, si sollevò la veste e... mostrò alla dea il posteriore. Poi finse di avere le doglie, si sdraiò per terra e da sotto le gonne tirò fuori Iacco, come se lo avesse appena partorito. Il dio balzò in grembo alla madre e la baciò.
A questo punto la dea rise, accettò la minestra e la natura ebbe una breve ripresa proprio grazie alla risata di Demetra: la dea insegnò a Trittolemo, figlio di Baubò e Disaule i misteri dell'agricoltura.
Secondo altri Trittolemo era invece figlio di Celeo e Metanira, e Baubò sarebbe stata la sua balia.

Nella lontana e fredda terra dei Vichinghi, chi può avere meno voglia di ridere di una gigantessa delle montagne appena orfana, gonfia di desiderio di vendetta, e che per la propria precipitazione ha preso come marito non il dio più bello, ma un marinaio che di montagna non ne vuole proprio sapere?
Stiamo parlando, ancora un volta di Skadhi, e della sua richiesta di guidrigildo per la morte del padre Thjazzi, ucciso dagli dei di Asgard, gli Aesir.
Altrove abbiamo narrato del concorso di bellezza maschile istituito per ricompensare la gigantessa della morte del padre, ma tra i patti che dovevano riportare la pace tra Skadhi e gli Aesir, era incluso anche che gli dei del Nord dovessero far ridere la gigantessa.
Una "missione impossibile", appunto: abbiamo appena descritto la tutt'altro che favorevole disposizione d'animo della gigantessa... ma Skadhi non aveva fatto i conti con Loki.
Un bel tipo, Loki: in grado, per pura cattiveria, di far morire il dio più buono che esistesse, di partorire il destriero di Odino dopo essersi trasformato in cavalla femmina (!!!), di travestirsi da damigella nuziale (!!!!) e flirtare con un gigante, o di fare uno scherzaccio come tagliare i capelli dorati di Sif.
Loki era stato uno dei motori della vicenda che aveva portato alla morte di Thjazzi, e ora toccava a lui trovare la soluzione!
Loki inventa qualcosa di assurdo, di paradossale, qualcosa pieno di umorismo greve e pecoreccio, ci verrebbe da dire: fissa l'estremo di una corda alla barba di un caprone e l'altro capo... ai propri testicoli.
Così, quando il caprone si muove, Loki urla di dolore e dà uno strattone; questo strattone tira la barba del caprone, che bela per il male che gli fa, e tira a sua volta...
Va bene: se cerchiamo di immedesimarci in Loki, non è che ci sia tanto da ridere in questo dolore alternato. Ma uno dei principi della risata becera è proprio che ci divertono le cose assurde e dolorose capitate agli altri!
Dopo un po' che il giochetto del tiro alla corda continuava, Loki (come Iacco) salta in grembo a Skadhi, al che ella si fece una grande risata: la riconciliazione tra lei e gli Aesir era cosa fatta.

Una breve nota letteraria...
Lungi da noi impelagarci nella disputa sull'origine della Commdia Attica Antica e dei suoi legami con i canti osceni, e sulla teoria di un rapporto di magia simpatica tra esibizione della sessualità e fertilità del suolo da stimolare.
Ci basta ricordare come nell'Italia prima di Roma esistessero i fescennini, canti osceni che poi ebbero influsso sul teatro di Plauto, e come, cosa che farà storcere il naso a chi ama la "commedia borghese" o quella "impegnata", la tradizione della "volgarità comica" si estende da allora fino ai nostri tempi: i suoi ultimi epigoni sono la commedia scollacciata dei film anni '70, gli spettacoli del Bagaglino e i vari sequel di Porky's e American Pie.
Se poi fra duemila anni, American Pie diverrà il mito fondante di un culto...

sabato 3 ottobre 2009

MITOLOGIA CINESE - Figli della pietra


In un precedente post abbiamo narrato la vicenda di Ullikummi, nato da un rapporto tra il padre Kumarbi e una pietra di diorite. Ma non è l'unico eroe mitloogico a essere nato da uuna roccia.

Nella lontana Cina, si racconta di Yu il Grande, uno dei primi imepratori della Cina: di lui alcuni dicono che sarebbe nato dalla pietra (o da un cavallo divino), ma tutti concordano che suo figlio nacque da una roccia.

Si racconta che, dopo aver creato i canali che fecero defluire le acque del grande diluvio, Yu decise di prendere moglie. Una volpe bianca con nove code lo condusse da una ragazza: si trattava della figlia di T'u-chan, la montagna di terra.
L'unione fu felice, ma la sposa ignorava la divinità del marito.

Mentre la donna era incinta, Yu proseguì la sua opera di scavo di nuovi canali, e per velocizzare il lavoro, si trasformò in orso.
Quando la donna vide l'orso, fuggì terrorizzata, e il suo terrore aumentò quando l'animale la inseguì... ovviamente per fermarla e cercare di spiegare ciò che accadeva. La donna alla fine crollò esausta e si trasformò in pietra.
Inorridito, Yu salì sulla roccia, vi bussò sopra e le ordinò di consegnargli suo figlio. Il masso si aprì in due, e ne venne fuori il figlio di Yu, che fu chiamato Chi.
Divenuto adulto, Chi aiutò il padre nella sua opera di canalizzazione, uccidendo i mostri che erano apparsi durante la grande alluvione. Divenuto veccchio, Chi fu eletto imperatore dopo il padre, dando così l'avvio alla Prima Dinastia del Celeste Impero: la dinastia Xia.