Capanèo, il bestemmiatore. Contro la Porta di Elettra. Ma Polifonte, e soprattutto Zeus, non permetteranno che un empio salga impunemente sulle mura di Tebe. Il Terzo Girone del Settimo Cerchio (!) dell'Inferno lo attende.
ESPLORATORE
Che
gli dei gli diano buona sorte!
Capanèo
sta contro le porte Elettre: è un gigante, questi, assai più grandi
del primo.
Minaccia
orrori contro queste torri... Ahimè, che la sorte, non li realizzi!
Dice che abbatterà la città, che lo voglia o non lo voglia il Dio;
e dice che non lo potrà trattenere neppure se la stessa ira di Zeus
piombi davanti a lui. Ha per insegna un uomo nudo che porta fuoco:
per arma tra le sue mani arde una torcia: e le lettere d'oro dicono:
incendierò Tebe.
Manda
contro quest'uomo... - Oh!, chi potrà stargli di fronte? Chi
aspetterà senza tremare questo eroe tracotante?
ETEOCLE
Il
vantaggio si aggiunga al vantaggio: perché per gli uomini la lingua
sincera è accusatrice dei temerari. Capaneo minaccia, si prepara
all'opera offendendo i Celesti, e follemente ha la la lingua
sfrenata, e lui, mortale, scaglia frasi sonanti e burrascose contro
il cielo.
Bene,
io confido che col fuoco la folgore piomberà sopra lui.
Un
uomo si pianta contro lui, che è parco di parole, ma il suo cuore
sfolgora: il gagliardo Polifonte, a nostra difesa: Artèmide lo
assiste benevola e con lei tutti gli dei.
Ora
dimmi chi è stato preposto alle altre porte.
(Da Eschilo, I sette a Tebe, mia riduzione per l'incontro di Mitika - I Labdacidi del 27\01\2013)
ps: immagine e testo originale non sono mie! Questo blog non ha alcun fine di lucro
Riesce a combinare nello
stesso album testi e musiche da strapaese (“L'uomo vivo”) a
riferimenti dotti, marcette a musichette, organo e corale al
Rebetiko.
Con a volte dissonanze,
teremin, metrica “creativa”, canto a tenore, tarantella e chi più
ne ha più ne metta.
Vinicio Capossela è in
grado di dare ai suoi ascoltatori, al suo pubblico, ai suoi convitati
alla festa pagana, diversi livelli di lettura.
Come facevano gli antichi
aedi.
Il suo (pen)ultimo album,
“Marinai, profeti e balene” è denso di canzoni ambientate nel
mondo del mito, ma già alcuni brani di opere precedenti (uno su
tutti: “Brucia Troia”) esploravano le potenzialità del recupero
del mito.
Ma “Brucia Troia” ha
un testo talmente complesso che un suo tentativo di esegesi fa
tremare i polsi: per il momento è il caso di non bruciare, ma
“riscaldarsi” con canzoni in apparenza più semplici.
Partiamo, quindi da
“L'aedo”, brano tratto, appunto, dal secondo CD di “Marinai,
profeti e balene”.
L'aedo canta e intanto la
memoria
Si versa sopra agli occhi
Il dono che
Gli dà luce dentro
Lo fa cieco di fuori
L'aedo è cieco, come da
tradizione, come lo era Demodoco alla corte di Antinoo, re dei Feaci.
Come lo era, per tradizione, Omero. Come lo era Tiresia, il profeta
(cui è dedicato un altro brano dell'album).
Perché l'aedo e il
profeta vedono oltre l'apparenza. La loro è una seconda vista,
destinata a rilevare ciò che conta davvero, ciò che va oltre
l'apparenza della luce del sole, per scoprire che “niente è nuovo
sotto il sole” (Qoelet, ma anche il brano “Non trattare”).
E del nostro aedo, Vinicio
ci ricorda che “la memoria” gli dà “la luce dentro” ma “lo
fa cieco di fuori”.
La memoria è una parola
chiave. Si discute tra gli studiosi se i rapsodi, i “successori”
degli aedi, recitassero materiale tradizionale e ormai immodificabile
o potessero ancora innovare, mentre è assodato che gli aedi
prendessero il materiale orale e lo modificassero nelle loro
esibizioni.
La seconda parola
dell'Iliade non è forse “canta”?
Omero invoca la dea, la
Musa perché canti al poeta ciò che il poeta canterà agli uomini.
Il poeta come tramite tra lo spirito divino e l'umanità che ascolta,
idea che arriverà fino a Dante, alla cantica del Purgatorio.
Ma la madre delle Muse è
Mnemòsine, “la memoria”.
Canta la storia
Come ci fosse stato
Come se avesse visto
Prima di essere nato
Ah Ah, soffrilo e poi
impara
L'aedo, ispirato dalla
dea, narra il vero, come se l'avesse visto e vissuto. Visto nella sua
mente ispirata dal dio o dalla dea, appunto.
Un vero poetico, a volte,
che può apparire diverso da altre verità già proclamate altrove da
altri cantori. Ma il mito è fluido nella materia e nel linguaggio,
non è chiuso nell'illusione della rigida fissità delle scienze
“dure”.
Il mito può cambiare,
rivelare ciò che non era mai stato detto prima: “La vera istoria
di Turpin ragiona” di una “novella nota a poca gente \ Perché
Turpino istesso la nascose”: è Matteo Maria Boiardo nella prime
ottave dell'Orlando Innamorato (4 e 3, rispettivamente), intento a
riscrivere il mito di Orlando.
La verità del mito è
sempre tale: anche se le diverse versioni sembrano a volte opposte,
ciascuna di loro è miticamente vera.
E poi Capossela ci dice:
“soffrilo e poi impara”.
Da dove nasce questo
messaggio? La saggezza che deriva dalla sofferenza, così come Zeus
ha stabilito... Nientemeno che il coro dell'Agamennone, la prima
delle tragedie della Trilogia dell'Orestea, una delle vette più alte
della produzione umana.
Vinicio ha studiato, è
chiaro, e ha studiato bene.
L'aedo incanta
E mentre tesse il testo
In sala sorse il pianto
Il verso versa
E toglie alla morte
Chi viene cantato
Chi aveva orecchie, chi
poté sentire
Ritrovò la sua vita,
com'era e com'è stata
Ah, soffrilo e poi impara
Ah, e imparalo a cantare
Pathos mathos
L'incantesimo dell'aedo è
forse diverso da quello del bardo del Nord?
No, certo.
L'ascoltatore si immerge
in un mondo in cui il vero stolto è chi non si fa ingannare, come
avrebbe detto Herr Nietzsche. Un incantesimo che fa risorgere anche
dalla morte, che eterna. I guerrieri che lottano per avere
l'immortalità dei canti. Il giudizio del bardo è il vero scopo
dell'impresa dell'eroe: solo lui può dare continuità a una vita che
è destinata a finire. Achille scelse una vita breve, ma che sarebbe
stata cantata nei secoli.
Il “tessere il canto”
è una metafora tipica del canto degli antichi. Sulla base di un
passo di Pindaro si suppone che il termine “rapsodo” venga dal
verbo greco “raptein”, “cucire”: il rapsodo sarebbe il
“cucitore di canti”, dunque.
Ma la metafora è meno
“umana” di quanto si potrebbe sospettare: le Norne del Nord e le
Parche dell'assolata Ellade tessevano la vita di ogni uomo. Il poeta,
dunque, “tesse” una vita non meno reale, non meno importante e
vera di quella preparata con arte dalle dee.
Chi piange nella sala
mentre l'aedo tesse il testo? Un semplice spettatore?
Uno, Nessuno e centomila,
verrebbe da dire. Perché il più famoso dei canti degli aedi,
l'abbiamo detto, è narrato da Omero nell'Odissea: il cieco Demodoco
canta alla presenza di uno straniero della Lite tra Odisseo e Achille
e dell'Inganno del Cavallo, e lo straniero piange. Perché l'aedo ha
fatto tornare in vita alcuni che non ci sono più, ma uno è
sopravvissuto.
E lo straniero si rivela:
è Odisseo\Ulisse, Nessuno... l'eroe ritrova la sua vita nel canto
del poeta. Da Nessuno ritorna l'eroe Ulisse, bello di fama e di
sventura. Col canto, Odisseo ritrova la sofferenza della vita, e con
essa la sua giustificazione.
Un re tradito
Che ritrovò il ritorno
Nascosto di stracci
Portò la strage in sala
L'aedo disse
Nel silenzio di morte
A chi lo giudicava
O re potente come ho
cantato loro
Ora canterò di te
Qui Capossela sogna ciò
che disse l'aedo nella sala del fuoco. Ecco che Ulisse, il re tradito
dai principi della sua isola, che troppo presto lo vollero già
morto, torna, nascosto dagli stracci come narrò Omero.
Nascosto, come Hàrun
Ar-Rashìd girava camuffato per la Baghdad del mito, delle Mille e
Una Notte, per “l'ardore... a divenir del mondo esperto, e de li
vizi umani e del valore” (Dante, Commedia, Inferno, Canto XXVI).
E fatta la sua
indagine, da mendicante Ulisse diviene un angelo sterminatore, il
vendicatore di sé stesso. La sala fu piena di strage, ma tra i pochi
che si salva, c'è anche Femio il cantore: come aveva già detto alla
madre, Telemaco ripete al padre che l'aedo aveva cantato
malvolentieri per i Proci.
“Non
hanno colpa i cantori, ma Zeus è in qualche modo il responsabile:
Zeus che dà agli uomini, come vuole lui, il bene e il male a
ciascuno” (Odissea, I).
L'aedo
che canta è dunque Femio?
La
risposta ce la dà lo stesso Vinicio Capossela, facendo parlare
Ulisse.
E disse quello
Che tu viva per sempre
E dentro il tuo canto
Io viva con te
Ah, soffrilo e poi impara
Gli Dei soltanto
Ci filano sventure
Per dare gloria al canto
E il canto dice nascosto
nel tempo
Con voce di pietra:
"Siamo due coste di
rupe
Aspettiamo un terremoto
Per unirci di nuovo
In un solo canto"
Ah, soffrilo e poi impara
Ah, e imparalo a cantare
Pathos mathos
Capossela si vede dunque
come un aedo moderno? Un uomo che, ispirato dal dio, canta non più
in un megaron ma in uno stadio, in un tempio, in un teatro?
Domanda di difficile
risposta...
Non chiedete all'aedo di
cantare di sé. Chiedetelo alla Dea che lo ispira.
Alcune piccole note
Solo per chiarire: quando
ho sentito per la prima “L'uomo vivo”mi sono detto: “Ma cosa si
è bevuto prima?” (Vinicio sembra amare il mostrarsi come un
personaggio che adora il buon, vecchio, cirrotico alcool, piuttosto
che esibire dipendenze più rockettare).
Poi l'ho sentita in
concerto.
Una potenza.
La gente cantava, ballava,
si gettava “di qua, di là, di su, di giù” (come da testo),
entrava in estasi bacchica. Incredibile.
Da allora ogni volta che
ascolto un brano di Capossela non immediatamente “figo dal punto di
vista del primo ascolto” (si veda ad esempio “Il gigante e il
mago”, per me), aspetto il tour per vederlo in scena: aspetto il
live, che per qualche brano è il luogo deputato alla vera fruizione.
E non ne vengo deluso.
Perché l'aedo ha bisogno
di un pubblico presente: nessuna magia agisce davvero a distanza.
PS: testo, video e immagini non
sono di mia proprietà! Questo blog non ha alcuna finalità di
guadagno.
Che cosa trema dentro di me? Sento un peso
insopportabile. Cos'è questo cancro che mi devasta il ventre? Il mio petto geme ma non è mio, questo gemito. Venite qua, figli, venite. Vi chiama il vostro
misero padre. Fuggirà, questa angoscia, se vi vedo. Da dove mi stanno parlando?
ATREO
Preparati all'abbraccio, padre. Sono qui! (Mostrandogli le teste dei figli) Non li
riconosci?
TIESTE
Riconosco il fratello.
(Seneca, Tieste, riduzione mia per il Laboratorio del Teatro Impossibile)
PS: sì, lo so che la canzone parla di "Compagni d'armi" più che di fratelli, ma che ci posso fare? In fondo anche i Knopfler hanno litigato! E mi piaceva questa canzone per il ritorno di Tieste a casa...
Ti
dirò dei nemici, dirò, perché lo vidi bene, quale porta ciascuno
ebbe in sorte.Tidèo
dinanzi alla porta di Preto già freme. Furioso,Tidèo brama la
lotta, e leva grida - sibili di drago a mezzogiorno -, e scuote tre
pennacchi che ornano il suo cimiero; e orrido tintinnio di bronzo
risuona dai pendagli sotto lo scudo; e su lo scudo, questa superba
insegna è raffigurata: un cielo ardente d'astri; e in mezzo splende
fulgida la luna piena, chiara, il piú solenne degli astri, pupilla
della notte. Irrequieto nelle sue armi superbe, presso la riva del
fiume urla, desideroso di battaglia, come destriero che sbuffa
furioso contro le redini, e sobbalza, mentre aspetta lo squillo della
tromba.Chi
opporrai a questo? Tolte le sbarre, chi sarà il garante di questa
porta?
(da Eschilo, I sette a Tebe, riduzione mia per la Conferenza sui Labdacidi del 27 gennaio 2013 presso l'Ex Liceo Artistico di Cagliari)
PS. l'immagine non mi appartiene, è qui solo a corredo del post! Questo blog non è a fini di lucro.
"La mitologia è uno strumento meraviglioso, un forte stimolo alla creazione, e ti consente di dire cose che altrimenti sarebbe molto difficile esprimere. Quelle strutture archetipiche continuano a essere fondamentali nella nostra vita". Neil Gaiman