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lunedì 25 agosto 2014

L’ALMANACCO DEL BUON PAGANO NEL MESE AUGUSTANO – A.D. VIII KAL. SEPT. (25 agosto)




ANTE DIEM OCTAVUM KALENDAS SEPTEMBRES

DIES NEFASTUS PRIORE (giorno nefasto fino a mezzogiorno, fasto in seguito).

OGGI IUPPITER SARA’…
Serenus

SI RICORDA IN QUESTO GIORNO
AVVENIMENTI STORICI
OPICONSIVIA – Festa in onore della dea Ops Consiva, moglie del dio Consus. Dea dell'abbondanza del raccolto. Venne identificata con Rea e Cibele.

Terzo giorno del sacco di Roma da parte dei Visigoti di Alarico (410 d.C.).

I MORTI DEL GIORNO
79 d.C. – secondo la data tradizionale dell’eruzione del Vesuvio, muore Gaio Plinio Secondo, noto come Plinio il Vecchio, militare, politico e scrittore romano.

383 d.C. – a Lugdunum ucciso Graziano Augusto, figlio di Valentiniano I, nel corso dell’usurpazione di Magno Massimo. Figura da vituperare per ogni buon pagano: cristiano, inizialmente fu tollerante verso i pagani e persecutore degli eretici cristiani (specie i donatisti). Su impulso degli aborriti vescovi cristiani, si oppone al politeismo e nel 380 promulga l’editto di Tessalonica con cui si dichiara il cristianesimo religione di stato. Su influsso di Ambrogio di Milano fa rimuovere dal Senato Romano la statua e l’altare della Vittoria (382); spinto dallo stesso esecrando, nello stesso anno ordina la soppressione dei collegi sacerdotali pagani e la confisca dei loro beni. Cosa più grave di tutte, fu il primo Augusto a rifiutare la carica di Pontefice Massimo.


IL NUMEN DEL GIORNO: Krishna a Bangati
Si narra che Krishna “il nero”, ottavo avatar di Vishnu, un giorno andò con i suoi parenti e le sue gopi (pastorelle) dal villaggio natale di Nandgaon a quello di Bangati, luogo di nascita di Radha, la sua pastorella preferita.
Krishna e i suoi decisero di prendersi gioco della pelle chiara di Radha e delle gopi, e iniziarono a lanciare sulle fanciulle delle polveri colorate; le ragazze reagirono inseguendo i maschi con bastoni di legno (lathis) e picchiandoli, fino a costringerli alla fuga.
Questa vicenda è ricordata dai fedeli il primo plenilunio di marzo con la Festa dei Colori di Holi: la popolazione si riversa nelle strade e si spruzza addosso polveri e liquidi colorati; si ritiene che sia una festa che simboleggia la vittoria del Bene sul Male, la fine dell’inverno e l’inizio della primavera.
In Uttar Pradesh, tra Barsana e Nandgaon si ha la variante più vicina al racconto originale: qui la festa si chiama Lathmar Holi (dove lathmar sta per “picchiare con un bastone”), e ancora oggi gli uomini spruzzano sulle donne acqua mescolata a polveri colorate ricevendo in cambio bastonate (speriamo) simboliche. Nelle pause della sacra rappresentazione, si beve il Thandai, una bevanda lievemente inebriante a base di ganja… ovvero cannabis.
A ricordo dell’antica rivalità, non è consentito il matrimonio tra gli abitanti dei due paesi.

IL DETTO
Vae, inquit, puto deus fio (Accidenti!, disse, mi sa che sto diventando un dio)
Secondo la Vita di Vespasiano (XXIII,15) di Svetonio, il vecchio e pratico imperatore (celebre la sua frase “Pecunia non olet – Il denaro non puzza”) ad un certo punto si rese conto che la sua morte era imminente. Poiché sapeva che alla sua morte il Senato, su spinta del suo erede, avrebbe decretato l’apoteosi (cosa che avvenne), si rivolse alla sua corte e pronunciò la frase di cui sopra. Non sappiamo, in realtà se fosse più contento di diventare un dio, o triste perché lasciava questo mondo…


COLTIVARE CON GLI ANTICHI

Fatti due aratri, costruendoli in casa:
uno d'un solo pezzo, l'altro commesso, perché così sarà molto meglio:
se uno si rompe dietro ai buoi attaccherai l'altro.
D'alloro e d'olmo, immuni dai tarli, siano i timoni;
di quercia il ceppo, di leccio la bure. Compra due buoi di nove anni,
maschi: la loro forza non è facile a vincere;
sono nel pieno di giovinezza e a lavorare i migliori;
non lotteranno a mezzo del solco e l'aratro
non romperanno, lasciando il lavoro incompiuto.
Un uomo di quarant'anni, robusto, li segua,
nutrito d'un pane spartito per quattro in otto porzioni diviso,
che, al lavoro sollecito, il solco dritto ti tracci,
senza guardarsi d'intorno verso i compagni, ma all'opera
abbia la mente; un altro più giovane non è migliore di lui
nello spargere le sementi ed evitare un'altra semina;
un uomo più giovane è tutto intento dietro i compagni.

(Esiodo, Opere e Giorni)

TRE RIGHE, UN LIBRO
H-Ch. Puech (a cura di), Le religioni nel mondo classico, Mondadori-Laterza, 1992
Qui si ripubblicano i diversi articoli sul mondo classico compresi originariamente nel fondamentale “Storia delle Religioni”: dalla Creta Minoica, ai greco-etrusco-romani, dalle religioni orientali a Roma e al mazdeismo, fino al passaggio tra paganesimo e cristianesimo, tra lotta e contaminazione.

IL REGALO DEL GIORNO
Faba (Le fave)

Se una pentola pallida schiuma rossa per le fave,
spesso potrai dire di no ai banchetti dei ricchi.

(Marziale, Xenia, VII)

LA RICETTA DEL GIORNO (a cura di M. Terenzio Varrone)
Ubi allium ibi Roma (Dove c'è odore d'aglio c'è Roma)
Così dice il Frammento LIV, 201,1 delle Satire Menippee di Terenzio Varrone. E lo scrittore aggiunge altrove: “Avi et atavi nostri, cum allium ac cepe verba eorum olerent, tamen optime animati erant”(“I nostri nonni e bisnonni erano persone di nobilissimo animo nonostante i loro discorsi sapessero di aglio e di cipolla”). Quindi oltre che a raccontarci delle scarse abitudini odontoiatriche dei discendenti di Romolo (di cui ci informa, con un pizzico di ribrezzo da parte nostra, Catullo nell’ode 39, parlando dello sbiancante “naturale” usato dall’ibero Egnazio), Varrone ci indica due componenti indispensabili della cucina arcaica romana. E ciò non stupisca: prima delle Guerre Puniche (ma anche dopo, si pensi agli ideali di Catone il Censore e ad alcuni poesie di Orazio e Marziale) il popolo romano fu, per secoli, per lo più un popolo di contadini e che amava rappresentarsi come tale.
Quindi la ricetta del giorno oggi è in realtà un consiglio: più aglio e più cipolla metterete, e più i vostri piatti sembreranno dell’Urbe!

IL CONSIGLIO DEL GIORNO

Spesso per l'uomo il tacere è il più saggio dei pensieri.

(Pindaro, Nemea, V, 18)



NB: immagini, video e traduzioni non mi appartengono e sono qui solo a corredo di un divertissement. Questo blog non ha fini di lucro.

martedì 1 giugno 2010

MITOLOGIA INDIANA - Avatar non su Pandora! 11


E infine, al termine della nostra cavalcata tra i Desavatara di Vishnu, ecco Kalki(n).
Infine non a caso: Kalki è l'Avatar che verrà (secondo un etimo del suo nome: "kal ki avatar"), il decimo e ultimo Maha Avatara, che arriverà al culmine della corruzione di questo Kali Yuga. Il suo arrivo segnerà la fine di questo periodo "nero" per far ricominciare il grande ciclo con una nuova età dell'oro, un nuovo Krita Yuga.

Kalki è il "Cavallo Bianco" (o "Vishnu sul cavallo bianco", come viene raffigurato), e svolgerà il suo ruolo di Avatar coerentemente con i suoi predecessori: egli sarà il "distruttore della malvagità" ("kalka" significa anche "sporcizia, malvagità") che riporterà l'ordine al suo punto di partenza naturale.

Quando accadrà l'avvento di Kalki? Come nelle profezie escatologiche classiche, il "dove e quando" non sono specificati, a meno di non fare riferimento all' "anno di Brahma": il Kali Yuga (la nostra era) dovrebbe durare 1.200 anni e tradizionalmente è iniziato la mezzanotte del 18 febbraio 3102 a.C., momento della "morte" di Krishna.
Quindi ci troveremmo già in un nuovo Mahayuga (la sequenza di 4 yuga)... ovvero nell'età dell'oro!
Per non cadere in tentazioni Leibnitziane, ricordiamo che, per altri studiosi Vishnuiti, il Kali Yuga durerà 432.000 anni, e quindi Kalki apparirà sul cavallo bianco (e spada fiammeggiante) nell'iperbolica cifra dell'anno 428.899 d.C..

Il Kalki Purana è più preciso, specie negli obiettivi di Kalki: egli verrà a sconfiggere le tradizioni ritenute eretiche (dai gruppi integralisti Vishnuiti, per lo meno) in quanto non aderenti alla tradizione dei Veda, come Buddhismo e Giainismo.



Alcune piccole note
In alcune versioni del Buddhismo ritroviamo Kalki: egli sarà noto come Kulika, il re di Shambala, il leggendario regno che sarà fondato quando tutta l'umanità sarà illuminata.

In alcune rappresentazioni il cavallo di Kalki è alato. In alcuni passi è chiamato Devadatta, "Dono di Dio".

Ovviamente le interpretazioni di Kalki e del momento della sua venuta si sprecano, anche se molti studiosi concordano che la cifra di 432.000 anni sia simbolica (così come i 1.200 anni potrebbero essere non anni intesi in senso umano).

Come è avvenuto per il Messia atteso dagli Ebrei, nel corso della storia molti uomini si sono dichiarati come Kalki finalmente arrivato.
Savitri Devi Mukherji, autore vicino al nazismo, vide in Kalki la profezia dell'avvento di Hitler, destinato, a suo dire, a restaurare l'ordine e la superiorità degli Ariani.

Alcuni teosofisti (ripresi da alcuni esponenti New Age) hanno cercato di conciliare la figura di Kalki con quella del cavaliere in groppa al cavallo Bianco dell'Apocalisse tradizonalmente identificato con il portatore della "pestilenza"). A sostegno della loro tesi riportano che Kalki, in alcune fonti. affronterà i due gemelli Koka e Vikoka, in cui si vuol vedere la trasposizione dei Biblici Gog e Magog.

Per chi crede al 2012, ricordiamo che il calendario Maya riporta come data iniziale il 11 agosto 3114... non così lontano dalla data di inizio del Kali Yuga. Per i Maya siamo nell'era del quarto sole, come il Kali Yuga è la quarta era... si lascia al lettore la "facile" dimostrazione di come i 1.200 (o 432.000) anni indù possano esser conciliati col 21 dicembre 2012 (o 2013) attraverso un simbolismo scelto ad hoc.

È stato ipotizzato che il Kalki Purana sia stato scritto come risposta induista alle profezie buddhiste del Kalachakra Tantra o quelle relative a Maitreya.

domenica 30 maggio 2010

MITOLOGIA INDIANA - Avatar non su Pandora! 10


Siamo ormai alla fine delle nostre dieci "fatiche" mitiche. Ormai rimangono solo due Avatara di Vishnu, forse i più particolari della serie (anche se Narashima e Vamana non scherzano!), sicuramente i più anomali: Buddha e Kalki.

Forse qualcuno sarà stupito di trovare Buddha tra gli Avatara di Vishnu... Ma come? Il Buddhismo non nasceva proprio come "nuova via" oltre le illusioni del rito induista, e proprio per questo fu "cacciato" dal subcontinente indiano, dove rimase come religione marginale?
In realtà il modo di pensare occidentale trascura la capacità di assorbimento, di armonizzazione degli "opposti" che invece è propria della cultura indiana e indù in particolare: non dimentichiamo che anche Gesù Cristo, per alcuni gruppi, è l'ennesimo Avatara di Vishnu!

Così è vero che Siddharta Gautama (che nasce indiano, induista e Kshatrya, cioè appartenente alla casta dei guerrieri), diviene Buddha l'Illuminato, colui che fonda la filosofia di vita (solo dopo religione) che conquisterà il cuore del re Asoka dei Maurya e che metterà a serio rischio il primato dell'induismo nell'India stessa.
Ma l'induismo ha la sua vitalità, e passa al contrattacco, e il miglior modo è proprio quello di fare del nemico un alleato: anzi, una parte del proprio sistema, una parte limitata da questa assimilazione, e per questo stesso fatto, reso innocuo.
In fondo Gautama si era comportato così come tutti gli Avatara di Vishnu: aveva lottato contro il male (anche se di questo "male" facevano parte i brahmini e, in un certo senso, le divinità induiste classiche), per restaurare il Dharma, la Legge fiaccata da insegnamenti decaduti e da dogmi ormai vuoti e ossessionanti.
E soprattutto era un personaggio amato a livello popolare: come accadrà con alcune divinità pagane divenute santi cristiani, i teologi brahmini troveranno con l'escamotage dell'Avatara la conciliazione che permetterà loro di non scontentare il popolo, e insieme di non avere un pericoloso rivale, ancora più forte in caso di contrapposizione netta.

Con questo approccio, la carica rivoluzionaria dell'insegnamento di Gautama Buddha viene neutralizzata.
Egli stesso diventa un Avatara di cui parlare poco (compare nel Matsya Purana e nella Bhagavata Purana), da confondere con altri Buddha della tradizione ("Buddha", in fondo, significa semplicemente "colui che ha raggiunto l'illuminazione"... quale essa sa), di cui dare immagini induizzate e "normalizzate", che mostrano il Buddha circondato dagli dei che aveva respinto nella sua predicazione, o come uno yogin, a ricordare la necessaria origine induista della sua illuminazione.

Alcune piccole note...
Già nel Rig-Veda (i testi più antichi dei vedanta) esisteva un Buddha, figlio di Soma e Tara (la moglie infedele di Brihaspati), identificato col pianeta Mercurio.

Nell'elenco degli Avatara talvolta Buddha è sostituito da Balarama, il fratellastro di Krishna. Come abbiamo già raccontato, infatti, secondo alcuni gruppi Krishna sarebbe più che un Avatara, ma il vero e proprio Vishnu sceso sulla Terra.

E' ormai divenuto un classico il paragone tra Buddha nei suoi rapporti con l'induismo, e Gesù Cristo nei confronti dell'ebraismo: tanto il Buddha quanto il Cristo sembrano contestare la decadenza della tradizione più che la tradizione stessa, e porsi come coloro che completano e rivelano un messaggio che ha perso la sua primitiva direzione.
Si dice che il brahmano sia per il Buddha quel che il fariseo è stato per Gesù: per il Dhammapada il brahmano può essere un buon brahmano o uno stolto, esattamente come il fariseo nel Vangelo.

lunedì 17 maggio 2010

MITOLOGIA INDIANA - Avatar non su Pandora! 9


E veniamo all'ultimo "vero" grande Avatara di Vishnu, il dio del Kali-Yuga dove viviamo anche noi, ovvero Krishna il Nero.
In realtà è l'ottavo Avatara, ma Buddha sarà coansiderato tale per un compromesso religioso con i vertici politici, e Kalki... beh, Kalki è un'altra storia.

Dalle Upanishad e il Mahabharata, fino al diciassettesimo secolo, Krishna amalgama diversi aspetti spesso contraddittori (qualche studioso azzarda che sia la sintesi di almeno quattro diversi personaggi), dal sublime al licenzioso, dalla riflessione teologica e spiritualizzata alla favola popolare.
E se Rama è il dio puro degli ariani del Nord, Krishna è un dio misto, appartenente all'intera India.

La sua nascita è favolosa, anzi: favolistica. Siamo ormai alle soglie della nostra era, la terribile Era Nera (Kali Yuga), il periodo della decadenza in attesa dell'età dell'oro che darà l'avvio del nuovo ciclo.
E la decadenza e l'intrigo sono le caretteristiche dell'ambiente di ascita di Krishna: la corte di Mathura, dove il re Kansa, usurpatore del trono del proprio padre, con poteri di stregone devasta talmente la Terra che essa invoca Vishnu di salvarla dalle sue grinfie.
Nel frattempo Kansa ha ricevuto la profezia che sarebbe stato ucciso da uno degli otto figli di Vasudeva, marito di sua cugina.

Così il re fa uccidere i primi sei nipoti, ma non riesce ad eliminare Balarama, figlio di Vasudeva e Rohini, né Krishna, figlio di Vasudeva e di Devaki, cugina di Kansa stesso: Krishna verrà infatti scambiato con una bimba, e dopo un attraversamento rischioso del fiume Yamuna gonfio dai monsoni, verrà portato dal pastore Nanda presso cui crescerà come mandriano.

Sopravvissuto ai tentativi di Kansa di eliminarlo per mezzo di demoni, Krishna cresceva, diventando celebre per la sua abilità nel suonare il flauto e nelle sue piccanti avventure con le pastorelle (le Gopi) e in particolare Radha.
Divenuto un grande guerriero, sconfigge non solo varie tribù nemiche, e infine uccide Kansa.

A questo punto le sue vicende si innestano nella grande vicenda del Mahabharata, la guerra tra i cugini Panduidi contro i Kauravidi per il trono. Krishna cerca porima di mediare, poi combatte accanto ai Panduidi, camuffandosi da cocchiere di Arjuna, il principale campione dei figli di Pandu.
Krishna non combatterà direttamente la guerra: egli si limita a dare consigli ad Arjuna. Essi sono esplicitati e sintetizzati in un canto del Mahabharata, il Bhagavad Gita o "Canto del Beato", il vertice dell'insegnamento vishnuita.
La vittoria dei Panduidi consentirà la restaurazione dell'ordine e della Dharma.

Krishna troverà la sua morte secondo il computo indiano nel 3102 a.C., quando i suoi sudditi, gli abitanti della città di Dvarka, si danno a tutti i vizi, e nell'ubriachezza si uccidono ta loro.
Anche Balarama muore: dalla sua bocca esce un grande serpente bianco che si dirige verso l'Oceano, scomparendo.
Krishna stesso rimane immobile nello Yoga a meditare sulle disgrazie del suo poplo, viene ucciso per sbaglio da un cacciatore, che lo colpisce con una freccia al calcagno, unico punto vulnerabile dell'Avatara. Il dio lasciò quindi il suo corpo da Avatara e tornò alla sua forma immortale.
Subito dopo Dvarka sprofonda nell'Oceano, la stirpe di Krishna si estingue come era stato predetto, e il mondo entra nella Kali-Yuga.

Alcune piccole note...
Il salvataggio del neonato Krishna ricorda altri miti di bimbi "salvati dalle acque": Sargon di Akkad, Mosè, Romolo e Remo, Perseo...

C'è chi dice che in realtà l'ottavo Avatara di Vishnu sarebbe Balarama, fratellastrio e compagno di avventure di Krishna. Krishna, infatti, non sarebbe un vero e proprio Avatara, ma Iddio "completo" sceso in terra, e quindi sarebbe trascendentalmente superiore agli Avatara stessi.
Si sostiene, inoltre, che il serpente uscito dalla bocca di Balarama alla morte di questi, sarebbe in realtà Ananta, il serpente dalle molte teste che sorregge Vishnu nel suo aspetto di Anantasayin.

Non c'è bisogno di ricordare quale altro personaggio mitico, coinvolto in una grande guerra, fosse vulnerabile solo a un tallone, e morì per una freccia...

domenica 16 maggio 2010

MITOLOGIA INDIANA - Avatar non su Pandora! 8


Con il settimo (Rama) e l'ottavo (Krishna) Avatara di Vishnu entriamo in un territorio vasto e, per così dire, minato.
Vasto perchè la letteratura sui due principali Avatara del Ripristinatore è vastissima: basti solo dire che a Rama è dedicato uno dei due grandi poemi epici dell'india Antica, cioè il Ramayana; e che Krishna occupa una parte molto importante nell'altro garnde poema, l'immenso (e non solo in termini di lunghezza!) Mahabharata.
Minato perchè ancora oggi milioni (anzi: centiania di milioni) di indù vedono ancora oggi in loro non solo un'Avatara, ma un modello, una divinità a sè stante (se questo termine ha un senso nell'induismo), il compimento di un ideale divino. Essi sono il dio nella storia.
Rama e Krishna sono il compimento delle incarnazioni storiche di Vishnu, e con la loro figura emerge e viene definita una volta per tutte la caratterizzazione ideale per gli Indù.
Ci limiteremo, dunque, per entrambi a descrivere i tratti essenziali del mito.

Rama (o Ramachandra) è l'eroe divino del Nord, è il simbolo degli Kshatriya, i guerrieri. Ne consegue che si contrappone a Parasurama (il "Rama con la scure"), il brahmano del Sud. Rama è Vishnu sceso sulla terra a conquistare tutto il subcontinente indiano, compresa l'isola di Sri Lanka, per portare il Dharma (la Legge) degli Arya indù nelle terre dell'Adharma, dei barbari del Sud. Egli porta a compimento ciò che negli antichi miti era stato il compito di Aryaman il Nobile, di Indra e di Vishnu-Hari.


Il mito "definito" di Rama ricalca le tracce delle vicende dei precedenti Avatara: nel Treta-Yuga (il "secondo periodo", l'era degli eroi) l'ordine cosmico è minacciato dal re-demone Ravana. Questi ha ottenuto da Brahma il dono dell'invulnerabilità agli attacchi di dei e demoni, e con esso spadroneggia la Terra a partire da Lanka, sterminando io rishi (santi uomini) e distruggendo gli altari degli dei, e umilia gli dei costringendoli al suo servizio (Vayu dio del vento spazza le sale del suo palazzo; Kubera, dio della ricchezza lo rifornisce d'oro; Varuna, dio delle acque, gliele porta; Agni, dio del fuoco, è il suo cuoco).
Nel frattempo Nord un vecchio re senza figli, Dasaratha, regna su Ayodhya, dopo aver combatturto accanto agli dei contro i demoni: durante una battaglia era stato gravemente ferito e solo le cure della moglie Kaikeya avevano salvato il re da morte certa; per riconoscenza il re aveva promesso alla sua sposa di esaudire due suoi desideri.
Dei e uomini agiscono insieme, secondo le mosse di un destino che si svelerà col tempo: gli altri dei pregano Vishnu di liberarli da Ravana, proprio mentre il vecchio re Dasaratha compie il "sacrificio del Cavallo". Il pio re getta la sua offerta nel fuoco-Agni, e subito si forma una figura armata con un arco d'oro, che invita il vecchio re a dare l'offerta alle sue tre mogli, così che possano finalmente generare
Da questo rito al re nasceranno non uno, ma ben quattro figli dalle tre mogli del re: Rama da Kausilya, Bharata da Kaikeya, Lakshmana e Satruga da Sumitra; i quattro fartelli saranno sempre idealmente uniti, ma Rama è l'Avatara di Vishnu, e solo Lakshmana lo accompagnerà nelle sue imprese.

Dopo uccisioni di diavolesse fatte da bambino, Rama fa il suo apprendistato, prima da santo (nell'eremitaggio del Rishi Visvamita) e solo dopo, e quasi a malavoglia, lascerà la via della saggezza per quella della guerra. E' infatti il saggio Visvamitra a portare il giovane Rama alla corte del re Janaa, per concorrere alla mano della bella Sita, nata da un solco arato e adottata dal re.
Per sposare la principessa occorreva superare una prova, lo swayamvara: solo chi avesse sollevato l'arco di Shiva e fosse riuscito a scagliare una freccia con esso avrebbe avuto la mano di Sita. Solo Rama ci riuscì, anzi con la sua forza spezzò l'arco divino.
Il padre a questo punto lo voleva incoronare erede e re, ma la moglie Kaikeya gli ricordò il giuramento fatto all'epoca della guerra contro i demoni, ed espose le sue richieste: che Rama andasse in esilio ep quattordici anni, e che la corona passasse a Bharat. Seppur sconvolto, il re non venne meno al suo giuramento, ed esiliò Rama.

L'esilio di Rama non fu solitario: con lui andarono Sita e il fedele fratello Lakshman. Fu una vita di meditazione e di lotte contro i demoni. Alla morte per crepacuore di Dasharata, Bharat propose al fratello di prendere il trono, ma Rama rifiutò proprio per onorare la promessa del padre, e Bharat dichiarò quindi che avrebbe regnato in vece del fratello.

Tra le varie imrpese compiute nell'esilio, nel bosco di Dandaka, Rama mutilò il demone Supnaka. Questi, per vendicarsi, chiese aiuto a suo fratello Ravana. Il re-demone, dalle dieci teste e dalle venti braccia, si precipita sulla selva sul suo carro volante Pushpaka, vede Sita, la desidera e la rapisce.
A questo punto Rama va alla ricerca di Sita. Armato dell'arco Dhanu, il miglior arco del mondo, e con l'aiuto del fratello Lakshmana, Rama va verso Sud, dove si guadagna la stima e l'alleanza delle popolazioni locali, ma anche di Sugriva, il re delle Scimmie.
E sarà proprio un generale-scimmia, Hanuman, dopo una missione da "spia" in territorio nemico a scoprire dove è tenuta prigioniera Sita: la sposa di Rama si trova a Lanka, nel ciurore del regno di Ravana. E' ancora Hanuman a concepire il piano che porterà all'assalto finale: le sue scimmie costruiscono un ponte tra l'India e Lanka, così che Rama possa attraversare il mare e affrontare Ravana, con il suo esercito arricchito dagli orsi di re Jambavan.



La battaglia fu furiosa, Rama rischiò di morire a causa della freccia fatata lanciata da Indrajit, figlio di Ravana, ma fu salvato dall'intervento di Garuda, il "veicolo" di Vishnu. Alla fine Ravana stesso dovette uscire ad affrontare i suoi nemici, sicuro della propria invulnerabilità: ogni volta che Rama gli colpiva una delle sue dieci teste, staccandogliele dal corpo, esse ricrescevano. Solo una freccia dritta al cuore lo abbatterà definitivamente.

Ma la saga non finisce qui: per senso dell'onore Rama non può riprendere con sè Sita, poichè non è possibile stabilire con certezza che ella gli sia stata fedele durante la prigionia. Allora Sita fa preparare una pira, per immolarsi come una vedova al funerale del marito nel rito del Sati: ma Agni, che consuma le vedove, la ridà illesa al marito.
la prova della fedeltà di Sita è ormai indubitabile: Rama è re di Lanka, Hanuman e gli dei esultano per la vittoria e Rama e Sita potranno tornare gloriosi ad Ayodhya a regnare felici.

Alcune piccole note...
La cerimonia nota come "Sacrificio del Cavallo" (asvameda) è una affermazione della sovranità universale dei re indù: il cavallo da sacrificare veniva lasciato libero di andare dove volesse per un anno (metà anno, secondo alcuni commentatori) prima di essere sacrificato; se entrava in territori vicini, il re doveva fare di tutto epr sottometterli. Se ne volete sapere di più, potete consultare questa pagina (in inglese).

Il giuramento di Dasaratha alla moglie ripete lo schema tipico della "promessa incauta" che abbiamo già visto altrove nel mito di Vamana (vedi le note).

Si dice che il liquore dato da Vishnu nella fiamma a Dasaratha fu così distribuito tra le sue mogli: metà a Kausilya (che generò Rama) e l'altra metà alle altre due. Lakshmana è così anche egli una parte di Vishnu, ed è una figura "minore" solo al fratello, di cui è un duplicato. nnell'iconografia indiana compare spesso accanto a Rama e Sita, come triade che quasi sempre è umilmente adorato da Hanuman.

Sita, la "figlia della terra" è considerata un Avatara di Lakshmi, la moglie di Vishnu.

Da Bharat discenderanno i Panduidi e i Kuruidi, i due gruppi di cugini che si affronteranno nella grande guerra narrata nel Mahabharata e che vedrà protagonista tra gli altri il successivo Avatara di Vishnu, cioè Krishna. Il nome stesso dell'Unione Indiana (Bharat Ganarajya) deriva da lui.

La prova dello swayamvara per poter sposare la principessa ricorda alla lontana la prova che i Proci dovettero affrontare per sposare Penelope: tendere l'arco di Ulisse. Si tratta forse del residuo di un antico rito (o mito?) indoeuropeo?
In fondo, per Robert Graves il nome Ulisse\Odisseo (l' "iroso") si riferisce al volto rosso del re sacro (I miti greci, 170, 11), e Shiva ha preso gli attributi del dio vedico "Rudra"... ovvero "il Rosso cinghiale del cielo"!
Non dimentichiamo che anche Eracle, per poter sposare Iole, dovette battere il padre Eurito a una gara di tiro con l'arco: si dice che l'arco di Eurito fu dato da suo figlio Ifito ad Odisseo, e sarebbe proprio quello l'arco usato per la strage di Proci.

Il carro Pushpaka e l'arco Dhanu sono due delle "quattordici cose desiderabili" nate dal"frullamento dell'Oceano".

Alcune versioni cingalesi descrivono Ravana come un re giusto che lottò per difendere le sue terre dall'assalto di Rama invasore. Per altre sette indù egli, invece, è il male assoluto. Il demone "buono" si ritrova anche nella figura del re Bali, ucciso da Vamana Avatara.

Alcune versioni successive del mito non hanno l'"happy end" che tanto piace agli sceneggiatori di Bollywood: si dice che il geloso Rama ripudiò di nuovo Sita, e che lei, dopo anni di esilio, morì inghiottita dalla terra da cui era venuta. Rama ne restò amareggiato fino alla morte.

mercoledì 28 aprile 2010

MITOLOGIA INDIANA - Avatar non su Pandora! 7


Il Sesto Avatara di Vishnu è Parasurama, il "Rama con la scure", e ancora una volta dopo Narashima, torniamo ai Purana e agli Avatara "eroici" di Vishnu.

Sullo sfondo di un conflitto storico che per due generazioni devastò la costa del Malabar, il mito narra che la tardizionale superiorità dei Brahmani fu sfidata da re Kartavirya di Haihaya: questi, un fortissimo guerriero dalle cento braccia, andò a visitare Jamadagni, un saggio Brahmano dell'Ashram; il Rishi ("saggio" o "profeta") lo ospitò onorevolmente, ma lo sleale re, al momento di ripartire, rubò Surabhi (la "vacca dell'abbondanza" di cui parla il mito di Kurma Avatara) e insulta Renuka, la moglie di Jamadagni.



Parasurama, il quinto figlio del sacerdote, era stato istruito da Shiva stesso fino a diventare il "Dio dalla scure invincibile". Per vendicare l'offesa inseguì Kartavirya e lo uccise. Di rimando il figlio del re invase l'Ashram e uccise Jamadagni.
Parasurama giurò di vendicare il padre e sterminare tutta l'intera casta dei guerrieri (Kshatriya): e per ventuno anni proseguì la sua opera finchè non ne rimase alcuno vivo.
Puniti i sacrileghi, però, l'ordine sociale era stato alterato: una delle caste, fondamentale nella società induista, non esisteva più! Perciò furono gli stessi Brahmani a unirsi alle mogli dei Guerrirei sterminati, dando origine a una nuova schiatta di Guerrieri.

Alcune piccole note...
L'inclusione di Parasurama tra gli Avatara di Vishnu crea alcuni "problemi" mitici di coerenza: infatti Rama (o Ramachandra, il settimo Avatar di Vishnu)lo incontra e ne è rivale! L'incoerenza potrebbe trovare una sua conciliazione ai nostri occhi occidentali (per l'indù che conosce l'illusione e la contraddittorietà del nostrio mondo sensibile il problema ovviamente non si pone) nel fatto che storicamente Rama è un Avatar del nord, mentre Parasurama è una figura legata al Sud del subcontinente indiano.

Si narra che, con l'ascia donatagli da Shiva, Parasurama fermò l'avanzata dell'oceano salvando le terre di Konkan e Malabar.

Il Mahabharata sostiene che, a causa dello sterminio della prima stirpe Kashatriya e dell'origine della seconda dai Brahmani, in India non ci sia più una vera e propria casta di puri soldati.

Il furto di un bovino straordinario (qui la "vacca dell'abbondanza") come causa di una guerra, si ritrova all'altro estremo del mondo indoeuropeo, ovvero in Irlanda: la lunga guerra tra Connacht e Ulster è narrata nel "Tain Bo Cuialgné", ovvero "La razzia del bestiame di Quelgny", e culmina con lo scontro tra due tori leggendari, il Toro Bruno di Quelgney e il Toro dalle Bianche Corna di Ailell.

domenica 18 aprile 2010

MITOLOGIA INDIANA - Avatar non su Pandora! 6


Dopo una pausa (troppo lunga? Troppo breve? A voi la scelta...) riprendiamo la nostra narrazione dei Dieci Grandi Avatara di Vishnu (i Dasavatara). Stavolta il Conservatore si manifesa finalmente con una forma umana, anche se di un umano particolare... Quella di Vamana, un nano\gigante che forse solo la mente di David Lynch può riprendere con "onirica" pienezza.
Se vogliamo, questo è l'ultimo degli Avatara antichi, cosmici, insieme a Matsya, Kurma e Varaha: e infatti è ambientato non nella nostra era, ma nella Treta Yuga, la Seconda Era.

Si narra che il re Bali fosse un Daitya, un demone che grazie a infinite penitenze (tapas), mortificazioni e sacrifici (Yajna) aveva ottenuto il potere sui Tre Mondi. Pare fosse un re giusto e buono, nonostante la sua origine.
Gli dei temevano il suo potere, e implorarono Vishnu di intervenire a restaurare l'ordine che vedeva il loro potere prevalere su quello dei Demoni.

Durante una grande festa religiosa, era costume che i Brahmani-Sanyasi ("Brahmani girovaghi") fossero ricevuti dal re Bali e caricati di doni. Al Re apparve un Brahmano nano, coperto da poche vesti e da un ombrellino, figlio di Kasyapa e Aditi.
Vamana, questo era il suo nome, chiede al re un poco di terra, tanta quanta ne avrebbe potuto coprire con tre passi. Alla richiesta, Bali rise: egli era enormemente ricco e dominava tutta la Terra.
I Brahmani di corte, Asuraguru e Sukracharya, intuirono il pericolo e consigliarono al re di rifiutare, poichè temevano che dietro Vamana si nascondesse Vishnu; ma Bali, favorevole al tradizionale dovere della carità, concesse il dono, rafforzandolo col giuramento.
A questo punto, Sukracharya, il maestro spirituale di Bali, maledisse l'incauto allievo.

Allora Vamana miracolosamente crebbe di dimensione fino a sembrare infinito, divenendo il gigante Vishnu Trivikarma: costui con un passo coprì tutto il mondo umano, poi con il secondo coprì tutto il cielo.
Il territorio di Re Bali era ormai esaurito, e Vishnu chiese al (supponiamo esterrefatto) re, dove avrebbe dovuto porre il suo terzo passo; per mantenere la sua promessa, questi gli offrì tutto ciò che gli era rimasto, e cioè la sua testa: perciò Vamana pose il suo piede sulla testa di Re Bali, spingendolo dolcemente negli Inferi.

Alcune piccole note
Alcune versioni narrano che il magnanimo Vishnu, in graziea della fede e della generosità di Bali, rinunciò generosamente al suo terzo passo: così a Bali rimase la terza parte del suo dominio, cioè le regioni dell'inferno (Pataloka).

"Treta Yuga" signfica letteralmente "il terzo Yuga", ovvero il terzo dei grandi periodi in cui è diviso ciascun ciclo dell'Universo. Perchè allora abbiamo detto che la vicenda di Vamana si svolge nella seconda era? Ma perchè il computo si fa al contrario!
La prima era in ordine di tempo è la "quarta era" (sic!) o Krita Yuga (ma anche "Satya Yuga, o "Yuga della verità"); la seconda in ordine di tempo è la "terza" (Treta Yuga); la terza è chiamata "la seconda" (Dvapara Yuga); e infine la quarta è la nostra, la Kali-Yuga, l'età nera.

Successivamente Bali è stato identificato come discendente del giusto Prahlada, che abbiamo visto nel mito di Narashima; pare che il re fosse devotissimo di Indra, e così entrò in conflitto con il culto di Vishnu. Leggendariamente è legato alla città di Mahabalipuram (Capitale del Grande Bali), presso Madras, e molti testi dicono che fosse buono ed estremamente religioso: si dice addirittura che Vishnu si compiacque che il re avesse mantenuto la sua promessa a dispetto della maledizione del suo maestro spirituale e della prospettiva di perdere tutto, perciò lo chiamò Mahabali (riconoscendolo quindi come "mahatma" cioè "grande anima"). Di più: gli permise di ascendere nel cielo insieme alle altre divinità e gli concesse di dominare di nuovo il mondo nel prossimo Yuga, il Krita Yuga del prossimo ciclo.

Secondo una tradizione festeggiata ogni anno nel Kerala, Mahabali torna ogni anno nella terra della sua gente, per assicurarsi che vivano felici.

Il mito è una delle varianti della "promessa incauta", che appare anche nei miti di Semele, Fetonte, e in quello dell'Avatar Narashima.
Ma, se vogliamo, il paragone più vicino è quello di Didone: la regina fenicia ottenne di poter avere dal re Iarba una porzione di terra africana, tanta quanto ci poteva stare in una pelle di bue: Iarba credeva di potersi dimostrare generoso senza concedere quasi nulla alla regina esule. Tuttavia Didone tagliò la pelle in strisce tanto sottili da poter comprendere un territorio di ventidue stadi, su cui fondò Cartagine.

I "tre passi" di Vishnu del mito di Vamana sono una variante del mito più antico: originariamente Vishnu Trivikarma creava i tre Mondi con i suoi passi; il mito di Vamana, successivo, distrugge il potere di Bali e restaura l'ordine.

Se vogliamo trovare un'analogia "al contrario" ai tre passi di Vishnu, valutando come le distanze per glid ei siano ben diverse dalle distanze concepite dagli umani, possiamo riovolgerci alla leggenda dello Scimmiotto cinese: qui Sun Goku, sfidato da Buddha, fece un balzo di migliaia di li (le "miglia" cinesi) per ottenere il dominio dell'Universo... solo per scoprire di non essere uscito dalla mano di Buddha.

Un racconto cinese parla del Gigante Kuafu che rincorse il sole per un giorno intero, coprendo migliaia di miglia e riuscendo ad arrivare la sera al luogo in cui il Sole stesso riposava: insomma, coprì con i suoi passi l'intera lunghezza del mondo in un giorno. Lo stolto Kuafu però allungò le mani per prendere il sole e ne fu prosciugato.