martedì 23 giugno 2009

Tutti figli di Evemero - Bestie, uomini e dei: Jack London e l’origine del mito 2

Nuove riflessioni sul mito partendo da Zanna Bianca...
Ancora una volta ciò che Jack London scrive sul rapporto tra lupo e uomo è una metafora del rapporto tra l’uomo e i suoi dei.

Sempre nel capitolo I della parte III, Zanna Bianca è al termine del suo primo periodo di esperienza nel villaggio indiano. Ha appena scoperto il fuoco e il dolore che il fuoco può dare, e si trova a disagio in un villaggio dove ci sono troppi cani ostili (Zanna Bianca aveva vissuto praticamente isolato nella sua infanzia) e la madre non c’è più.

“Continui cambiamenti di intensità e di tono gli davano sui nervi, lo rendevano nervoso, agitato e preoccupato della perpetua imminenza di qualche imprevisto avvenimento. Lui guardava l’animale uomo che veniva, andava, si muoveva. Nel modo distante con cui gli uomini si rivolgono agli dei che hanno cerato, così Zanna Bianca guardava l’animale uomo davanti a sé. Nella sua comprensione essi erano operatori di meraviglie come gli dei lo sono per gli uomini. Essi erano creature dominatrici, dotate di ogni genere di sconosciuti e incredibili poteri, padroni dei vivi e dei non vivi: facevano obbedire quello che si muove, davano il movimento alle cose immobili, creando la vita, la mordente vita color del sole, dal muschio secco e dal legno. Erano creatori del fuoco. Erano dei.”

La condizione di Zanna Bianca è quella dell’uomo sulla terra, vista come luogo di dolore, di pericolo continuo. Un luogo in cui l’uomo deve interpretare i segni, gli omina, che gli dei mandano: puoi avere cibo, non entrare in questi luoghi, soffrirai, morirai.
Gli uomini sono gli dei per i cani e i lupi, lo ripetiamo, per la profonda differenza di potere tra le due specie.

Potremmo obiettare che nella logica di London manca un elemento: i lupi possono sbranare gli uomini, ucciderli, gli uomini non possono fare lo stesso con gli dei.
Senza sbilanciarsi nel “Dio è morto” proclamato nel XX secolo, ciò non è sempre stato vero. Vogliamo dimenticare episodi di statue degli dei incatenate e portate altrove, come la Giunone di Veio? O dimentichiamo che il rito e la magia, troppo spesso considerati differenti con sottigliezze sofistiche, mirano a “costringere” un dio a fare qualcosa che l’uomo vuole?

La “religio” è un patto, non solo tra gli uomini, ma anche tra gli uomini e il dio. Il “dio degli eserciti” sceglie un popolo, e quel popolo accetta i termini del contratto. Gli dei combattono attraverso i propri fedeli, dicevano i mesopotamici, e potevano con loro vincere o sparire.
Gli uomini uccidono i loro dei in senso letterale (Cristo) o metaforico, rinunciando a loro e adorando altri dei.

E infine, ecco una differenza tra lupo e uomo (parte III, capitolo II): “All’uomo è toccato spesso il dolore di vedere i propri dei abbattuti e i propri altari infranti, ma al lupo e al cane selvaggio che sono venuti ad accucciarsi ai piedi dell’uomo questo dolore non è mai toccato.
“Diversi dall'uomo - i cui dei sono invisibili e ipotetici, vapori e nebbie fantastiche che sfuggono al controllo della realtà, erranti fantasmi di una bontà e di un potere desiderati, intangibili trasposizioni di sé nel regno dello spirito - il lupo e il cane selvaggio che sono venuti accanto al fuoco a trovare i loro dei in carne ed ossa, solidi al tatto, padroni dello spazio terrestre e capaci di realizzare la loro esistenza e i loro compiti, non hanno bisogno della fede per credere in divinità cosiffatte, nessuno sforzo della volontà può indurre alla incredulità di tali dei.”

Proprio la concretezza di queste divinità, giustificata dalla concretezza dell’animale-lupo rispetto alle capacità di astrazione dell’animale-uomo, si può rovesciare: l’uomo ha bisogno di un dio astratto, che abbia meno possibilità di deludere il fedele.
La “religio”, il patto, in questo caso appare a senso unico (dal fedele verso il dio), proprio per l’esigenza dell’uomo di avere una costanza nel suo rapporto col dio: meglio aspirare a qualcosa di lontano, intangibile, con cui è difficile se non impossibile comunicare, ma che proprio per questa distanza e questa incomunicabilità non può ferire, che affrontare la quotidianità, il contatto, la delusione.

Il lupo sembra sicuro: tocca i suo dei.
Ma paradossalmente, l’ultima frase di London che abbiamo citato, sarà rovesciata proprio dallo sviluppo del romanzo.
Al posto della fede, il lupo dovrà affidarsi a qualcosa di altrettanto astratto come l’amore.

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