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lunedì 17 maggio 2010

MITOLOGIA INDIANA - Avatar non su Pandora! 9


E veniamo all'ultimo "vero" grande Avatara di Vishnu, il dio del Kali-Yuga dove viviamo anche noi, ovvero Krishna il Nero.
In realtà è l'ottavo Avatara, ma Buddha sarà coansiderato tale per un compromesso religioso con i vertici politici, e Kalki... beh, Kalki è un'altra storia.

Dalle Upanishad e il Mahabharata, fino al diciassettesimo secolo, Krishna amalgama diversi aspetti spesso contraddittori (qualche studioso azzarda che sia la sintesi di almeno quattro diversi personaggi), dal sublime al licenzioso, dalla riflessione teologica e spiritualizzata alla favola popolare.
E se Rama è il dio puro degli ariani del Nord, Krishna è un dio misto, appartenente all'intera India.

La sua nascita è favolosa, anzi: favolistica. Siamo ormai alle soglie della nostra era, la terribile Era Nera (Kali Yuga), il periodo della decadenza in attesa dell'età dell'oro che darà l'avvio del nuovo ciclo.
E la decadenza e l'intrigo sono le caretteristiche dell'ambiente di ascita di Krishna: la corte di Mathura, dove il re Kansa, usurpatore del trono del proprio padre, con poteri di stregone devasta talmente la Terra che essa invoca Vishnu di salvarla dalle sue grinfie.
Nel frattempo Kansa ha ricevuto la profezia che sarebbe stato ucciso da uno degli otto figli di Vasudeva, marito di sua cugina.

Così il re fa uccidere i primi sei nipoti, ma non riesce ad eliminare Balarama, figlio di Vasudeva e Rohini, né Krishna, figlio di Vasudeva e di Devaki, cugina di Kansa stesso: Krishna verrà infatti scambiato con una bimba, e dopo un attraversamento rischioso del fiume Yamuna gonfio dai monsoni, verrà portato dal pastore Nanda presso cui crescerà come mandriano.

Sopravvissuto ai tentativi di Kansa di eliminarlo per mezzo di demoni, Krishna cresceva, diventando celebre per la sua abilità nel suonare il flauto e nelle sue piccanti avventure con le pastorelle (le Gopi) e in particolare Radha.
Divenuto un grande guerriero, sconfigge non solo varie tribù nemiche, e infine uccide Kansa.

A questo punto le sue vicende si innestano nella grande vicenda del Mahabharata, la guerra tra i cugini Panduidi contro i Kauravidi per il trono. Krishna cerca porima di mediare, poi combatte accanto ai Panduidi, camuffandosi da cocchiere di Arjuna, il principale campione dei figli di Pandu.
Krishna non combatterà direttamente la guerra: egli si limita a dare consigli ad Arjuna. Essi sono esplicitati e sintetizzati in un canto del Mahabharata, il Bhagavad Gita o "Canto del Beato", il vertice dell'insegnamento vishnuita.
La vittoria dei Panduidi consentirà la restaurazione dell'ordine e della Dharma.

Krishna troverà la sua morte secondo il computo indiano nel 3102 a.C., quando i suoi sudditi, gli abitanti della città di Dvarka, si danno a tutti i vizi, e nell'ubriachezza si uccidono ta loro.
Anche Balarama muore: dalla sua bocca esce un grande serpente bianco che si dirige verso l'Oceano, scomparendo.
Krishna stesso rimane immobile nello Yoga a meditare sulle disgrazie del suo poplo, viene ucciso per sbaglio da un cacciatore, che lo colpisce con una freccia al calcagno, unico punto vulnerabile dell'Avatara. Il dio lasciò quindi il suo corpo da Avatara e tornò alla sua forma immortale.
Subito dopo Dvarka sprofonda nell'Oceano, la stirpe di Krishna si estingue come era stato predetto, e il mondo entra nella Kali-Yuga.

Alcune piccole note...
Il salvataggio del neonato Krishna ricorda altri miti di bimbi "salvati dalle acque": Sargon di Akkad, Mosè, Romolo e Remo, Perseo...

C'è chi dice che in realtà l'ottavo Avatara di Vishnu sarebbe Balarama, fratellastrio e compagno di avventure di Krishna. Krishna, infatti, non sarebbe un vero e proprio Avatara, ma Iddio "completo" sceso in terra, e quindi sarebbe trascendentalmente superiore agli Avatara stessi.
Si sostiene, inoltre, che il serpente uscito dalla bocca di Balarama alla morte di questi, sarebbe in realtà Ananta, il serpente dalle molte teste che sorregge Vishnu nel suo aspetto di Anantasayin.

Non c'è bisogno di ricordare quale altro personaggio mitico, coinvolto in una grande guerra, fosse vulnerabile solo a un tallone, e morì per una freccia...

domenica 16 maggio 2010

MITOLOGIA INDIANA - Avatar non su Pandora! 8


Con il settimo (Rama) e l'ottavo (Krishna) Avatara di Vishnu entriamo in un territorio vasto e, per così dire, minato.
Vasto perchè la letteratura sui due principali Avatara del Ripristinatore è vastissima: basti solo dire che a Rama è dedicato uno dei due grandi poemi epici dell'india Antica, cioè il Ramayana; e che Krishna occupa una parte molto importante nell'altro garnde poema, l'immenso (e non solo in termini di lunghezza!) Mahabharata.
Minato perchè ancora oggi milioni (anzi: centiania di milioni) di indù vedono ancora oggi in loro non solo un'Avatara, ma un modello, una divinità a sè stante (se questo termine ha un senso nell'induismo), il compimento di un ideale divino. Essi sono il dio nella storia.
Rama e Krishna sono il compimento delle incarnazioni storiche di Vishnu, e con la loro figura emerge e viene definita una volta per tutte la caratterizzazione ideale per gli Indù.
Ci limiteremo, dunque, per entrambi a descrivere i tratti essenziali del mito.

Rama (o Ramachandra) è l'eroe divino del Nord, è il simbolo degli Kshatriya, i guerrieri. Ne consegue che si contrappone a Parasurama (il "Rama con la scure"), il brahmano del Sud. Rama è Vishnu sceso sulla terra a conquistare tutto il subcontinente indiano, compresa l'isola di Sri Lanka, per portare il Dharma (la Legge) degli Arya indù nelle terre dell'Adharma, dei barbari del Sud. Egli porta a compimento ciò che negli antichi miti era stato il compito di Aryaman il Nobile, di Indra e di Vishnu-Hari.


Il mito "definito" di Rama ricalca le tracce delle vicende dei precedenti Avatara: nel Treta-Yuga (il "secondo periodo", l'era degli eroi) l'ordine cosmico è minacciato dal re-demone Ravana. Questi ha ottenuto da Brahma il dono dell'invulnerabilità agli attacchi di dei e demoni, e con esso spadroneggia la Terra a partire da Lanka, sterminando io rishi (santi uomini) e distruggendo gli altari degli dei, e umilia gli dei costringendoli al suo servizio (Vayu dio del vento spazza le sale del suo palazzo; Kubera, dio della ricchezza lo rifornisce d'oro; Varuna, dio delle acque, gliele porta; Agni, dio del fuoco, è il suo cuoco).
Nel frattempo Nord un vecchio re senza figli, Dasaratha, regna su Ayodhya, dopo aver combatturto accanto agli dei contro i demoni: durante una battaglia era stato gravemente ferito e solo le cure della moglie Kaikeya avevano salvato il re da morte certa; per riconoscenza il re aveva promesso alla sua sposa di esaudire due suoi desideri.
Dei e uomini agiscono insieme, secondo le mosse di un destino che si svelerà col tempo: gli altri dei pregano Vishnu di liberarli da Ravana, proprio mentre il vecchio re Dasaratha compie il "sacrificio del Cavallo". Il pio re getta la sua offerta nel fuoco-Agni, e subito si forma una figura armata con un arco d'oro, che invita il vecchio re a dare l'offerta alle sue tre mogli, così che possano finalmente generare
Da questo rito al re nasceranno non uno, ma ben quattro figli dalle tre mogli del re: Rama da Kausilya, Bharata da Kaikeya, Lakshmana e Satruga da Sumitra; i quattro fartelli saranno sempre idealmente uniti, ma Rama è l'Avatara di Vishnu, e solo Lakshmana lo accompagnerà nelle sue imprese.

Dopo uccisioni di diavolesse fatte da bambino, Rama fa il suo apprendistato, prima da santo (nell'eremitaggio del Rishi Visvamita) e solo dopo, e quasi a malavoglia, lascerà la via della saggezza per quella della guerra. E' infatti il saggio Visvamitra a portare il giovane Rama alla corte del re Janaa, per concorrere alla mano della bella Sita, nata da un solco arato e adottata dal re.
Per sposare la principessa occorreva superare una prova, lo swayamvara: solo chi avesse sollevato l'arco di Shiva e fosse riuscito a scagliare una freccia con esso avrebbe avuto la mano di Sita. Solo Rama ci riuscì, anzi con la sua forza spezzò l'arco divino.
Il padre a questo punto lo voleva incoronare erede e re, ma la moglie Kaikeya gli ricordò il giuramento fatto all'epoca della guerra contro i demoni, ed espose le sue richieste: che Rama andasse in esilio ep quattordici anni, e che la corona passasse a Bharat. Seppur sconvolto, il re non venne meno al suo giuramento, ed esiliò Rama.

L'esilio di Rama non fu solitario: con lui andarono Sita e il fedele fratello Lakshman. Fu una vita di meditazione e di lotte contro i demoni. Alla morte per crepacuore di Dasharata, Bharat propose al fratello di prendere il trono, ma Rama rifiutò proprio per onorare la promessa del padre, e Bharat dichiarò quindi che avrebbe regnato in vece del fratello.

Tra le varie imrpese compiute nell'esilio, nel bosco di Dandaka, Rama mutilò il demone Supnaka. Questi, per vendicarsi, chiese aiuto a suo fratello Ravana. Il re-demone, dalle dieci teste e dalle venti braccia, si precipita sulla selva sul suo carro volante Pushpaka, vede Sita, la desidera e la rapisce.
A questo punto Rama va alla ricerca di Sita. Armato dell'arco Dhanu, il miglior arco del mondo, e con l'aiuto del fratello Lakshmana, Rama va verso Sud, dove si guadagna la stima e l'alleanza delle popolazioni locali, ma anche di Sugriva, il re delle Scimmie.
E sarà proprio un generale-scimmia, Hanuman, dopo una missione da "spia" in territorio nemico a scoprire dove è tenuta prigioniera Sita: la sposa di Rama si trova a Lanka, nel ciurore del regno di Ravana. E' ancora Hanuman a concepire il piano che porterà all'assalto finale: le sue scimmie costruiscono un ponte tra l'India e Lanka, così che Rama possa attraversare il mare e affrontare Ravana, con il suo esercito arricchito dagli orsi di re Jambavan.



La battaglia fu furiosa, Rama rischiò di morire a causa della freccia fatata lanciata da Indrajit, figlio di Ravana, ma fu salvato dall'intervento di Garuda, il "veicolo" di Vishnu. Alla fine Ravana stesso dovette uscire ad affrontare i suoi nemici, sicuro della propria invulnerabilità: ogni volta che Rama gli colpiva una delle sue dieci teste, staccandogliele dal corpo, esse ricrescevano. Solo una freccia dritta al cuore lo abbatterà definitivamente.

Ma la saga non finisce qui: per senso dell'onore Rama non può riprendere con sè Sita, poichè non è possibile stabilire con certezza che ella gli sia stata fedele durante la prigionia. Allora Sita fa preparare una pira, per immolarsi come una vedova al funerale del marito nel rito del Sati: ma Agni, che consuma le vedove, la ridà illesa al marito.
la prova della fedeltà di Sita è ormai indubitabile: Rama è re di Lanka, Hanuman e gli dei esultano per la vittoria e Rama e Sita potranno tornare gloriosi ad Ayodhya a regnare felici.

Alcune piccole note...
La cerimonia nota come "Sacrificio del Cavallo" (asvameda) è una affermazione della sovranità universale dei re indù: il cavallo da sacrificare veniva lasciato libero di andare dove volesse per un anno (metà anno, secondo alcuni commentatori) prima di essere sacrificato; se entrava in territori vicini, il re doveva fare di tutto epr sottometterli. Se ne volete sapere di più, potete consultare questa pagina (in inglese).

Il giuramento di Dasaratha alla moglie ripete lo schema tipico della "promessa incauta" che abbiamo già visto altrove nel mito di Vamana (vedi le note).

Si dice che il liquore dato da Vishnu nella fiamma a Dasaratha fu così distribuito tra le sue mogli: metà a Kausilya (che generò Rama) e l'altra metà alle altre due. Lakshmana è così anche egli una parte di Vishnu, ed è una figura "minore" solo al fratello, di cui è un duplicato. nnell'iconografia indiana compare spesso accanto a Rama e Sita, come triade che quasi sempre è umilmente adorato da Hanuman.

Sita, la "figlia della terra" è considerata un Avatara di Lakshmi, la moglie di Vishnu.

Da Bharat discenderanno i Panduidi e i Kuruidi, i due gruppi di cugini che si affronteranno nella grande guerra narrata nel Mahabharata e che vedrà protagonista tra gli altri il successivo Avatara di Vishnu, cioè Krishna. Il nome stesso dell'Unione Indiana (Bharat Ganarajya) deriva da lui.

La prova dello swayamvara per poter sposare la principessa ricorda alla lontana la prova che i Proci dovettero affrontare per sposare Penelope: tendere l'arco di Ulisse. Si tratta forse del residuo di un antico rito (o mito?) indoeuropeo?
In fondo, per Robert Graves il nome Ulisse\Odisseo (l' "iroso") si riferisce al volto rosso del re sacro (I miti greci, 170, 11), e Shiva ha preso gli attributi del dio vedico "Rudra"... ovvero "il Rosso cinghiale del cielo"!
Non dimentichiamo che anche Eracle, per poter sposare Iole, dovette battere il padre Eurito a una gara di tiro con l'arco: si dice che l'arco di Eurito fu dato da suo figlio Ifito ad Odisseo, e sarebbe proprio quello l'arco usato per la strage di Proci.

Il carro Pushpaka e l'arco Dhanu sono due delle "quattordici cose desiderabili" nate dal"frullamento dell'Oceano".

Alcune versioni cingalesi descrivono Ravana come un re giusto che lottò per difendere le sue terre dall'assalto di Rama invasore. Per altre sette indù egli, invece, è il male assoluto. Il demone "buono" si ritrova anche nella figura del re Bali, ucciso da Vamana Avatara.

Alcune versioni successive del mito non hanno l'"happy end" che tanto piace agli sceneggiatori di Bollywood: si dice che il geloso Rama ripudiò di nuovo Sita, e che lei, dopo anni di esilio, morì inghiottita dalla terra da cui era venuta. Rama ne restò amareggiato fino alla morte.

mercoledì 28 aprile 2010

MITOLOGIA INDIANA - Avatar non su Pandora! 7


Il Sesto Avatara di Vishnu è Parasurama, il "Rama con la scure", e ancora una volta dopo Narashima, torniamo ai Purana e agli Avatara "eroici" di Vishnu.

Sullo sfondo di un conflitto storico che per due generazioni devastò la costa del Malabar, il mito narra che la tardizionale superiorità dei Brahmani fu sfidata da re Kartavirya di Haihaya: questi, un fortissimo guerriero dalle cento braccia, andò a visitare Jamadagni, un saggio Brahmano dell'Ashram; il Rishi ("saggio" o "profeta") lo ospitò onorevolmente, ma lo sleale re, al momento di ripartire, rubò Surabhi (la "vacca dell'abbondanza" di cui parla il mito di Kurma Avatara) e insulta Renuka, la moglie di Jamadagni.



Parasurama, il quinto figlio del sacerdote, era stato istruito da Shiva stesso fino a diventare il "Dio dalla scure invincibile". Per vendicare l'offesa inseguì Kartavirya e lo uccise. Di rimando il figlio del re invase l'Ashram e uccise Jamadagni.
Parasurama giurò di vendicare il padre e sterminare tutta l'intera casta dei guerrieri (Kshatriya): e per ventuno anni proseguì la sua opera finchè non ne rimase alcuno vivo.
Puniti i sacrileghi, però, l'ordine sociale era stato alterato: una delle caste, fondamentale nella società induista, non esisteva più! Perciò furono gli stessi Brahmani a unirsi alle mogli dei Guerrirei sterminati, dando origine a una nuova schiatta di Guerrieri.

Alcune piccole note...
L'inclusione di Parasurama tra gli Avatara di Vishnu crea alcuni "problemi" mitici di coerenza: infatti Rama (o Ramachandra, il settimo Avatar di Vishnu)lo incontra e ne è rivale! L'incoerenza potrebbe trovare una sua conciliazione ai nostri occhi occidentali (per l'indù che conosce l'illusione e la contraddittorietà del nostrio mondo sensibile il problema ovviamente non si pone) nel fatto che storicamente Rama è un Avatar del nord, mentre Parasurama è una figura legata al Sud del subcontinente indiano.

Si narra che, con l'ascia donatagli da Shiva, Parasurama fermò l'avanzata dell'oceano salvando le terre di Konkan e Malabar.

Il Mahabharata sostiene che, a causa dello sterminio della prima stirpe Kashatriya e dell'origine della seconda dai Brahmani, in India non ci sia più una vera e propria casta di puri soldati.

Il furto di un bovino straordinario (qui la "vacca dell'abbondanza") come causa di una guerra, si ritrova all'altro estremo del mondo indoeuropeo, ovvero in Irlanda: la lunga guerra tra Connacht e Ulster è narrata nel "Tain Bo Cuialgné", ovvero "La razzia del bestiame di Quelgny", e culmina con lo scontro tra due tori leggendari, il Toro Bruno di Quelgney e il Toro dalle Bianche Corna di Ailell.

domenica 7 marzo 2010

MITOLOGIA INDIANA - Avatar non su Pandora! - 3


Vi abbiamo raccontato del primo degli Avatara di Vishnu, Matsya, il pesce che salvò il progenitore dell'attuale Umanità dal Diluvio Universale.
La storia del secondo Avatar, ovvero Kurma, la Tartaruga, ne deriva immediatamente, e anche questo è uno dei più antichi miti sulle manifestazioni del dio Preservatore che si ritrovano nei Vedanta, dove apparva Kasyapa-Tartaruga.
Ed è anche uno dei miti più curiosi che ci sia capitato di leggere, con il Caos primordiale usato un po' come il primo caseificio della storia!

Kurma appare in un mito di guerra celeste, se vogliamo uno dei tanti paralleli indiano della Titanomachia greca: il mito racconta della comeptizione tra gli dei del pantheon indù (i Devata) e i loro rivali e cugini, gli Asura.
Si narra che, in seguito al Diluvio, gli dei avevano perso la loro perpetuità, e implorarono Vishmu di soccorrerli. Questi, pietoso, si trasformò in tartaruga (Kurma significa appunto tartaruga) e sprofondò nell'Oceano degli Elementi (Samudra), invitando gli dei e gli Asura a seguirlo e a compiere un'opera grandiosa: "frullare" l'Oceano primordiale, come si fa col latte, per ottenere i meravigliosi prodotti che solo l'Oceano primordiale poteva donare.
Per fare questo, come frullino fu infilato nelle acque il Monte Mandara, con attorno il sepente Vasuki, re dei Naga e figlio di Kadru: collocato il Monte su Kurma, gli dei da una parte e gli Asura dall'altra tiravano alternativamente le estremità del serpente, per estrarre il "burro" della Amrita, cioè la bevanda immortale, il nettare degli dei, ovvero la Soma, l'essenza dell'essere, il perfetto sacrifico puro da offrire agli dei stessi.

Quando finalmente la bevanda fu pronta, una meravigliosamente sensuale fanciulla, Mohini, apparve e si preoccupò di distruibuire la bevanda. Mohini era bellissima, attarente più di ogni altra donna immortale, e i licenziosi Asura dapprima non si accorsero che la fanciulla dava a loro acqua, mentre distribnuiva l'Amrita agli dei, e in seguito la circondarono per accattivarsi i suoi favori, dimenticando del tutto la bevanda finchè questa non fu terminata dai Devata.
Solo a quel punto Mohini sparì, rivelandosi l'ennesima forma assunta da Vishnu: in questo modo il dio garantì la Soma (e l'immortalità) ai Devata, secondo il Dharma, l'ordine cosmico, e togliendola agli Asura, i rappresentanti dell'Adharma, la Disarmonia Cosmica.


Si dice che dal frullamento dell'Oceano, apparvero oltre alla Soma altre tredici cose, che insieme alla bevanda formavano le Chaturdasa Ratnam, le Quattordici Cose che più meritano di essere desiderate dai mortali, secondo l'idea del mondo degli Arya.
Esse sono:
1) Appunto la Soma-Amrita, di cui gli dei sono golosi tanto da berne fino all'ebbrezza, e a cui è dedicato l'intero terzo Veda, ovvero il Samaveda;
2) Lakshmi, dea della Fortuna e della Bellezza, sposa di Vishnu;
3) Dhanvantari, il grande medico simbolo della prefertta salute, che tiene la coppa dell'Amrita e che comporrà lo Yajur-Veda, il secondo dei Veda;
4) Sura, la dea del vino;
5) Chandra, il dio della Luna, equivalente alla Soma, e forse il simbolo della buona morte;
6) Rambha, una ninfa delle Apsara, il prototipo della buona amante (in alcune versioni non c'è Rambha, ma il vascello volante Pushpaka o Ratnavarshuka, il "Gioiello-Fulmine", con cui Ravana rapirà Sita e che Rama, altro Avatara di Vishnu, prenderà come bottino di guerra);
7) Uchchaihsravas, il re dei cavalli, il cavallo bianco prototipo del miglior cavallo del mondo;
8) Airvata, l'eccelso elefante, l'elefante bianco di Indra, il dio a capo degli dei vedici;
9) Parijata, l'albero addobbato con tutto ciò che si può desiderare nella vita;
10) Kaustubha, il più bel gioiello del mondo, al punto che Vishnu stesso lo porta al collo;
11) Surabhi (detta anche Kamadhenu), la vacca dell'abbondanza;
12) Sankha, la conchiglia simbolo della vittoria, che Vishmu tiene in una delle sue quattro mani;
13) Dhanu, il miglior arco del mondo, che sarà poi l'arma dell'eroe Rama;
14) Visha, il veleno, inteso come il greco "pharmakon". veleno mortale, ma anche ciò che dà la guarigione.

Alcune piccole note
In questo mito c'è chi ha visto il tema del ritorno alle origini: dopo il Pralaya, la ciclica distruzione del mondo a opera (stavolta) del Diluvio, il mondo torna al Caos, dove regna la Disarmonia-Adharma rappresentata dagli Asura.
Per riportare l'Armonia-Dharma, il mondo ha bisogno di un asse attorno a cui ruotare (il Monte Mandara) che funga da centro, e di essere inserito nel tempo (il serpente Vasuki). Solo "estraendo" la Soma e le altre Chaturdasa Ratnam, e distribuendo la Soma solo ai Devata escludendo dalla sua fuizione gli Asura, solo così il mondo potrà tornare all'Ordine precedente, se vogliamo il Kosmos (il mondo "ordinato") dei Greci.

Secondo altri il mondo poggia sulle molte teste di Vasuki, e che ogni suo movimento provochi terremoti. Per alcuni l'arca di Manu fu legata al cornpo di Matsya proprio usando Vasuki come corda.

Una tartaruga alla base del mondo? Non è un'esclusiva indù! Ad esempio tra gli Huron dell'America Settentrionale, il mondo giace sul dorso di una Grande Tartaruga su cui è stata sparsa la terra pescata dal fondo del Grande Oceano (i terremoti nascono quando la tartaruga si muove). La sua versione in piccolo è il mito del Fastitocalon (la Tartaruga-Isola) di cui ci parlano Borges e la Guerrero, e poi Tolkien, costruita sul modello dello Jasconius (il pesce-isola) della "Navigazione di San Brandano".