venerdì 23 gennaio 2015

DONI DEGLI DEI - Nomi di-vini: il nome




DI DONI DI DIONISO IN SARDEGNA
(con licenza di allitterazione dovuta a Bacco)

Ebbro dalla piavcevousima conferenza sui miti di colonizzazione della Sardegna (veli siete persi? Ne parlavamo QUI!), culminata ggiustamente in un aperitivo a base di buon vinello, mi sono chiesto se in effetti, oltre al “riso sardonico” di cui ci ha parlato Omero, si potesse trovare qualche altro legame tra la Terra dei Nuraghi e il mito greco.

Meditando su un bicchiere di vino non allungato da dodici parti d’acqua (ah! Il buon vecchio vino d’Ismaro, così sprecato nel ventre di un monocolo che non pareva uomo mangiatore di pane!) il grande Dioniso mi ha ispirato: il nome del sangue della vite che sorseggiavo!

Proprio così, il Nepente! [1]

Da dove questo nome glorificato dal Vate D’Annunzio, come ci ricorda l’etichetta?
L’indispensabile (ma a volte erronea) Wikipedia riporta come etimo di “Nepente” l’espressione “ne+penthos”, ovvero “nessuna sofferenza, nessuna tristezza”, riprendendo le notizie date dal sito della Cantina Golostai, produttrice dell'ottimo vino rosso chiamato Nepente di Oliena.
Più correttamente l’indispensabile Treccani ci riporta l’etimo dal latino “nepenthes”, “che toglie il dolore”.

Come ogni cosa del mito, il fondamento si trova in Omero, nel suo Canto IV dell’Odissea che chiude la Telemachia [2].
Lì i versi immortali narrano che la donna un tempo chiamata Elena di Troia, da dieci anni tornata ad essere Elena di Sparta, mescolò un farmaco al prezioso vino che il marito Menelao mesceva: ne fece quello che migliaia di anni dopo un cantore più moderno avrebbe chiamato “lento fiume nelle vene” [3]. E il fiume è forse il Lete.

Il prodigio di questa miscela era infatti che “fugava il dolore (nepenthès) e l’ira, il ricordo di tutti i malanni”.


“Chi l’ingoiava, una volta mischiato dentro il cratere,
non avrebbe versato lacrime dalle guance, quel giorno,
neanche se gli fosse morta la madre e il padre,
neanche se gli avessero ucciso davanti, col bronzo,
il fratello o suo figlio, e lui avesse visto con gli occhi.”
(Odissea, canto IV, vv.219-226, trad. G.A. Privitera,
dall’edizione Oscar Mondadori, Classici Latini e Greci 7, 1991)


Elena lo aveva ottenuto durante l’esilio in Egitto (o la sosta, i miti sono divergenti), da Polidamna l’Egizia, sposa di Tone, della stirpe di Peone.
Così, come dono ad ospite onorato, la Dama (non elfica) della reggia lo offrì a Telemaco, giunto a corte stanco e afflitto, poiché cercava notizie di Odisseo, suo padre, che da vent’anni era lontano da casa e navigava sul mare color del vino.

E qui Ippolito Pindemonte dal nome mitico traduceva


“Il Nepente già infuso, e a' servi imposto
Versar dall'urne nelle tazze il vino”


Laddove, meno variamente, una traduzione più letterale avrebbe richiesto


“dopo averlo gettato nel vino e ordinato che lo versassero”
(Odissea, canto IV, vv.233, trad. G.A. Privitera, cit.)


In altri versi omerici il “nepente” risulta una bevanda medicamentosa, calmante: Erodoto, nel suo Logos Egiziano, forse conferma Omero quando parla del Nepente della Valle del Nilo, e alcuni studiosi ne hanno dedotto che si trattasse di un oppiaceo. Plinio il Vecchio, nel sul Libro XXIV ritiene che si tratti di una “pianta egizia” che


Hoc nomine vocatur herba quae vino injecta hilaritatem inducit
(Con questo nome [Nepente] è chiamata un’erba che messa nel vino induce allegria).


Il VocabolarioTreccani, sempre lui, tira le somme dando tre significati. Il “Nepente” sarebbe

1.       s.m

a. Nome dato dagli antichi Greci a una prodigiosa bevanda, estratta da un’erba proveniente dall’Egitto, cui si attribuiva la virtù di lenire il dolore e dare l’oblìo dei mali: vi son persone le quali voglion dire che il caffè non sia altro che l’antico n. d’Elena (Redi); Omero dice ... che Elena imparato avesse da una regina egiziana l’uso dell’oppio, poiché non altro che oppio par che fosse quel suo maraviglioso n. (A. Cocchi).

b. In senso estens. e fig., qualsiasi bevanda o altro rimedio, anche affettivo o spirituale, che dia sollievo alle pene: l’amore di quella donna fu per me, in un periodo molto oscuro della mia esistenza, un divino n., un elisir di vita (De Roberto); La pazienza è l’immortal nepente Che afforza i nervi e l’anima ristora (D’Annunzio).

2. s. m. Soluzione di cloridrato di morfina e acido citrico in vino marsala diluito, usata in passato come ipnotico e sedativo.

3. s. f. In botanica, genere di piante (lat. scient. Nepenthes) della famiglia nepentacee, che comprende una settantina di specie paleotropicali, distribuite attorno all’Oceano Indiano e in partic. nell’Arcipelago malese.


Bevanda? Intruglio chimico? Pianta esotica?
Alcuni, come Pietro Della Valle ("Viaggi in Turchia, Persia ed India descritti da lui medesimo in 54 lettere famigliari", 1650) supponevano si trattasse addirittura del caffè aggiunto al vino (sic!), e questa fama arrivò fino all’Encyclopédie di Diderot e D'Alembert.
Johann Joachim Winckelmann, “inventore” del Neoclassicismo, non escludeva si trattasse di oppio. Altri ipotizzavano una pietra, forse preziosa, da porre nel vino secondo qualche virtù riportata in un lapidario a noi ignoto.
Carlo Linneo, poi, lo identificava con un genere di piante


“Si elle n'est pas la Népente d'Hélène, elle le sera certainement de tous les botanistes”
(Se questa non è il Nepente di Elena [di Troia], sarà certamente [il nepente] di tutti i botanici)


Infine Gabriele D'Annunzio ritornò indietro ad Omero.
Passando ad Oliena (NU) nel 1882, assaggiò la varietà di vino Cannonau prodotto in zona forse fin dal 1500 e, compiaciuto, gli diede il nome del vino mitico.
Che ne fosse sinceramente entusiasta, e non che la sua pubblicità fosse stata ben retribuita come dicono i maliziosi, ce lo suggeriscono alcuni fatti.
Nel 1909, scrivendo la presentazione per una guida alle Osterie d’Italia di Hans Bart, ripresa poi nel 1910 in un articolo sul Corriere della Sera intitolato “Un itinerario bacchico”, il Vate dice che serba “da moltissimi anni” un boccione del vino sardo,


“in memoria della più vasta sbornia di cui sia stato io testimone e complice”.


L’articolo culmina col famoso detto


“Non conoscete il Nepente di Oliena neppure per fama? Ahi lasso!”


E poi si dilunga su paesaggi bucolici dell’isola, fatti di Domos de Janas, patrie di rimatori, pastori e di tessitrici, olio e miele, Sepolcri dei Giganti e Case delle Fate, evocazioni delle Odi Purpuree di Hafiz e di a dell'Anacreonte, uliveti più belli e santi di quelli che ombrano la vita di Delfo, pelli di cinghiale, fucili damaschinati d'argento, mutazioni in prischi Quiriti e tutto quello che c’è di ridondante e aulico nella prosa dannunziana fino ai versi


"A te consacro, vino insulare, il mio corpo e il mio spirito ultimamente.
Il Sire Iddio ti dona a me, perché i piaceri del mio spirito e del mio corpo sieno inimitabili.
Possa tu senza tregua fluire dal quarteruolo alla coppa e dalla coppa al gorgozzule.
Possa io fino all'ultimo respiro rallegrarmi dell'odor tuo, e del tuo colore avere il mio naso per sempre vermiglio.
E, come il mio spirito abbandoni il mio corpo, in copia di te sia lavata la mia spoglia,
e di pampani avvolta, e colcata in terra a pie' d'una vite grave di grappoli;
che miglior sede non v'ha per attendere il Giorno del Giudizio."


E nel saluto all’amico enofilo

“Valeas foreas rubeas, multibibe doctor. Ave”

Sempre nel 1909 esce il suo melodramma “Fedra” e lì la moglie di Teseo, incontrando un pirata fenicio (sì, forse uno dei fenici che viaggiavano dalla Sardegna verso Oriente) gli chiede

“Rechi il farmaco d'Egitto, il Nepente che dà l'oblio dei mali?”

Insomma: partendo dal mito, passando per poeti, botanici e navigatori, il vino è giunto fino alla mia tavola.
Bacco non si è certo dimostrato ingeneroso con la mia isola (e col mio gargarozzo).
 


[1] Il titolo del post è un omaggio all’adorato Proust: “Nomi di paesi: il nome” e “Nomi di paesi: il paese” sono due sezioni della Recherche. Se non che dalla dicotomia nome\realtà dell’oggetto il grande francese trovava delusioni, mentre il vino della Sardegna non tradisce.
[2] vv 219-236
[3] Roberto Vecchioni, Per amore mio (Ultimi giorni di Sancho P.). Da ricordare il verso “Niente ha più realtà del sogno”, una buona definizione per il mito.

NB: immagini, citazioni e traduzioni non mi appartengono e sono qui posti a corredo dell’articolo, che non ha alcun intento pubblicitario. Non ho ricevuto retribuzioni né inviti alla scrittura da parte dei produttori per scrivere tale post (non li conosco), ma sono un semplice gustatore del vino di Oliena che si è imbattuto nell’origine mitica dello stesso. Questo blog non ha fini di lucro.

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