domenica 27 marzo 2011
Il volo di Icaro: Mito o realtà?
La rete è libera, e ci regala informazioni che molti vorrebbero tenere nascoste.
Così vi suggeriamo di leggere questa importante notizia, che sancisce finalmente la fine dell'idea che il mito sia, appunto, solo mito e non realtà.
Tuttavia le prove raccolte ci portano a nuovi, più inquietanti, domande.
Quante altre notizie i media asserviti a una visione oscurantista del mondo ci hanno negate?
(Le inversioni sono necessitate dall'opportunità di un linguaggio atto all'epica dell'evento).
E ancora: viste le conseguenze della scoperta di cui si parla sotto, tali nuove ci vengono celate per la dietrologia che potrebbero suscitare?
A voi la libera riflessione.
Vai alla notizia!
sabato 19 marzo 2011
MIGRAZIONI - E tui, de chini sesi? 13 (Dall'Asia Minore con Furore)
Dall'antica Asia Minore, l'attuale Turchia che potrebbe vedere a breve un viaggio in direzione contraria da parte dell'estensore di queste note, due correnti migratorie (forse) sono giunte sulle nostre terre.
Entrambe, in realtà, parlano più dei nostri dirimpettai oltre Tirreno, ma danno due varianti alla colonizzazione della Sardegna.
E con loro abbiamo davvero finito le colonizzazioni mitiche: dopo ci sarà solo la storia, con Fenici, Punici e Romani.
Ma immergiamoci ancora nel mito.
Ricordate Sardo e i suoi Libi? Ricordate come il figlio di Eracle diede il nome alla Sardegna?
Beh, dimenticate tutto, perché c’è una versione molto, molto alternativa al tutto.
Il Timeo di Platone è una delle opere più note del filosofo. Non tanto per il suo valore filosofico (una noiosissima descrizione dei buoni costumi antichi e dello stato ideale), quanto perché lì nasce il mito di Atlantide.
Sì, proprio quella Atlantide di cui ci cantarono De Gregori e Battiato, quella di Martin Mystère e di infinite variazioni moderne.
Forse da Atlantide venne l’esercito guidato da Atlante che sconfisse Forco, re di Sardegna e Corsica.
Ma, direbbe qualcuno di più recente, la Sardegna stessa ERA Atlantide…
Rimandando a momenti più propizi (e più conviviali) la fanta-archeologia, qui accenniamo solo al fatto che il Timeo, come tante opere antiche celebri, fu commentato fin dall’antichità. Così ci sono stati conservati degli “scoli”, annotazioni e glosse a margine dei codici antichi.
Proprio da loro traiamo la “versione alternativa” di Sàrdo, o per meglio dire Sardò.
Solo un accento diverso? Beh, proprio non diremmo. Innanzitutto perché Sàrdo è figliO (= maschio) di Eracle, mentre Sardò era una donna!
E poi, mentre Sàrdo era Libico, Sardò era asiatica, proveniente dalla Lidia.
Ma vediamo chi era più nel dettaglio...
Sardò era moglie di Tirreno, e questo è certo.
Che coincidesse anche con la figlia dell'argivo Stenelo, anche lei dallo stesso nome, e anche lei presunta eponima della città di Sardi in Lidia, beh, questo non è dato saperlo.
Questi, a seguito di una profezia, salpò dalla Lidia e giunse sulle rive del Mar Tirreno. Sua moglie, che già aveva dato il suo nome alla città di Sardis (appunto, in Lidia), lo seguì, e diede il suo nome anche alla Sardegna.
E qui lo scolio introduce un nome per l'isola che non abbiamo ancora visto: Argyrofleps.
Fin qui, solo un’altra versione etimologica, utile per dare un nome al Mar Tirreno, alla Tirrenia\Etruria e alla Sardegna.
Se non che, qualcuna altro ci parla di Tirreno e della sua migrazione, pur senza citare la Sardegna: è quel gran contafrottole di Erodoto.
Secondo lui l'origine degli Etruschi\Tirreni, infatti, va cercata proprio in Asia Minore.
Erodoto, infatti, narra che una devastante carestia attanagliava la Lida: essa durava da ben 18 anni!
Il re Atis, re della Lidia, fece un estremo tentativo di salvare il salvabile trasformando quello che sarebbe diventato poi il luogo comune a Roma: niente panem, ma solo circenses! Infatti prescrisse che i suoi sudditi mangiassero solo a giorni alterni (sic!) ordinando che nel giorno di astinenza si doveva solo giocare.
Ma il cibo non bastava ancora: così decise a sorte di lasciare metà della popolazione nella Lidia con a capo lo stesso re, mentre l’altra metà doveva salpare in cerca di miglior fortuna sotto la guida del proprio figlio Tirreno. Secondo altre versioni a restare in loco fu Lido, uno dei figli, e da lui la zona avrebbe preso il nome di Lidia.
Ma prescindendo su chi sarebbe rimasto in Asia Minore, le fonti concordano che Tirreno si pose a capo dei migranti, partì verso occidente e diede il nome al popolo dei Tirreni e al mare (Tirreno) che bagnava la terra in cui sbarcarono: l'Etruria.
Se la Sardegna sia stata toccata dalla spedizione prima o dopo l'insediamento sulle coste dell'attuale Toscana, questo non è dato saperlo.
Sempre dall'Asia Minore sarebbe arrivata l'ultima ondata mitica di colonizzazione.
Se vi ricordate, l'ultima volta abbiamo detto come tra le popolazioni affrontate da Cartaginesi e Romani, si trovassero gli Iolei, i discendenti di quei Tespiadi digli di Eracle. Ma Pausania li chiama "Iliensi".
E qui scatta (forse) il processo di (ri)costuzione di un mito a partire da un nome: perché Ilienses era riconducibile a Ilium, altro nome della favolosa Troia di Omero.
Già si raccontava che sia Greci che profughi troiani migrarono a occidente dopo quella guerra, e presto a Roma diverrà versione ufficiale di stato il fatto che sulle coste laziali sbarcò l'ultimo campione dei Troiani\Iliensi, ovvero quell'Enea da cui discese la Gens Iulia.
Virgilio nell'Eneide ci parla di coloni troiani rimasti in Sicilia, ma perché escludere che alcuni di questi profughi non si siano insediati in Sardegna?
Servio, il grande commentatore dell'Eneide, in due punti riporta le opinioni del romano Sallustio, che tramandava esplicitamente l'arrivo di coloni Troiani in fuga.
Ma è il nostro turista Pausania a dirci che una parte dei Troiani di Enea, trascinati dai venti, sbarcarono in Sardegna e qui si mescolarono ai Greci già presenti (Ateniesi ed altri sotto la guida dei Tespiadi, e forse dei coloni qui giunti con Aristeo).
Qui ci fu lotta contro i Barbari lì residenti. Chi fossero questi Barbari, qui non è specificato, ma abbiamo visto in precedenza che anche Pausania in altri luoghi aveva già parlato degli Indigeni, dei Liguri\Corsi, dei Libi giunti con Sàrdo figlio di Makeris\Eracle e dei Balari di Norache.
Sta di fatto che il conflitto armato, in realtà, non esplose del tutto: le due forze erano pressoché pari, e tra loro scorreva il fiume Tirso. Possiamo immaginare i due schieramenti che si guardano in cagnesco per un certo lasso di tempo dalla rive opposte del fiume, aspettando che fosse l'altro a fare il primo passo: entrare nel fiume per guadare avrebbe reso lo schieramento attaccante più vulnerabile.
Però secondo Pausania nessuno si mosse, e alla fine ciascuno tornò alle proprie terre.
"Dopo molti anni" giunsero gli "africani", cioè i Cartaginesi. Avevano già fatto una spedizione sull’Isola, con scarso successo, a quanto ci è dato di capire: stavolta tornavano con un esercito in grande stile. I Greci "vennero nello loro totalità annientati", e solo pochi di essi restarono sull'isola.
Poi Pausania sembra far intuire che la fusione tra i due popoli di cui aveva parlato prima (Greci e Troiani) non fosse stata così perfetta: perché se i Greci furono quasi completamente annientati, specifica che i Troiani, invece, si rifugiarono nelle montagne. Qui, occupando montagne di difficile accesso ben protette da opere difensive e da precipizi, i Troiani sopravvivevano ancora ai tempi del nostro ellenico routard (II secolo d.C.) conservavano il nome di Iliesi, anche se si erano imbarbariti ed erano diventati "simili agli Africani nell’aspetto, nell’armatura ed in ogni loro costume di vita".
Anche Pausania, quindi ripete lo schema che abbiamo già visto nella narrazione delle ultime vicende di Tespiadi\Iolei di cui ci parla Diodoro Siculo.
Dove sta la verità mitica? Mungere troppo le scarse informazioni che abbiamo può portare solo ad illazioni e ipotesi poco verificabili con lo strumento della mitologia.
Ma su una cosa tutti i mitografi concordano: in tanti volevano andare in Sardegna, e l’isola del mito era una terra felice e ricca. Nella contemporaneità degli scrittori, però, era diventata solo una terra di sfruttamento, da parte dei Fenici prima e dei Romani poi.
La Sardegna entrava nella storia con quel ruolo: e forse lo mantiene ancora oggi.
Etichette:
Enea,
Etruschi,
Migrazioni,
Sardegna,
Troia
lunedì 7 marzo 2011
MIGRAZIONI - E tui, de chini sesi? 12
Ed ecco l’ultimo post (davvero!) sui Tespiadi in Sardegna.
Li abbiamo lasciati orfani del loro pater spirituale, cioè Iolao, ma ben insediati nelle regge dell’isola, ricchi e indipendenti.
Il solito Diodoro Siculo ci dice che la colonia ricevette un oracolo, presumibilmente prima della partenza: tutti coloro che avessero partecipato alla spedizione sarebbero rimasti per sempre liberi.
Lo stesso Diodoro, che ha vissuto intorno all’inizio del I secolo a.C., si stupiva che “contro ogni aspettativa” l’oracolo si fosse rivelato corretto fino ai suoi tempi, nonostante gli attacchi dei Cartaginesi e dei Romani.
Ma Diodoro ci informa anche che qualcosa era cambiato: i discendenti dei Tespiadi, che erano stati signori dell’isola per molte generazioni, alla fine erano stati cacciati dal loro popolo.
Lo storiografo\mitografo non ci da’ le ragioni: si limita a dire che i discendenti di Eracle lasciarono l’isola e giunsero nella costa campana, più precisamente nei dintorni di Cuma. Gli Iolaei rimasti scelsero come capi gli aristoi, e continuarono a difendere la loro libertà.
Chi erano questi aristoi? Erano stati scelti al momento della rivolta, o c’era già una nobiltà al di sotto delle famiglie regnanti dei Tespiadi?
Le risposte possono essere solo ipotesi.
Sta di fatto che per Diodoro, gli Iolaei persero lo splendore che li aveva contraddistinti nell’epoca dei Tespiadi. Si imbarbarirono, e per salvaguardare la loro indipendenza dagli stranieri lasciarono le ricche coste e le pianure Ioalee per rifugiarsi nell’interno. Qui, grazie all’asperità del terreno e a quelli che Diodoro definisce “inestricabili sotterranei”, tutte le spedizioni cartaginesi terminarono in un fiasco: in un altro punto, lo storico fa capire che queste dimore sotterranee, antenate del maialetto e del fil di ferro di epoche più recenti, erano pressoché introvabili.
Quando poi arrivarono i Romani (da 238 a.C.) la situazione non cambiò: nonostante i ripetuti trionfi su Sardi e Corsi, per Diodoro queste popolazioni non furono ami davvero sottomesse, anzi.
In un altro passo, infatti, Diodoro aggiunge che gli Iolei si erano rifugiati sulle montagne; lì avevano costruito dimore sotterranee di cui abbiamo detto sopra e allevavano mandrie che li rendevano autosufficienti: da buon greco (e siceliota, per di più), Diodoro vede una regressione nell’abbandono dell’agricoltura a favore di una preponderante pastorizia. Questi sardi “imbarbariti” si accontentavano di consumare latte, formaggio e carne e, abbandonata la pianura, “evitavano la fatica del lavoro dei campi”.
Diodoro ci dice altrove che questo ritorno alla barbarie fu dovuto proprio all’assenza della “mano greca” dei Tespiadi, perché i barbari erano numericamente superiori ai coloni greci, presto li assorbirono. Ma questa “barbarie” non doveva essere poi così terribile: per Diodoro, alla fine i Sardi trascorrevano una vita senza pene paghi dei menzionati cibi.
Ma non di sola carne vive l’uomo, e così Strabone (vissuto tra il 63 a.c. e il 20 d.C), ci dice che le parti fertili dell’Isola, ancora in epoca imperiale, venivano continuamente saccheggiate dagli abitanti delle montagne, chiamati Diagesbei, “mentre un tempo erano chiamati Iolei”.
L’altra nostra fonte più ampia, Pausania, ribadisce che la “protezione delle montagne” garantì a Iliesi e Corsi la salvezza dalla flotta cartaginese. E aggiunge che furono i punici, e non i precedenti colonizzatori, a edificare Karali e Sulci.
Edificare o riedificare?
Li abbiamo lasciati orfani del loro pater spirituale, cioè Iolao, ma ben insediati nelle regge dell’isola, ricchi e indipendenti.
Il solito Diodoro Siculo ci dice che la colonia ricevette un oracolo, presumibilmente prima della partenza: tutti coloro che avessero partecipato alla spedizione sarebbero rimasti per sempre liberi.
Lo stesso Diodoro, che ha vissuto intorno all’inizio del I secolo a.C., si stupiva che “contro ogni aspettativa” l’oracolo si fosse rivelato corretto fino ai suoi tempi, nonostante gli attacchi dei Cartaginesi e dei Romani.
Ma Diodoro ci informa anche che qualcosa era cambiato: i discendenti dei Tespiadi, che erano stati signori dell’isola per molte generazioni, alla fine erano stati cacciati dal loro popolo.
Lo storiografo\mitografo non ci da’ le ragioni: si limita a dire che i discendenti di Eracle lasciarono l’isola e giunsero nella costa campana, più precisamente nei dintorni di Cuma. Gli Iolaei rimasti scelsero come capi gli aristoi, e continuarono a difendere la loro libertà.
Chi erano questi aristoi? Erano stati scelti al momento della rivolta, o c’era già una nobiltà al di sotto delle famiglie regnanti dei Tespiadi?
Le risposte possono essere solo ipotesi.
Sta di fatto che per Diodoro, gli Iolaei persero lo splendore che li aveva contraddistinti nell’epoca dei Tespiadi. Si imbarbarirono, e per salvaguardare la loro indipendenza dagli stranieri lasciarono le ricche coste e le pianure Ioalee per rifugiarsi nell’interno. Qui, grazie all’asperità del terreno e a quelli che Diodoro definisce “inestricabili sotterranei”, tutte le spedizioni cartaginesi terminarono in un fiasco: in un altro punto, lo storico fa capire che queste dimore sotterranee, antenate del maialetto e del fil di ferro di epoche più recenti, erano pressoché introvabili.
Quando poi arrivarono i Romani (da 238 a.C.) la situazione non cambiò: nonostante i ripetuti trionfi su Sardi e Corsi, per Diodoro queste popolazioni non furono ami davvero sottomesse, anzi.
In un altro passo, infatti, Diodoro aggiunge che gli Iolei si erano rifugiati sulle montagne; lì avevano costruito dimore sotterranee di cui abbiamo detto sopra e allevavano mandrie che li rendevano autosufficienti: da buon greco (e siceliota, per di più), Diodoro vede una regressione nell’abbandono dell’agricoltura a favore di una preponderante pastorizia. Questi sardi “imbarbariti” si accontentavano di consumare latte, formaggio e carne e, abbandonata la pianura, “evitavano la fatica del lavoro dei campi”.
Diodoro ci dice altrove che questo ritorno alla barbarie fu dovuto proprio all’assenza della “mano greca” dei Tespiadi, perché i barbari erano numericamente superiori ai coloni greci, presto li assorbirono. Ma questa “barbarie” non doveva essere poi così terribile: per Diodoro, alla fine i Sardi trascorrevano una vita senza pene paghi dei menzionati cibi.
Ma non di sola carne vive l’uomo, e così Strabone (vissuto tra il 63 a.c. e il 20 d.C), ci dice che le parti fertili dell’Isola, ancora in epoca imperiale, venivano continuamente saccheggiate dagli abitanti delle montagne, chiamati Diagesbei, “mentre un tempo erano chiamati Iolei”.
L’altra nostra fonte più ampia, Pausania, ribadisce che la “protezione delle montagne” garantì a Iliesi e Corsi la salvezza dalla flotta cartaginese. E aggiunge che furono i punici, e non i precedenti colonizzatori, a edificare Karali e Sulci.
Edificare o riedificare?
O, semplicemente, come accadrà millenni dopo ad Alghero, sgombrare le principali città dagli abitanti locali per sostituirli con coloni punici?
Altre ipotesi che non possono trovare una risposta definitiva.
Ma attenzione: abbiamo detto che se Diodoro parla sempre di Iolaei (poi rinominati Diagesbei, secondo Strabone), Pausania parla di Iliesi, come il geografo Pomponio Mela.
Una piccola differenza di pronuncia, di trascrizione o qualcosa di più?
Nel mito le parole, le sfumature sono importanti. Alcuni miti sembrano nati da etimi sbagliati…
Torniamo a Strabone: secondo lui “barbari” dell’isola, poi unitisi ai Tespiadi, erano Tirreni. E di questo dovremo parlare, anche se il fatto che i due popoli abitavano le due sponde dello stesso mare avrà di certo condizionato questa teoria.
Ma più interessante è ciò che dice Pausania. Parlando delle spedizioni dei Cartaginesi sull’isola, dice che essi annientarono quasi completamente gli Elleni, cioè gli Iolei. Ma, e qui sta la sorpresa, gli Iliei (non Iolei) dell’epoca dello scrittore non erano i sopravvissuti degli Elleni, bensì… dei Troiani!
Sì, proprio i Troiani si rifugiano nei “luoghi alti dell’isola” e nelle montagne “dal difficile accesso”, protette da opere difensive e precipizi.
Silio Italico, poeta del I secolo d.C. conferma e chiarisce che non si trattava di una svista, ma di una precisa linea della tradizione mitica: i Teucri (altro nome dei Troiani) sarebbero giunti in Sardegna “gettati dal mare” (naufragati? Dopo una tempesta?), e qui li raggiunse Iolao con i suoi Tespiadi.
Non che questi Teucri\Iliei abbiano un destino diverso: anche per Pausania si imbarbarirono, divenendo simili ai Libi nell’aspetto, nelle armature e in ogni altro costume di vita.
Ma questi “Libi” cui assomigliavano, chi erano? I Cartaginesi? O i Libi di Sardo che forse erano al “componente più numerosa” che aveva assorbito i greci (e, a questo punto, i Troiani)?
Ancora una volta le risposte possono essere solo frutto di ipotesi.
Ma di Sardi\Tirreni e di Sardi\Troiani, ne parleremo prossimamente.
Altre ipotesi che non possono trovare una risposta definitiva.
Ma attenzione: abbiamo detto che se Diodoro parla sempre di Iolaei (poi rinominati Diagesbei, secondo Strabone), Pausania parla di Iliesi, come il geografo Pomponio Mela.
Una piccola differenza di pronuncia, di trascrizione o qualcosa di più?
Nel mito le parole, le sfumature sono importanti. Alcuni miti sembrano nati da etimi sbagliati…
Torniamo a Strabone: secondo lui “barbari” dell’isola, poi unitisi ai Tespiadi, erano Tirreni. E di questo dovremo parlare, anche se il fatto che i due popoli abitavano le due sponde dello stesso mare avrà di certo condizionato questa teoria.
Ma più interessante è ciò che dice Pausania. Parlando delle spedizioni dei Cartaginesi sull’isola, dice che essi annientarono quasi completamente gli Elleni, cioè gli Iolei. Ma, e qui sta la sorpresa, gli Iliei (non Iolei) dell’epoca dello scrittore non erano i sopravvissuti degli Elleni, bensì… dei Troiani!
Sì, proprio i Troiani si rifugiano nei “luoghi alti dell’isola” e nelle montagne “dal difficile accesso”, protette da opere difensive e precipizi.
Silio Italico, poeta del I secolo d.C. conferma e chiarisce che non si trattava di una svista, ma di una precisa linea della tradizione mitica: i Teucri (altro nome dei Troiani) sarebbero giunti in Sardegna “gettati dal mare” (naufragati? Dopo una tempesta?), e qui li raggiunse Iolao con i suoi Tespiadi.
Non che questi Teucri\Iliei abbiano un destino diverso: anche per Pausania si imbarbarirono, divenendo simili ai Libi nell’aspetto, nelle armature e in ogni altro costume di vita.
Ma questi “Libi” cui assomigliavano, chi erano? I Cartaginesi? O i Libi di Sardo che forse erano al “componente più numerosa” che aveva assorbito i greci (e, a questo punto, i Troiani)?
Ancora una volta le risposte possono essere solo frutto di ipotesi.
Ma di Sardi\Tirreni e di Sardi\Troiani, ne parleremo prossimamente.
Etichette:
Etruschi,
Migrazioni,
Sardegna,
Tespiadi,
Troia
Iscriviti a:
Post (Atom)