domenica 6 febbraio 2011
MIGRAZIONI - E tui, de chini sesi? 10
Nel precedente post abbiamo lasciato in sospeso una domanda: quali trasformazioni furono fatte in Sardegna da Iolao e dai suoi cugini Tespiadi?
A queste righe il compito di rispondere.
Immaginiamo di essere dei mercanti greci che arrivano in Sardegna dal mare, in un giorno qualsiasi tra la fin dell'età del bronzo e la piena età del ferro. E' la nostra prima volta sull'isola, e probabilmente la nostra attenzione forse non sarà catturata dalla bellezza del mare e dalla sua pulizia: in fondo l'inquinamento pesante è ancora di là da venire per le coste di tutto il Mediterraneo.
Probabilmente, arrivando con una nave mercantile, non vedremo neppure una massa guerrieri coperti di bronzo aspettare bellicosi e sospettosi il nostro sbarco. Troveremo quasi sicuramente ma altri mercanti interessati alle nostre merci, il popolo interessato ad acquisti e vendite, qualche inviato del signore locale.
No: la nostra attenzione sarà sicuramente attirata delle grandi torri di pietra, diffuse sulle coste e all'interno dell'isola, tanto da caratterizzarne il paesaggio nei punti strategici. Quelle torri oggi sono in parte sopravvissute quasi solo all'interno dell'isola, senza cima, senza intonaco, senza i colori che probabilmente un tempo le rendevano e visibili. Perché quelle torri, dette Nuraghi, erano quasi sicuramente un luogo di potere, che doveva essere visto e notato. Minacciose per i nemici, rassicuranti per sudditi e alleati.
Sbarcati, ci inoltriamo nell'isola e scopriamo che queste torri sono dappertutto. Ciclopiche come le mura di Tirinto e di Micene, simili alle sotterranee tholoi dai tetti a volta degli Achei, ma costruite FUORI dal suolo. Un'opera immensa, incredibile, fatta con una perizia e uno straordinario rapporto delle proporzioni che non si trova facilmente nelle diverse regioni che si affacciano sul Grande Mare Interno.
Chi le può avere costruite? I signori dell'isola, ci dicono.
Ma chi sono i signori che hanno tanto potere, tanta ricchezza? E chi è stato l'architetto che ha ideato tali fortezze, residenze, magazzini e quant'altro?
Siamo Greci, e non possiamo concepire che nulla di straordinario possa essere stato fatto da chi non ha sangue greco nelle vene.
Quindi ragioniamo. Forse qualche punico ci parla dei signori dell'Isola come discendenti di Melqart, forse i signori stessi si definiscono figli del grande dio dell'Occidente. Noi greci, più saggi e più dotti, sappiamo che dietro Melqart e dietro i tanti dei della direzione dove il sole tramonta, si nasconde il nostro grande eroe: Eracle.
E dietro il piano di quelle torri, non può esserci una lunga genia di artigiani costruttori che si passano informazioni e sperimentano tecniche per secoli e secoli. No. un solo uomo, un greco, solo lui può avere avuto la stessa genialità costruttiva che ha utilizzato per fare il grande palazzo di Creta chiamato Labirinto, tanto complesso da rendere impossibile uscire se non si ha una guida. Questo genio dell'antichità è Dedalo, Ateniese.
E questo racconteremo ai nostri compatrioti quando torneremo nell'Ellade: esiste un'isola ricca, al centro del Mediterraneo Occidentale, abitata dai figli di Eracle, quegli stessi Tespiadi di cui si racconta la migrazione; e per loro Dedalo costruì delle favolose tholoi e ginnasi per gli esercizi ginnici, e tribunali, e città.
Non molto di diverso dice il mito dei Tespiadi.
Narra Diodoro che dopo la conquista dell'Isola, Iolao, figlio di quell'Ificle che fu fratellastro di Eracle, lottizzò il territorio per far sviluppare l'agricoltura, fondò città, edificò ginnasi, templi e "tutto ciò che rende felice la vita degli uomini". Dal nome del capo le pianure più belle furono chiamate "Iolaee" fino all'epoca di Diodoro (90 a.C. circa), e sempre in onore del figlio di Ificle, il mix tra Tespiadi, coloni greci e precedenti abitanti dell'isola, prese il nome di Iolaei: i tespiadi, infatti, onoravano Iolao come se fosse un padre.
In un altro punto, sempre Diodoro ci aggiunge che Iolao non ideò tutto personalmente, ma mandò a chiamare dalla Sicilia l'architetto Dedalo che, come abbiamo visto, dopo aver causato la morte di Minosse, aveva bisogno di "cambiare aria". E gli edifici esistevano ancora all'epoca di Diodoro, ed erano chiamati "Daidaleia" dal loro ideatore.
Come detto per Diodoro durante la spedizione Iolao fondò anche importanti città. Ma quali?
Pomponio Mela ci riferisce che tra gli abitanti più antichi dell'isola c'erano gli Iliensi (forse una versione degli Iolaei), e che fra le prime città ci furono Karalis e Sulci. Il passo sintetico forse lascia supporre che le due principali città dell'isola fossero in qualche modo legate a Iolao e ai suoi Iolaei\Iliensi.
Ma noi sappiamo che Karalis, in altre versioni, è fondazione di Aristeo, e anche Nora, fondazione di Norache, doveva essere stata già edificata all'epoca di Iolao. Se Karalis non va attribuita a lui, Sulci era fondazione di Iolao? O, semplicemente, vogliamo ricavare troppo dallo stringato passo di Pomponio, che vuole solo indicare due tipi di antichità (del popolo e delle due città), senza però voler stabilire un legame tra le due cose?
Gli altri autori non ci aiutano. Diodoro, l'abbiamo visto, è generico.
Pausania non chiarisce e anzi sposta addirittura l'attenzione dal sud dell'isola (il "capo di sotto") al nord (il "capo di sopra"). Per lui, infatti, le fondazioni urbane sotto i Tespiadi furono due: Olbia e Ogrille, edificata dagli ateniesi che partecipavano alla spedizione in onore di uno di loro, chiamato Ogrillo.
Solino, autore del III secolo d.C., ribadisce la fondazione di Olbia da parte di Iolao, ma aggiunge che l'eroe fondò "altre città greche". Ma quali?
In conclusione intuiamo che per il mito la vera urbanizzazione della Sardegna, più o meno sistematica, va fatta risalire a Iolao e ai Tespiadi: essi fondarono Olbia e "altre città", ma non è dato sapere con sicurezza quali.
Tra gli edifici, oltre alle "tholoi" e ai tribunali, gli autori ricordavano i ginnasi, le palestre tipicamente greche. Ce li ricorda Diodoro insieme agli altri edifici, ma altri autori ci danno qualche informazione in più.
Un commento a un'ode di Pindaro riporta un precedente commento fatto da Didimo. Sì, proprio il letterato che ispirò il "Didimo Chierico" di Foscolo. Didimo avrebbe detto che a Tebe, nel ginnasio di Iolao, gli Eraclidi svolgevano delle gare in memoria di Anfitrione, il padre putativo di Eracle. Iolao stesso faceva in quelle occasioni delle onoranze funebri in onore di una persona lontana ma "in realtà il ricordo di Iolao era rivolto alla Sardegna".
Cosa significa questo passo riportato da un commentatore di un commentatore?
Sembra di intuire, assieme alle altre informazioni che abbiamo, che il culto eroico di Iolao era legato ad attività sportive. E questo non è strano: i giochi funebri in onore di un personaggio illustre erano la norma nel mondo eroico. Ma possiamo spingerci a dire che le gare erano una caratteristica specifica di Iolao, e che per questa ragione gli autori mettono l'accento sulla presenza in Sardegna di ginnasi creati dal figlio di Ificle? In fondo non dobbiamo dimenticare che nella prima edizione delle Olimpiadi e poi nei giochi in onore di Pelia, Iolao fu il vincitore della gara più prestigiosa, quella della corsa col carro.
Il nostro giramondo Pausania, parlando di Tebe, riferisce come nella città sorgessero un ginnasio e uno stadio, davanti alle porte Pretidi. Lì, secondo i tebani, si trovava l'heroon di Iolao. Insomma: la tomba eroica di Iolao era ancora una volta legata a gare sportive.
Eppure gli stessi tebani, sempre secondo Pausania, riconoscevano che le vere tombe di Iolao, dei Tespiadi e degli Ateniesi andati con loro, si trovavano in Sardegna.
A questo punto occorrerà narrare cosa sia accaduto ai nostri protagonisti dopo il grande periodo della colonizzazione.
Ve lo racconteremo nel prossimo post.
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