Li abbiamo lasciati orfani del loro pater spirituale, cioè Iolao, ma ben insediati nelle regge dell’isola, ricchi e indipendenti.
Il solito Diodoro Siculo ci dice che la colonia ricevette un oracolo, presumibilmente prima della partenza: tutti coloro che avessero partecipato alla spedizione sarebbero rimasti per sempre liberi.
Lo stesso Diodoro, che ha vissuto intorno all’inizio del I secolo a.C., si stupiva che “contro ogni aspettativa” l’oracolo si fosse rivelato corretto fino ai suoi tempi, nonostante gli attacchi dei Cartaginesi e dei Romani.
Ma Diodoro ci informa anche che qualcosa era cambiato: i discendenti dei Tespiadi, che erano stati signori dell’isola per molte generazioni, alla fine erano stati cacciati dal loro popolo.
Lo storiografo\mitografo non ci da’ le ragioni: si limita a dire che i discendenti di Eracle lasciarono l’isola e giunsero nella costa campana, più precisamente nei dintorni di Cuma. Gli Iolaei rimasti scelsero come capi gli aristoi, e continuarono a difendere la loro libertà.
Chi erano questi aristoi? Erano stati scelti al momento della rivolta, o c’era già una nobiltà al di sotto delle famiglie regnanti dei Tespiadi?
Le risposte possono essere solo ipotesi.
Sta di fatto che per Diodoro, gli Iolaei persero lo splendore che li aveva contraddistinti nell’epoca dei Tespiadi. Si imbarbarirono, e per salvaguardare la loro indipendenza dagli stranieri lasciarono le ricche coste e le pianure Ioalee per rifugiarsi nell’interno. Qui, grazie all’asperità del terreno e a quelli che Diodoro definisce “inestricabili sotterranei”, tutte le spedizioni cartaginesi terminarono in un fiasco: in un altro punto, lo storico fa capire che queste dimore sotterranee, antenate del maialetto e del fil di ferro di epoche più recenti, erano pressoché introvabili.
Quando poi arrivarono i Romani (da 238 a.C.) la situazione non cambiò: nonostante i ripetuti trionfi su Sardi e Corsi, per Diodoro queste popolazioni non furono ami davvero sottomesse, anzi.
In un altro passo, infatti, Diodoro aggiunge che gli Iolei si erano rifugiati sulle montagne; lì avevano costruito dimore sotterranee di cui abbiamo detto sopra e allevavano mandrie che li rendevano autosufficienti: da buon greco (e siceliota, per di più), Diodoro vede una regressione nell’abbandono dell’agricoltura a favore di una preponderante pastorizia. Questi sardi “imbarbariti” si accontentavano di consumare latte, formaggio e carne e, abbandonata la pianura, “evitavano la fatica del lavoro dei campi”.
Diodoro ci dice altrove che questo ritorno alla barbarie fu dovuto proprio all’assenza della “mano greca” dei Tespiadi, perché i barbari erano numericamente superiori ai coloni greci, presto li assorbirono. Ma questa “barbarie” non doveva essere poi così terribile: per Diodoro, alla fine i Sardi trascorrevano una vita senza pene paghi dei menzionati cibi.
Ma non di sola carne vive l’uomo, e così Strabone (vissuto tra il 63 a.c. e il 20 d.C), ci dice che le parti fertili dell’Isola, ancora in epoca imperiale, venivano continuamente saccheggiate dagli abitanti delle montagne, chiamati Diagesbei, “mentre un tempo erano chiamati Iolei”.
L’altra nostra fonte più ampia, Pausania, ribadisce che la “protezione delle montagne” garantì a Iliesi e Corsi la salvezza dalla flotta cartaginese. E aggiunge che furono i punici, e non i precedenti colonizzatori, a edificare Karali e Sulci.
Edificare o riedificare?
O, semplicemente, come accadrà millenni dopo ad Alghero, sgombrare le principali città dagli abitanti locali per sostituirli con coloni punici?
Altre ipotesi che non possono trovare una risposta definitiva.
Ma attenzione: abbiamo detto che se Diodoro parla sempre di Iolaei (poi rinominati Diagesbei, secondo Strabone), Pausania parla di Iliesi, come il geografo Pomponio Mela.
Una piccola differenza di pronuncia, di trascrizione o qualcosa di più?
Nel mito le parole, le sfumature sono importanti. Alcuni miti sembrano nati da etimi sbagliati…
Torniamo a Strabone: secondo lui “barbari” dell’isola, poi unitisi ai Tespiadi, erano Tirreni. E di questo dovremo parlare, anche se il fatto che i due popoli abitavano le due sponde dello stesso mare avrà di certo condizionato questa teoria.
Ma più interessante è ciò che dice Pausania. Parlando delle spedizioni dei Cartaginesi sull’isola, dice che essi annientarono quasi completamente gli Elleni, cioè gli Iolei. Ma, e qui sta la sorpresa, gli Iliei (non Iolei) dell’epoca dello scrittore non erano i sopravvissuti degli Elleni, bensì… dei Troiani!
Sì, proprio i Troiani si rifugiano nei “luoghi alti dell’isola” e nelle montagne “dal difficile accesso”, protette da opere difensive e precipizi.
Silio Italico, poeta del I secolo d.C. conferma e chiarisce che non si trattava di una svista, ma di una precisa linea della tradizione mitica: i Teucri (altro nome dei Troiani) sarebbero giunti in Sardegna “gettati dal mare” (naufragati? Dopo una tempesta?), e qui li raggiunse Iolao con i suoi Tespiadi.
Non che questi Teucri\Iliei abbiano un destino diverso: anche per Pausania si imbarbarirono, divenendo simili ai Libi nell’aspetto, nelle armature e in ogni altro costume di vita.
Ma questi “Libi” cui assomigliavano, chi erano? I Cartaginesi? O i Libi di Sardo che forse erano al “componente più numerosa” che aveva assorbito i greci (e, a questo punto, i Troiani)?
Ancora una volta le risposte possono essere solo frutto di ipotesi.
Ma di Sardi\Tirreni e di Sardi\Troiani, ne parleremo prossimamente.
Altre ipotesi che non possono trovare una risposta definitiva.
Ma attenzione: abbiamo detto che se Diodoro parla sempre di Iolaei (poi rinominati Diagesbei, secondo Strabone), Pausania parla di Iliesi, come il geografo Pomponio Mela.
Una piccola differenza di pronuncia, di trascrizione o qualcosa di più?
Nel mito le parole, le sfumature sono importanti. Alcuni miti sembrano nati da etimi sbagliati…
Torniamo a Strabone: secondo lui “barbari” dell’isola, poi unitisi ai Tespiadi, erano Tirreni. E di questo dovremo parlare, anche se il fatto che i due popoli abitavano le due sponde dello stesso mare avrà di certo condizionato questa teoria.
Ma più interessante è ciò che dice Pausania. Parlando delle spedizioni dei Cartaginesi sull’isola, dice che essi annientarono quasi completamente gli Elleni, cioè gli Iolei. Ma, e qui sta la sorpresa, gli Iliei (non Iolei) dell’epoca dello scrittore non erano i sopravvissuti degli Elleni, bensì… dei Troiani!
Sì, proprio i Troiani si rifugiano nei “luoghi alti dell’isola” e nelle montagne “dal difficile accesso”, protette da opere difensive e precipizi.
Silio Italico, poeta del I secolo d.C. conferma e chiarisce che non si trattava di una svista, ma di una precisa linea della tradizione mitica: i Teucri (altro nome dei Troiani) sarebbero giunti in Sardegna “gettati dal mare” (naufragati? Dopo una tempesta?), e qui li raggiunse Iolao con i suoi Tespiadi.
Non che questi Teucri\Iliei abbiano un destino diverso: anche per Pausania si imbarbarirono, divenendo simili ai Libi nell’aspetto, nelle armature e in ogni altro costume di vita.
Ma questi “Libi” cui assomigliavano, chi erano? I Cartaginesi? O i Libi di Sardo che forse erano al “componente più numerosa” che aveva assorbito i greci (e, a questo punto, i Troiani)?
Ancora una volta le risposte possono essere solo frutto di ipotesi.
Ma di Sardi\Tirreni e di Sardi\Troiani, ne parleremo prossimamente.
Nessun commento:
Posta un commento