domenica 7 giugno 2009
Strani genitori dell’Amore
“Che coss’è l’ammor…” canta Vinicio.
Da dove spunta fuori la forza che travolge, che suscita e che abbatte, tre volte nella polvere, tre volte sull’altar? Da dove sorge questo impulso che fa sussurrare versi e strofe, che sta nelle teste e nelle parole, che accende candele nelle processioni?
Una delle più curiose versioni sull’origine dell’amore, la ritroviamo nel Simposio di Platone, dove si beve, si canta, si dorme, si rivelano gli amori e dove si parla d’amore.
E in questo caso perfino il nostro filosofo dalle spalle larghe, colui che ha svalutato la nostra amata parola “mito”, usa un mito per spiegare ciò che razionalmente non si può spiegare.
Allora: narra Platone che il buon Socrate avrebbe narrato di aver saputo da Diotima, sacerdotessa di Mantinea… che durante un banchetto degli dei, il dio Poro (l’“espediente”), figlio di Meti (la “saggezza”) alzò un po’ troppo il gomito. Così Penìa (la “Povertà”) poté sedurlo, e generare insieme a lui Eros, l’Amore.
Fingiamo per un istante che Platone non avesse bisogno di questo mito per i suoi biechi fini iperurani. Accettiamo la realtà di Diotima, e ipotizziamo che Socrate non avesse inventato le cose lì per lì, solo per farsi bello. Che ci insegna il mito?
Che, se tutto ciò di cui abbiamo bisogno è l’amore, dobbiamo però ricordarci che a causa degli strani genitori, l’amore ci destina alla povertà e a vivere di espedienti? O che l’amore è un espediente che ci fa sentire ricchi anche in povertà?
O forse che si può amare la povertà solo da sbronzi (a dispetto di Francesco d’Assisi)?
Voi che ne pensate?
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