ULISSE 31: IL VAGABONDO DELLE GALASSIE
I primi anni ’80 vedono in Europa un rilancio della fantascienza
dei viaggi spaziali dopo il periodo di parziale appannamento degli anni ’70,
che aveva visto prevalere la SF sociologica e distopica.
Nuovi fattori sono però entrati in gioco. Da un lato non si può più trascurare la marea
montante del fascino che le serie animate (e non solo) del Sol Levante stanno esercitando sul
pubblico più giovane [1]; dall’altro si cercano spunti che siano più vicini all’humus culturale del mondo occidentale.
Nasce così l’idea di un mix tra Europa e Estremo Oriente
(più precisamente tra Francia e Giappone) che cerca di rinverdire e aggiornare
una delle due storie fondamentali del mito antico, una storia nuova che è
sempre la stessa storia: quella del viaggio, il viaggio di Ulisse.
Ecco così che il vagabondo dei mari affronta il mare
spaziale[2], e Ulisse diventa Ulisse 31 (Uchu densetsu Ulysses 31), un
cartone di produzione franco-nipponico che ha avuto il pregio di vedere Shingo
Araki collaborare al carachter design [3].
Perché questo Ulisse è
31?
Non si tratta di cloni o quant’altro: il “31” si riferisce al XXXI secolo, data di
ambientazione della vicenda, e la vicenda prende il canovaccio dell’Odissea
modificandola in senso spaziale.
Nei 26 episodi della serie, infatti, si racconta il viaggio
di ritorno del novello Ulisse, a partire dal Pianeta Troia: qui c’è una base e
Ulisse, più che un conquistatore, è un guerriero in ottimi rapporti con Priamo.
La storia comincia quando il protagonista deve tornare sulla Terra perché, se
non sarà a casa “prima del passaggio della prossima cometa”, sua moglie
Penelope dovrà sposare uno dei pretendenti al trono.
Ma il viaggio non
sarà facile, come quello del suo omonimo greco.
Già nel primo episodio la nave spaziale di Ulisse 31, l’
“Odissea”, viene attaccata dal robot Polifemo, ma Ulisse riesce a distruggerlo.
Questo tuttavia provoca l’ira degli Dei, un’antica razza
aliena che aveva costruito Polifemo: essi cancellano dalla memoria del computer
di bordo dell’Odissea le coordinate della Terra, e mettono in animazione
sospesa il suo equipaggio, condannando Ulisse a vagare da solo nell’Universo
parallelo dell’Olimpo.
Per un caso fortuito, assieme ad Ulisse restano coscienti
suo figlio Telemaco, il robot Nonò e l’aliena Themys dai sogni profetici. Solo giungendo al Regno dell’Ade l’Odissea
potrà tornare al nostro universo… e ritrovare la Terra.
La trama vive di episodi autoconclusivi: nel corso del
viaggio Ulisse e i suoi incontrano diversi personaggi ripresi dal poema omerico
o vagamente legati al mito (come Sisifo, la sfinge, Chronos…), reinterpretati
in chiave fantascientifica.
Ecco, ad esempio, che l’Olimpo (un Universo parallelo) si
trova al di là della soglia di un Buco Nero; i Lestrigoni sono giganti
collezionisti che catturano le navi spaziali grazie a raggi traenti e le
miniaturizzano grazie a un tecnologico prisma; le prove cui Eolo sottopone
Ulisse prevedono scacchiere, robot e una sorta di mortale flipper (!) e il
cofanetto dei Venti Cosmici è attivato da una misteriosa pietra; Scilla e
Cariddi sono un sistema binario; le Sirene sono “una sorta di metallo vivente
che assorbe energia umana”; Calipso vive su un pianeta attorno a un sole
morente; il Labirinto del Minotauro è un satellite-prigione nello spazio; il
regno dell’Ade si trova oltre “i ghiacci galattici” ed è difeso da una sorta di
falene giganti che assorbono energia, mentre il Palazzo di Ade, tra scale
mobili e strane luci, è popolato da una sorta di zombi (!).
Ma alla fine Ulisse supererà tutte le prove e otterrà il
perdono degli dei che pure non saranno per questo sconfitti, ma rimangono come
figure cosmiche sullo sfondo, non spiegate.
Gli episodi di Ulisse 31 hanno un gusto narrativo (ma anche
visivo) piuttosto distante dall’attuale. Il doppiaggio non aiuta affatto: le
voci non sembrano adeguate, e la presenza del robottino Nonò più che dare il
tocco umoristico alle vicende, provoca un tedio pari solo a quello di Jar Jar
Binks.
La scelta della SF e il revisionismo in chiave futuribile
dei miti li svilisce, più che modernizzarli: il mito dà spunti senza grande
sostanza, è solo un motore narrativo come un altro. Siamo, insomma, distanti
parsec da quella strizzatina d’occhio del sano umorismo che rende
gradevolissima (e ben più mitica) la serie di Pollon.
Quella che è invece notevole è la sigla del cartone, uscita
per l’etichetta Saban Records\Baby Records, che abbiamo riportato in apertura del post.
La versione italiana è il riadattamento in italiano fatta da
Alberto Testa della sigla francese di Levy e Saban (usata anche per le versioni
inglese, spagnola, portoghese, tedesca e bretone del cartone).
Il testo prende più dal cartone che dal mito: abbiamo la
ripetizione dell’intervento dell’inutile Nonò, del “vagabondo delle galassie” e
dei viaggi “più veloce della luce”; derivano dall’eroe omerico (ma sono presenti
anche nella serie) i riferimenti ai viaggi senza fine, dell’ira degli dei e
della nostalgia per la casa perduta. Il coro delle Sirene è poi un tocco
affascinante.
Sul lato B del disco italiano compare la meno nota "
Ulisse delle galassie”, versione italiana della sigla finale francese di
"Ulysse 31” sempre degli stessi autori (e sempre con Testa all’adattamento
italiano)
Qui la mescolanza tra i due piani, quello mitico e quello
spaziale, è forse più completa, anche se genera dei paradossi come accade nei
primi due versi
Dall'interno profondo del mare
gli Dèi lo odiano.
Quello che viene sottolineato è il desiderio di libertà dell’eroe
Lui accende nel sole la fiamma
della libertà.
Seguono poi dei riferimenti “da sigla” che poco o nulla
hanno a che fare col mito o col cartone:
La sua forza è soltanto
la sua volontà di vincere.
Ritrovare la pace per quelli
che credono in lui.
Ritornare a vedere la Terra
dai mille secoli.
C'è la sua umanità
contro l'inferno e gli Dèi.
In sintesi: Ulisse 31 è stato uno dei pochi tentativi di introdurre nel mondo dell’animazione il mito classico, e che anche in ambito dell’animazione occidentale ha trovato pochi epigoni (la serie televisiva su Hercules e il “conseguente” film della Disney). Ma questo tentativo di remix (e di re-mitopoiesi) non sembra pienamente riuscito e non ha avuto sostanzialmente seguito, anche per la debolezza della produzione animata europea.
Sarebbe piuttosto interessante capire le ragioni per cui l’animazione
giapponese, che ha saccheggiato storia e fiaba occidentali (evidentemente con
un fascino per quello che per loro è “esotico”) abbia sfruttato pochissimo il
mito classico.
Perché se escludiamo la sempre veneranda Pollon, serie come “I
cavalieri dello Zodiaco” o “Campione” (o perfino “Babil Junior” o “Toriton”)
col mito vero e proprio hanno poco a che vedere se non per l’esile spunto o l’ambientazione:
e questo ha, paradossi del tempo, contribuito a far conoscere poco (e a
considerare poco interessante e poco “identificativo col gruppo”) il mito
classico ai giovani europei che si sono nutriti di pane e anime, prima fra tutte la “Goldrake Generation”… cui appartiene lo
scrivente di questo post.
[1] A quanto si ricava da http://www.icavalieridellozodiaco.net/informazioni/articoli/arakistory.htm
il successo di “Lady Oscar” (Berusaiyu no bara, 1979) rese noto il lavoro di
Shingo Araki in Occidente:
Berusaiyu no
bara ha l'effetto di render noto Araki presso gli esperti del mondo
dell'animazione francese, e per alcuni anni egli si occuperà solo di
coproduzioni franconipponiche in cui il suo disegno assume forme curiose e
spesso irriconoscibili per adattarsi ai parametri europei di rappresentazione
di un personaggio a cartoni animati. Unica caratteristica dello stile di Araki
che permane immutata è la bellezza incredibile del tratto
[2] La serie animata giapponese “Blue Noah” (Uchū Kūbo Burū Noa, 1979) non
ha nulla a che fare con l’avventura dell’eroe di Itaca né con l’Arca di Noè, ma
il suo sottotitolo in Italia fu, appunto “Blue Noah – Mare spaziale” benché gran
parte della vicenda della nave si svolgesse sui mari terrestri.
[3] Per il cast completo dei realizzatori si veda la scheda
contenuta in http://it.wikipedia.org/wiki/Ulisse_31.
La stessa pagina ci ricorda che la serie apparve prima in Europa (1981) e solo
successivamente in Giappone (1988) grazie alla mobilitazione dei fan di Araki,
secondo quanto riportato da http://www.icavalieridellozodiaco.net/informazioni/articoli/arakistory.htm
NB: immagini, video e citazioni non mi appartengono ma sono tratti dal web a corredo dell'analisi. Questo blog non ha fini di lucro.
2 commenti:
Grande e doveroso recupero. Io me la ricordo anche un tantino "pesa" per tematiche, stile Ape Magà...
Lo slittamento rispetto al testo originale dal mio punto di vista non era necessariamente un male: in questo modo non si rischiava di cadeva nella eccessiva prevedibilità, annoiando lo spettatore.
Credo che l'aspetto più interessante fosse, come giustamente rilevi, la presenza incombente degli Dei, mai esplicitamente mostrati.
Attendo un ulteriore post sui Cavalieri Dello Zodiaco e su Alexander!
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