Tempi strani, quelli estivi...
Sarà il caldo atroce, sarà la voglia di vacanza o di variare bevanda rispetto alla solita ambrosia, ma anche il divino Zeus è sceso dall'Olimpo a godersi una serata dedicata al cosplay.
Certo, c'è chi sostiene che si tratti di un mortale in carne (molta carne!) ed ossa, che ignaro del destino di Salmoneo, ha osato assumere le caratteristiche del padre degli dei...
E per di più in una versione più simile a quella del cartone animato Pollon che alla statua realizzata da Fidia!
Valutate un po... e consultate l'oracolo per scoprire cosa meditava sotto le sue cespugliose sopracciglia il Cupotonante
martedì 28 luglio 2009
venerdì 17 luglio 2009
Catastrofi a scelta – La gloriosa fine degli Illustri Narti
Nel Libro Degli Eroi Georges Dumézil narra che, tra i miti degli Ossseti, popolazione caucasica di origine indoeuropea, spicca il ciclo relativo all’antico popolo dei Narti.
I Narti sono eroi dei tempi passati, meravigliosi e insieme terreni, dotati di caratteristiche soprannaturali, ma che vivono la vita degli uomini del Caucaso, con le stesse case, costumi, passioni.
Come gli altri popoli caucasici, anche i Narti amano l’eloquenza e la guerra, ma sono i più forti di tutti, e ben presto si stancano di combattere avversari troppo facili da battere. Così si mettono alla ricerca di un nemico più forte di loro, contro il quale valga davvero la pena lottare.
Ma, dopo una lunga e vana ricerca nel mondo, non rimane che sfidare Dio stesso.
E’ l’inizio della loro epica fine: i Narti si astengono da tutti i riti e le pratiche religiose, addirittura alzano le porte delle loro case, in modo che non capiti neppure casualmente di abbassare la testa e che Dio interpreti questo gesto come una sottomissione a lui.
Dio, infastidito, manda la rondine come messaggero, perché si informi sulle ragioni del comportamento dei Narti: ne ottiene solo un’ulteriore sfida, e l’invito a combattere contro di loro.
Dio a questo punto li minaccia: propone la scelta tra uno sterminio totale e una cattiva discendenza. I Narti accettano di mettere in gioco la loro stesa sopravvivenza: “Forse che abbiamo bisogno di vivere per sempre? – dice Urzymaeg, uno degli eroi del ciclo dei Narti – Quello che ci occorre non è una vita eterna, ma una gloria eterna!”.
La guerra è dichiarata, e Dio la combatte con mezzi soprannaturali.
Prima maledice i Narti, dicendo che il loro lavoro non produrrà più di un sacco di frumento al giorno. Ma i Narti allora lavorarono solo quanto era necessario per riempire un sacco al giorno, fermandosi subito dopo: semplicemente il periodo necessario per la lavorazione sarebbe stato più lungo, ma il cibo sarebbe stato assicurato.
Dio mandò una seconda maledizione: il grano dei Narti rimaneva verde di giorno e pronto alla mietitura solo di notte, e se pure si avvicinavano di notte, il grano tornava verde e inutilizzabile.
Allora i Narti costruirono le loro capanne vicino ai campi, e ingegnosamente crearono delle frecce con una punta biforcuta. Così la notte, senza uscire dalle loro capanne, tiravano le loro frecce e mietevano le spighe che rimanevano dorate.
Vissero così ancora un anno, poi rifletterono: non avevano forse detto loro stessi a Dio che una gloria senza fine era preferibile a una vita senza fine?
Così, invitti, ognuno scavò a propria tomba e vi si coricò, in attesa della morte.
Così perirono gli illustri Narti.
I Narti sono eroi dei tempi passati, meravigliosi e insieme terreni, dotati di caratteristiche soprannaturali, ma che vivono la vita degli uomini del Caucaso, con le stesse case, costumi, passioni.
Come gli altri popoli caucasici, anche i Narti amano l’eloquenza e la guerra, ma sono i più forti di tutti, e ben presto si stancano di combattere avversari troppo facili da battere. Così si mettono alla ricerca di un nemico più forte di loro, contro il quale valga davvero la pena lottare.
Ma, dopo una lunga e vana ricerca nel mondo, non rimane che sfidare Dio stesso.
E’ l’inizio della loro epica fine: i Narti si astengono da tutti i riti e le pratiche religiose, addirittura alzano le porte delle loro case, in modo che non capiti neppure casualmente di abbassare la testa e che Dio interpreti questo gesto come una sottomissione a lui.
Dio, infastidito, manda la rondine come messaggero, perché si informi sulle ragioni del comportamento dei Narti: ne ottiene solo un’ulteriore sfida, e l’invito a combattere contro di loro.
Dio a questo punto li minaccia: propone la scelta tra uno sterminio totale e una cattiva discendenza. I Narti accettano di mettere in gioco la loro stesa sopravvivenza: “Forse che abbiamo bisogno di vivere per sempre? – dice Urzymaeg, uno degli eroi del ciclo dei Narti – Quello che ci occorre non è una vita eterna, ma una gloria eterna!”.
La guerra è dichiarata, e Dio la combatte con mezzi soprannaturali.
Prima maledice i Narti, dicendo che il loro lavoro non produrrà più di un sacco di frumento al giorno. Ma i Narti allora lavorarono solo quanto era necessario per riempire un sacco al giorno, fermandosi subito dopo: semplicemente il periodo necessario per la lavorazione sarebbe stato più lungo, ma il cibo sarebbe stato assicurato.
Dio mandò una seconda maledizione: il grano dei Narti rimaneva verde di giorno e pronto alla mietitura solo di notte, e se pure si avvicinavano di notte, il grano tornava verde e inutilizzabile.
Allora i Narti costruirono le loro capanne vicino ai campi, e ingegnosamente crearono delle frecce con una punta biforcuta. Così la notte, senza uscire dalle loro capanne, tiravano le loro frecce e mietevano le spighe che rimanevano dorate.
Vissero così ancora un anno, poi rifletterono: non avevano forse detto loro stessi a Dio che una gloria senza fine era preferibile a una vita senza fine?
Così, invitti, ognuno scavò a propria tomba e vi si coricò, in attesa della morte.
Così perirono gli illustri Narti.
mercoledì 15 luglio 2009
A volte ritornano - Funerali alla Vichinga
La notizia è di un po’ di tempo fa, lo ammettiamo, e più che di miti parla di riti...
Ma perché esimerci dal segnalare qualcosa di così gustoso e relativo ai nostri amati Asi del Nord?
All’indirizzo
http://www.corriere.it/esteri/09_maggio_14/odino_cimitero_oslo_6eb45402-4089-11de-aa9a-00144f02aabc.shtml
trovate una curiosa notizia: la religione nordica è riconosciuta dal governo norvegese!
Il Comune di Oslo ha concesso agli adoratori di Odino, Thor e delle altre divinità tradizionali nordiche di poter aprire un proprio cimitero riservato ai fedeli di religione neopagana. Lo ha reso noto l'associazione Bifrost, che raggruppa i vari gruppi che rendono omaggio alla mitologia vichinga. Dal 1996 il governo della Norvegia riconosce ufficialmente la religione nordica rappresentata da Bifrost.
Segue descrizione del possibile rito, costruito in similitudine al funerale che ebbe Baldr il Bello dopo che fu ucciso da Hodr.
A quando un’inumazione modello Acheo?
giovedì 9 luglio 2009
Catastrofi a scelta – L’irrinunciabile appuntamento
Spesso sentiamo dire che i Greci e i Latini avevano l’idea del Fato, il destino inevitabile che coglieva l’uomo, impotente di fronte a ciò che “era nella mente di Zeus”.
Da ciò ne derivava la preoccupazione (in alcuni casi: l’ossessione) di ciò che doveva accadere, di conoscere in anticipo il proprio futuro... e probabilmente rassegnarsi, visto che il destino era immutabile.
Anzi: alcuni eroi, come Edipo, interpretando in modo errato il responso di un oracolo e volendo sfuggirgli, avevano dato il va alle circostanze che avrebbero portato a compimento proprio il destino che volevano evitare.
In ogni caso era un atto di superbia inutile sperare di poter ingannare il proprio Fato...
Un episodio del mito e uno della leggenda ce lo dimostrano.
Si narra che Anceo di Tegea, timoniere della nave Argo dopo la morte di Tifi, avesse piantato una vigna; chiamato un indovino per sapere come sarebbe cresciuta, questi gli rispose che non sarebbe riuscito ad assaggiarne i frutti.
La vigna crebbe, l’uva maturò, e finalmente il primo vino fu pronto. Anceo chiamò lo stesso indovino, e gli mostrò il vino, già pronto in una coppa.
L’indovino replicò che ancora tanta era la distanza tra la coppa e la bocca…
Anceo sollevò il calice, ma un servo entrò di corsa in casa ad annunciargli che un cinghiale selvaggio devastava la sua vigna.
Anceo non ci pensò due volte: poggiò la coppa senza aver bevuto, corse fuori con una lancia, ma fu sorpreso dalla carica del cinghiale, nascosto dietro le siepi, e ucciso.
Il secondo episodio è tratto da una delle tante leggende intorno alla morte di Giulio Cesare.
Narra Plutarco (Vita di Cesare, 63, 5-6), sulla scorta di numerose testimonianze, che un indovino aveva predetto al dittatore romano di guardarsi da un gran pericolo il giorno delle idi di marzo.
Quando arrivò il giorno, Cesare entrando in senato (probabilmente Plutarco intende il teatro di Pompeo, dove quel giorno si riuniva il Senato romano), vide l’indovino e, come aveva fatto Anceo, lo chiamò a sé.
Prendendo in giro l’indovino Cesare disse: "Le idi di marzo son giunte"; e l’indovino, tranquillamente, rispose: "Sì, ma non sono ancora passate".
Il resto, come si suol dire, esce dalla leggenda per diventare storia.
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giovedì 2 luglio 2009
Tutti figli di Evemero - Bestie, uomini e dei: Jack London e l’origine del mito 4
La saga di Zanna Bianca e del suo rapporto con gli dei assume coloriti particolarmente tragici nella parte quarta del romanzo.
Se il rapporto col primo padrone umano, l’indiano Gray Beaver, è basato su rapporti di forza e sottomissione spietati (Parte III Capitolo V: “Non voleva bene a Gray Beaver. Sì, lui era un dio, un dio molto selvaggio. Zanna Bianca era contento di riconoscere il suo dominio, ma era un dominio basato su una intelligenza superiore e una forza brutale.”), Zanna bianca viene tradito dal suo dio, e ceduto a “Bellezza” Smith, che già dal titolo del capitolo ci viene connotato come il “Dio pazzo”.
Un dio crudele, che trascina Zanna Bianca in abissi di violenza e di odio sempre più grandi. Zanna Bianca temeva Gray Beaver, ma odia “Bellezza” Smith che si diverte a bastonarlo, perché Zanna Bianca è più debole di lui.
E’ un circolo senza fine: un dio folle, insensato, che si rapporta ai suoi fedeli solo con la violenza e impone ai fedeli stessi di essere violenti contro i propri simili...
Zanna Bianca diventa sempre più il nemico della propria razza. Il suo crescere con gli dei ormai gli insegna solo la violenza, solo la sopraffazione. Un mondo che non può non ricordarci le concezioni che R.E. Howard metteva in bocca a Conan quando parlava dei suoi dei:
“Il loro capo è Crom. Abita in una grande montagna. Ma perché invocarlo? Ben poco gli importa se gli uomini vivano o muoiano. Meglio starsene zitti, che richiamare la sua attenzione; manderà sciagure, non fortuna! È spietato e senza amore, ma alla nascita soffia nell’anima dell’uomo il potere di lottare e uccidere. Cos’altro dovrebbero chiedere gli uomini agli Dèi?[...] Non c'è speranza né qui né dopo, nel culto del mio popolo [...] In questo mondo gli uomini lottano e soffrono invano, trovando piacere solo nella lucente follia della battaglia; morendo le loro anime entrano in un reame grigio e nebbioso di nuvole e venti gelidi, per vagare tristemente nell’eternità.” (R.E. Howard, La Regina della Costa Nera, 2)
In questo mondo di violenza, in cui lupo (e uomo) sono immersi, c’è però una speranza imprevista: l’arrivo di un altro dio, che saprà vincere le paure e il circolo di sopruso e morte, presentandosi come un “padrone per amore” (Parte IV Capitolo VI).
Weedon Scott non usa la violenza con Zanna Bianca: lo premia, lo segue, lo coccola, lo fa sentire al sicuro. E’ un dio generoso, giusto, ma non violento.
Ha il suo potere, ma non è quello della forza brutale, bensì quello dell’amore, del rapporto ancora una volta do ut des che però si basa sul dare disinteressato, che genera automaticamente il ricevere, senza che questo ricevere sia obbligatorio.
Con Scott Zanna Bianca potrà trovare la pace, finalmente: non sarà più solo, e troverà un rapporto d’equilibrio anche con i propri simili, divenendo padre.
Questa conclusione è ovviamente condizionata dalla realtà anche culturale e religiosa in cui viveva l’autore del romanzo: London è comunque uno scrittore inizi del XX secolo, vive e pubblica per gli Stati Uniti cristiani e persuasi del “fardello dell’uomo bianco” come picco evolutivo dell’umanità, ed è convinto che l’unica speranza per il “selvaggio” (sia esso un lupo o un uomo), sia quella di integrarsi nel mondo occidentale “civile” e accettare una religione monoteista (Zanna Bianca riconosce solo Weedon Scott come suo dio), basata su un messaggio di amore e accettazione, l’unica, a detta dell’autore, veramente produttiva.
Resta comunque il fatto che sotto a storia del lupo Zanna Bianca, sotto il Bildungsroman (romanzo di formazione) dell’animale, si nasconde una trattazione religiosa universale insospettabilmente approfondita (condivisibile o meno, ovviamente).
Niente male per un libro che viene spacciato semplicisticamente come uno dei “capolavori per ragazzi”!
Se il rapporto col primo padrone umano, l’indiano Gray Beaver, è basato su rapporti di forza e sottomissione spietati (Parte III Capitolo V: “Non voleva bene a Gray Beaver. Sì, lui era un dio, un dio molto selvaggio. Zanna Bianca era contento di riconoscere il suo dominio, ma era un dominio basato su una intelligenza superiore e una forza brutale.”), Zanna bianca viene tradito dal suo dio, e ceduto a “Bellezza” Smith, che già dal titolo del capitolo ci viene connotato come il “Dio pazzo”.
Un dio crudele, che trascina Zanna Bianca in abissi di violenza e di odio sempre più grandi. Zanna Bianca temeva Gray Beaver, ma odia “Bellezza” Smith che si diverte a bastonarlo, perché Zanna Bianca è più debole di lui.
E’ un circolo senza fine: un dio folle, insensato, che si rapporta ai suoi fedeli solo con la violenza e impone ai fedeli stessi di essere violenti contro i propri simili...
Zanna Bianca diventa sempre più il nemico della propria razza. Il suo crescere con gli dei ormai gli insegna solo la violenza, solo la sopraffazione. Un mondo che non può non ricordarci le concezioni che R.E. Howard metteva in bocca a Conan quando parlava dei suoi dei:
“Il loro capo è Crom. Abita in una grande montagna. Ma perché invocarlo? Ben poco gli importa se gli uomini vivano o muoiano. Meglio starsene zitti, che richiamare la sua attenzione; manderà sciagure, non fortuna! È spietato e senza amore, ma alla nascita soffia nell’anima dell’uomo il potere di lottare e uccidere. Cos’altro dovrebbero chiedere gli uomini agli Dèi?[...] Non c'è speranza né qui né dopo, nel culto del mio popolo [...] In questo mondo gli uomini lottano e soffrono invano, trovando piacere solo nella lucente follia della battaglia; morendo le loro anime entrano in un reame grigio e nebbioso di nuvole e venti gelidi, per vagare tristemente nell’eternità.” (R.E. Howard, La Regina della Costa Nera, 2)
In questo mondo di violenza, in cui lupo (e uomo) sono immersi, c’è però una speranza imprevista: l’arrivo di un altro dio, che saprà vincere le paure e il circolo di sopruso e morte, presentandosi come un “padrone per amore” (Parte IV Capitolo VI).
Weedon Scott non usa la violenza con Zanna Bianca: lo premia, lo segue, lo coccola, lo fa sentire al sicuro. E’ un dio generoso, giusto, ma non violento.
Ha il suo potere, ma non è quello della forza brutale, bensì quello dell’amore, del rapporto ancora una volta do ut des che però si basa sul dare disinteressato, che genera automaticamente il ricevere, senza che questo ricevere sia obbligatorio.
Con Scott Zanna Bianca potrà trovare la pace, finalmente: non sarà più solo, e troverà un rapporto d’equilibrio anche con i propri simili, divenendo padre.
Questa conclusione è ovviamente condizionata dalla realtà anche culturale e religiosa in cui viveva l’autore del romanzo: London è comunque uno scrittore inizi del XX secolo, vive e pubblica per gli Stati Uniti cristiani e persuasi del “fardello dell’uomo bianco” come picco evolutivo dell’umanità, ed è convinto che l’unica speranza per il “selvaggio” (sia esso un lupo o un uomo), sia quella di integrarsi nel mondo occidentale “civile” e accettare una religione monoteista (Zanna Bianca riconosce solo Weedon Scott come suo dio), basata su un messaggio di amore e accettazione, l’unica, a detta dell’autore, veramente produttiva.
Resta comunque il fatto che sotto a storia del lupo Zanna Bianca, sotto il Bildungsroman (romanzo di formazione) dell’animale, si nasconde una trattazione religiosa universale insospettabilmente approfondita (condivisibile o meno, ovviamente).
Niente male per un libro che viene spacciato semplicisticamente come uno dei “capolavori per ragazzi”!
mercoledì 1 luglio 2009
Tutti figli di Evemero - Bestie, uomini e dei: Jack London e l’origine del mito 3
La concezione del rapporto fedele\divinità che emerge dalla lettura di Zanna Bianca di Jack London, è inizialmente estremamente pessimistica.
In questo post tratteremo più che dell’origine dl mito, dell’origine della religione, partendo dagli occhi semplici del mezzo lupo Zanna Bianca, per leggere nel loro profondo la storia di tanta parte dell’umanità.
La descrizione che fa London, infatti, riflette una linea dell’evoluzione della religiosità umana, in cui il legame col dio è costituito da divieti, da comportamenti innaturali, tanto innaturali da essere motivati solo dalla presenza di un ordine preternaturale.
Ci spieghiamo meglio: tanti tabù (specie quelli alimentari o quelli sessuali), divieti, prescrizioni, hanno la loro forza, paradossalmente, proprio dall’essere contrari all’impulso naturale che le creature provano. Zanna Bianca (e con lui gli uomini) non possono accettare tale violazione di un istinto, se non immaginando un’autorità superiore (o un bene superiore, nel caso degli esseri umani).
Ecco così che andare contro sè stessi (paradossalmente contro come ci hanno fatto gli dei) assume un grande valore proprio perché non è da tutti, proprio perché distingue il fedele da chi non lo è.
Sempre nel Capitolo II della Parte III, London descrive questa sensazione provata da Zanna Bianca, e questa accettazione, se non entusiastica adesione da parte del lupo... o di un fedele umano.
“Lui apparteneva agli dei come tutti i cani. Le sue azioni dipendevano dai loro ordini, il suo corpo apparteneva a loro: da maltrattare, da calpestare, da tollerare. Tale era la lezione che gli era stata rapidamente impartita: era una lezione dura perché contraria a tutto quello che nella sua natura era forza e arbitrio. Ma mentre nell'apprenderla gli era sgradita, inconsciamente imparava a amarla. Era un deporre in altre mani il suo destino, un rinunziare alle responsabilità dell'esistenza. In tutto ciò era anche un compenso, perché è sempre più agevole appoggiarsi a qualcuno che stare soli.”
L’utilitarismo, il do ut des, come motore primo e come finalità della religione: una concezione amara.
Così come amara è la valutazione sulla scoperta degli “altri dei” e dei rapporti che il fedele\Zanna Bianca deve intrattenere con loro. Zanna Bianca un giorno morde un umano che non appartiene alla famiglia del padrone Gray Beaver e così
“...ora Zanna Bianca sapeva di aver violato la legge degli dei. Aveva affondato i denti nella carne sacra di uno di loro e non poteva aspettarsi altro che una tremenda punizione [...] Gray Beaver difese Zanna Bianca [...]. Ascoltando le voci ostili e osservando i gesti rabbiosi, il lupo capì che il suo atto era giustificato, e così ne concluse che c'erano dei e dei. C'erano i suoi dei e c'erano altri dei e fra gli uni e gli altri c'era differenza. Giustizia e ingiustizia erano la stessa cosa, lui doveva ricevere tutto dalle mani dei suoi dei personali, ma non era obbligato a sopportare l'ingiustizia degli altri dei, con cui aveva il privilegio di potersi vendicare con i denti. E anche questa era una legge degli dei.” (Parte III Capitolo V)
Una trattazione dell’origine delle guerre sante, tutto sommato...
E infine la considerazione più amara di tutte: quando Zanna Bianca entra in contatto con l’Uomo Bianco (Parte IV, Capitolo I) “Al confronto degli Indiani che aveva conosciuto, essi gli apparvero un'altra razza di esseri, una razza di dei superiori. Essi lo impressionarono come detentori di un potere superiore ed è nel potere che consiste la divinità.”
Tutto, nel mondo di Zanna Bianca, ma anche in quello dell’uomo, si gioca sul potere. Sul potere di fare male, di punire, solo in seconda battuta di premiare. Il lupo, così come il fedele di alcuni credi religiosi, vive nella paura di violare le consegne del dio, perché il rapporto è basato sul potere, e chi ha più potere può tutto su chi ne ha meno.
Una visione pessimistica che, come detto, troverà però la sua evoluzione positiva nel finale del romanzo.
In questo post tratteremo più che dell’origine dl mito, dell’origine della religione, partendo dagli occhi semplici del mezzo lupo Zanna Bianca, per leggere nel loro profondo la storia di tanta parte dell’umanità.
La descrizione che fa London, infatti, riflette una linea dell’evoluzione della religiosità umana, in cui il legame col dio è costituito da divieti, da comportamenti innaturali, tanto innaturali da essere motivati solo dalla presenza di un ordine preternaturale.
Ci spieghiamo meglio: tanti tabù (specie quelli alimentari o quelli sessuali), divieti, prescrizioni, hanno la loro forza, paradossalmente, proprio dall’essere contrari all’impulso naturale che le creature provano. Zanna Bianca (e con lui gli uomini) non possono accettare tale violazione di un istinto, se non immaginando un’autorità superiore (o un bene superiore, nel caso degli esseri umani).
Ecco così che andare contro sè stessi (paradossalmente contro come ci hanno fatto gli dei) assume un grande valore proprio perché non è da tutti, proprio perché distingue il fedele da chi non lo è.
Sempre nel Capitolo II della Parte III, London descrive questa sensazione provata da Zanna Bianca, e questa accettazione, se non entusiastica adesione da parte del lupo... o di un fedele umano.
“Lui apparteneva agli dei come tutti i cani. Le sue azioni dipendevano dai loro ordini, il suo corpo apparteneva a loro: da maltrattare, da calpestare, da tollerare. Tale era la lezione che gli era stata rapidamente impartita: era una lezione dura perché contraria a tutto quello che nella sua natura era forza e arbitrio. Ma mentre nell'apprenderla gli era sgradita, inconsciamente imparava a amarla. Era un deporre in altre mani il suo destino, un rinunziare alle responsabilità dell'esistenza. In tutto ciò era anche un compenso, perché è sempre più agevole appoggiarsi a qualcuno che stare soli.”
L’utilitarismo, il do ut des, come motore primo e come finalità della religione: una concezione amara.
Così come amara è la valutazione sulla scoperta degli “altri dei” e dei rapporti che il fedele\Zanna Bianca deve intrattenere con loro. Zanna Bianca un giorno morde un umano che non appartiene alla famiglia del padrone Gray Beaver e così
“...ora Zanna Bianca sapeva di aver violato la legge degli dei. Aveva affondato i denti nella carne sacra di uno di loro e non poteva aspettarsi altro che una tremenda punizione [...] Gray Beaver difese Zanna Bianca [...]. Ascoltando le voci ostili e osservando i gesti rabbiosi, il lupo capì che il suo atto era giustificato, e così ne concluse che c'erano dei e dei. C'erano i suoi dei e c'erano altri dei e fra gli uni e gli altri c'era differenza. Giustizia e ingiustizia erano la stessa cosa, lui doveva ricevere tutto dalle mani dei suoi dei personali, ma non era obbligato a sopportare l'ingiustizia degli altri dei, con cui aveva il privilegio di potersi vendicare con i denti. E anche questa era una legge degli dei.” (Parte III Capitolo V)
Una trattazione dell’origine delle guerre sante, tutto sommato...
E infine la considerazione più amara di tutte: quando Zanna Bianca entra in contatto con l’Uomo Bianco (Parte IV, Capitolo I) “Al confronto degli Indiani che aveva conosciuto, essi gli apparvero un'altra razza di esseri, una razza di dei superiori. Essi lo impressionarono come detentori di un potere superiore ed è nel potere che consiste la divinità.”
Tutto, nel mondo di Zanna Bianca, ma anche in quello dell’uomo, si gioca sul potere. Sul potere di fare male, di punire, solo in seconda battuta di premiare. Il lupo, così come il fedele di alcuni credi religiosi, vive nella paura di violare le consegne del dio, perché il rapporto è basato sul potere, e chi ha più potere può tutto su chi ne ha meno.
Una visione pessimistica che, come detto, troverà però la sua evoluzione positiva nel finale del romanzo.
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