domenica 16 maggio 2010

MITOLOGIA INDIANA - Avatar non su Pandora! 8


Con il settimo (Rama) e l'ottavo (Krishna) Avatara di Vishnu entriamo in un territorio vasto e, per così dire, minato.
Vasto perchè la letteratura sui due principali Avatara del Ripristinatore è vastissima: basti solo dire che a Rama è dedicato uno dei due grandi poemi epici dell'india Antica, cioè il Ramayana; e che Krishna occupa una parte molto importante nell'altro garnde poema, l'immenso (e non solo in termini di lunghezza!) Mahabharata.
Minato perchè ancora oggi milioni (anzi: centiania di milioni) di indù vedono ancora oggi in loro non solo un'Avatara, ma un modello, una divinità a sè stante (se questo termine ha un senso nell'induismo), il compimento di un ideale divino. Essi sono il dio nella storia.
Rama e Krishna sono il compimento delle incarnazioni storiche di Vishnu, e con la loro figura emerge e viene definita una volta per tutte la caratterizzazione ideale per gli Indù.
Ci limiteremo, dunque, per entrambi a descrivere i tratti essenziali del mito.

Rama (o Ramachandra) è l'eroe divino del Nord, è il simbolo degli Kshatriya, i guerrieri. Ne consegue che si contrappone a Parasurama (il "Rama con la scure"), il brahmano del Sud. Rama è Vishnu sceso sulla terra a conquistare tutto il subcontinente indiano, compresa l'isola di Sri Lanka, per portare il Dharma (la Legge) degli Arya indù nelle terre dell'Adharma, dei barbari del Sud. Egli porta a compimento ciò che negli antichi miti era stato il compito di Aryaman il Nobile, di Indra e di Vishnu-Hari.


Il mito "definito" di Rama ricalca le tracce delle vicende dei precedenti Avatara: nel Treta-Yuga (il "secondo periodo", l'era degli eroi) l'ordine cosmico è minacciato dal re-demone Ravana. Questi ha ottenuto da Brahma il dono dell'invulnerabilità agli attacchi di dei e demoni, e con esso spadroneggia la Terra a partire da Lanka, sterminando io rishi (santi uomini) e distruggendo gli altari degli dei, e umilia gli dei costringendoli al suo servizio (Vayu dio del vento spazza le sale del suo palazzo; Kubera, dio della ricchezza lo rifornisce d'oro; Varuna, dio delle acque, gliele porta; Agni, dio del fuoco, è il suo cuoco).
Nel frattempo Nord un vecchio re senza figli, Dasaratha, regna su Ayodhya, dopo aver combatturto accanto agli dei contro i demoni: durante una battaglia era stato gravemente ferito e solo le cure della moglie Kaikeya avevano salvato il re da morte certa; per riconoscenza il re aveva promesso alla sua sposa di esaudire due suoi desideri.
Dei e uomini agiscono insieme, secondo le mosse di un destino che si svelerà col tempo: gli altri dei pregano Vishnu di liberarli da Ravana, proprio mentre il vecchio re Dasaratha compie il "sacrificio del Cavallo". Il pio re getta la sua offerta nel fuoco-Agni, e subito si forma una figura armata con un arco d'oro, che invita il vecchio re a dare l'offerta alle sue tre mogli, così che possano finalmente generare
Da questo rito al re nasceranno non uno, ma ben quattro figli dalle tre mogli del re: Rama da Kausilya, Bharata da Kaikeya, Lakshmana e Satruga da Sumitra; i quattro fartelli saranno sempre idealmente uniti, ma Rama è l'Avatara di Vishnu, e solo Lakshmana lo accompagnerà nelle sue imprese.

Dopo uccisioni di diavolesse fatte da bambino, Rama fa il suo apprendistato, prima da santo (nell'eremitaggio del Rishi Visvamita) e solo dopo, e quasi a malavoglia, lascerà la via della saggezza per quella della guerra. E' infatti il saggio Visvamitra a portare il giovane Rama alla corte del re Janaa, per concorrere alla mano della bella Sita, nata da un solco arato e adottata dal re.
Per sposare la principessa occorreva superare una prova, lo swayamvara: solo chi avesse sollevato l'arco di Shiva e fosse riuscito a scagliare una freccia con esso avrebbe avuto la mano di Sita. Solo Rama ci riuscì, anzi con la sua forza spezzò l'arco divino.
Il padre a questo punto lo voleva incoronare erede e re, ma la moglie Kaikeya gli ricordò il giuramento fatto all'epoca della guerra contro i demoni, ed espose le sue richieste: che Rama andasse in esilio ep quattordici anni, e che la corona passasse a Bharat. Seppur sconvolto, il re non venne meno al suo giuramento, ed esiliò Rama.

L'esilio di Rama non fu solitario: con lui andarono Sita e il fedele fratello Lakshman. Fu una vita di meditazione e di lotte contro i demoni. Alla morte per crepacuore di Dasharata, Bharat propose al fratello di prendere il trono, ma Rama rifiutò proprio per onorare la promessa del padre, e Bharat dichiarò quindi che avrebbe regnato in vece del fratello.

Tra le varie imrpese compiute nell'esilio, nel bosco di Dandaka, Rama mutilò il demone Supnaka. Questi, per vendicarsi, chiese aiuto a suo fratello Ravana. Il re-demone, dalle dieci teste e dalle venti braccia, si precipita sulla selva sul suo carro volante Pushpaka, vede Sita, la desidera e la rapisce.
A questo punto Rama va alla ricerca di Sita. Armato dell'arco Dhanu, il miglior arco del mondo, e con l'aiuto del fratello Lakshmana, Rama va verso Sud, dove si guadagna la stima e l'alleanza delle popolazioni locali, ma anche di Sugriva, il re delle Scimmie.
E sarà proprio un generale-scimmia, Hanuman, dopo una missione da "spia" in territorio nemico a scoprire dove è tenuta prigioniera Sita: la sposa di Rama si trova a Lanka, nel ciurore del regno di Ravana. E' ancora Hanuman a concepire il piano che porterà all'assalto finale: le sue scimmie costruiscono un ponte tra l'India e Lanka, così che Rama possa attraversare il mare e affrontare Ravana, con il suo esercito arricchito dagli orsi di re Jambavan.



La battaglia fu furiosa, Rama rischiò di morire a causa della freccia fatata lanciata da Indrajit, figlio di Ravana, ma fu salvato dall'intervento di Garuda, il "veicolo" di Vishnu. Alla fine Ravana stesso dovette uscire ad affrontare i suoi nemici, sicuro della propria invulnerabilità: ogni volta che Rama gli colpiva una delle sue dieci teste, staccandogliele dal corpo, esse ricrescevano. Solo una freccia dritta al cuore lo abbatterà definitivamente.

Ma la saga non finisce qui: per senso dell'onore Rama non può riprendere con sè Sita, poichè non è possibile stabilire con certezza che ella gli sia stata fedele durante la prigionia. Allora Sita fa preparare una pira, per immolarsi come una vedova al funerale del marito nel rito del Sati: ma Agni, che consuma le vedove, la ridà illesa al marito.
la prova della fedeltà di Sita è ormai indubitabile: Rama è re di Lanka, Hanuman e gli dei esultano per la vittoria e Rama e Sita potranno tornare gloriosi ad Ayodhya a regnare felici.

Alcune piccole note...
La cerimonia nota come "Sacrificio del Cavallo" (asvameda) è una affermazione della sovranità universale dei re indù: il cavallo da sacrificare veniva lasciato libero di andare dove volesse per un anno (metà anno, secondo alcuni commentatori) prima di essere sacrificato; se entrava in territori vicini, il re doveva fare di tutto epr sottometterli. Se ne volete sapere di più, potete consultare questa pagina (in inglese).

Il giuramento di Dasaratha alla moglie ripete lo schema tipico della "promessa incauta" che abbiamo già visto altrove nel mito di Vamana (vedi le note).

Si dice che il liquore dato da Vishnu nella fiamma a Dasaratha fu così distribuito tra le sue mogli: metà a Kausilya (che generò Rama) e l'altra metà alle altre due. Lakshmana è così anche egli una parte di Vishnu, ed è una figura "minore" solo al fratello, di cui è un duplicato. nnell'iconografia indiana compare spesso accanto a Rama e Sita, come triade che quasi sempre è umilmente adorato da Hanuman.

Sita, la "figlia della terra" è considerata un Avatara di Lakshmi, la moglie di Vishnu.

Da Bharat discenderanno i Panduidi e i Kuruidi, i due gruppi di cugini che si affronteranno nella grande guerra narrata nel Mahabharata e che vedrà protagonista tra gli altri il successivo Avatara di Vishnu, cioè Krishna. Il nome stesso dell'Unione Indiana (Bharat Ganarajya) deriva da lui.

La prova dello swayamvara per poter sposare la principessa ricorda alla lontana la prova che i Proci dovettero affrontare per sposare Penelope: tendere l'arco di Ulisse. Si tratta forse del residuo di un antico rito (o mito?) indoeuropeo?
In fondo, per Robert Graves il nome Ulisse\Odisseo (l' "iroso") si riferisce al volto rosso del re sacro (I miti greci, 170, 11), e Shiva ha preso gli attributi del dio vedico "Rudra"... ovvero "il Rosso cinghiale del cielo"!
Non dimentichiamo che anche Eracle, per poter sposare Iole, dovette battere il padre Eurito a una gara di tiro con l'arco: si dice che l'arco di Eurito fu dato da suo figlio Ifito ad Odisseo, e sarebbe proprio quello l'arco usato per la strage di Proci.

Il carro Pushpaka e l'arco Dhanu sono due delle "quattordici cose desiderabili" nate dal"frullamento dell'Oceano".

Alcune versioni cingalesi descrivono Ravana come un re giusto che lottò per difendere le sue terre dall'assalto di Rama invasore. Per altre sette indù egli, invece, è il male assoluto. Il demone "buono" si ritrova anche nella figura del re Bali, ucciso da Vamana Avatara.

Alcune versioni successive del mito non hanno l'"happy end" che tanto piace agli sceneggiatori di Bollywood: si dice che il geloso Rama ripudiò di nuovo Sita, e che lei, dopo anni di esilio, morì inghiottita dalla terra da cui era venuta. Rama ne restò amareggiato fino alla morte.

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