domenica 24 ottobre 2010
MIGRAZIONI – E tui, de chini sesi? 4
E finalmente facciamo nomi e cognomi. Anzi: incominciamo a dare alla Sardegna il suo nome.
Per farlo dobbiamo partire da un derby Torres-Cagliari di qualche decennio fa. Da un lato i cori erano “Tathari delenda”, “Zola torna all’ovile” e la ben più famigerata “L’altra sera \ camminando per strada”. Dall’altra l’urlo “Cagliaritani africani”.
Beh, non so se avessero ragione i tifosi rossoblu (quelli originali di Casteddu, ovvio). Di certo i cabesusesi torresini non avevano torto. Perché miticamente i Sardi sono venuti (anche) dall’Africa.
Anzi: il nome stesso della Sardegna è derivato da un semidio Africano…
Ma andiamo per ordine.
Il solito Pausania (non Tempio), infatti, ci riferisce che i primi a raggiungere l’isola via mare furono dei Libi guidati da Sardo. L’isola era già abitata dagli Indigeni ma, come detto, ben poco si sa di loro. Quanti ai Corsi, Pausania qui li trascura.
Ora: la Libia dell’antichità era un concetto abbastanza esteso. Diciamo che, più o meno, era tutta l’attuale Africa Mediterranea con esclusione della zona di Cartagine (l’Africa vera e propria), della Mauretania (attuali Algeria e Marocco) e dell’Egitto. La provenienza di questi Libi, quindi, non è facilmente definibile.
A ciò non ci aiutano le vicende di Sardo: Pausania ci dice solo che era figlio di Makeris (nome Egizio e Libri per Eracle, a detta dell’autore) e che fece un viaggio a Delfi. Se questo viaggio al più famoso oracolo dell’antichità avvenne prima del suo sbarco in Sardegna o dopo non è dato saperlo. Possiamo però ricordare che in epoca più storica e meno mitica, chi stava per partire per fondare una colonia si recava a Delfi per avere indicazioni: forse anche Sardo fece lo stesso e si recò dalla Pizia prima di migrare.
Pausania aggiunge che gli Indigeni dell’isola accolsero i Libi “più per necessità che di proposito” e che i Libi non espulsero gli Indigeni stessi. Un frammento dello storico romano Sallustio ci dice che Sardo partì dalla Libia “con una grande moltitudine”: forse gli indigeni non poterono contrastare questa “moltitudine” e si sottomisero, fondendosi con i nuovi arrivati.
Pausania garantisce che, comunque, la vita non cambiò molto dopo l’insediamento dei Libi: tutti e due i popoli non sapevano edificare le città, ma abitavano in capanne e spelonche così come potevano.
Ancora Pausania e Sallustio ci dicono che fu Sardo a dare il nuovo nome all’isola: Sardegna da Sardo, appunto.
Non sappiamo, invece, quale fosse il nome dato alla nostra terra dagli Indigeni, ma abbiamo una vasta scelta tra nomi di suono greco.
Silio Italico ci dice che l’isola fu chiamata dai Greci Ichnusa, poiché ha la forma di piede umano, e che questa denominazione era precedente all’arrivo di Sardo. Il nome è sostanzialmente confermato dal tardo Isidoro di Siviglia, che lo conosce come Ichnos.
Marziano Capella, invece, oltre a Ichnussa propone come originario nome alternativo Sandaliotes, dalla parola che indica il “sandalo”: quindi sempre in relazione alla forma di piede dell’isola.
Gli scoli al Timeo di Platone dicono che il nome originario era Argyrofleps!
Sta di fatto che l’isola prese il nome attuale, che Ichnussa rimase come nome per una bevanda e che i Libi si insediarono.
Secoli dopo, e ormai siamo in epoca storica, secondo Pausania i Libi fecero una seconda spedizione in Sardegna. Stavolta erano ben armati (presumibilmente si tratta di Cartaginesi) e attaccarono gli abitanti Greci e Troiani dell’isola.
I Libi vinsero entrambi, ma gli esiti per i popoli attaccati furono diversi. Gli Elleni\Iolei, infatti, furono quasi tutti annientati. I Troiani, invece, si rifugiarono sulle montagne di più difficile accesso e, grazie alle asperità del luogo e alle opere difensive, resistettero all’invasore.
Così, pur somigliando ai Libi per aspetto, armature e per ogni costume di vita, riuscirono a mantenersi indipendenti col nome di Illei.
Ma di colonizzatori Greci e Troiani avremo modo di parlare in alcuni prossimi post.
Qualche piccola nota per i non isolani…
“Casteddu”, il “Castello” è il nome sardo di Cagliari.
“Cabesusesu” (plurale “Cabesusesi”) è un abitante del “cab’e susu”, il “Capo di sopra”, antico distretto amministrativo spagnolo, che corrisponde più o meno alle attuali province di Sassari e di Olbia-Tempio. Per metonimia individua gli abitanti di Sassari.
Il capoluogo di provincia Tempio è in realtà denominato Tempio Pausania, da qui la freddura di sopra… Il capoluogo non è altrimenti entrato nel mito, se non per il suo licenzioso Carnevale.
Paolo Diacono (VIII D.C.) propone un nome alternativo per Sardo: lo chiama Sarde o Sardi, figlio di Ercole (lapsus calami?). Anche lui conferma che il nome dell’isola derivò da lui. Aggiunge che il nome dell’isola quasi-gemella (la Corsica) deriva da Corso, un condottiero locale.
giovedì 21 ottobre 2010
MIGRAZIONI – E tui, de chini sesi? 3
La Sardegna come crocevia delle popolazioni del Mediterraneo. Non uno slogan da turismo moderno, ma la “realtà” del mito antico, come vedremo.
Abbiamo accennato agli Indigeni, provenienti da chissà dove. Abitatori della Sardegna originari, o forse etichetta generica per indicare “chi c’era già quando raccontiamo di una nuova migrazione”.
Oggi iniziamo a fare nomi e cognomi, anche se solo di popoli e, non ancora, di eroi. O forse sì.
In rigido ordino geografico assolutamente casuale, parleremo delle immigrazioni che raggiunsero la Sardigna partendo da Nord.
Plinio il vecchio ci informa che le più note popolazioni della Sardegna (escludendo Romani e coloni fenicio punici) erano gli Iliesi, i Balari e i Corsi. E proprio da questi partiremo.
L’isola di Corsica non è molto distante dalla Sardegna. Anzi: vi è praticamente attaccata. La Corsica era chiamata così dai suoi abitanti (i Ligues, ci dice Pausania), mentre i Greci al chiamavano Cirno. Per Paolo Diacono (storico dell’ottavo secolo d.C.) la Corsica prese il nome da Corso, un suo capitano, mentre la Sardigna da un figlio di Ercole.
Sta di fatto che (ancora Pausania dixit) parte dei Corsi si trasferì in Sardegna e occupò una porzione dei monti isolani. Non è ben chiaro perché l’autore dice che questi immigrati ricevettero dagli indigeni il nome di Corsi: non se lo saranno portati da casa loro stessi?
Ma chi erano questi Ligues? Il nome è quello greco per un popolo che i Romani chiamavano Ligures, i Liguri, stanziati sulle coste del Mar Ligure in un’area che dall’attuale Liguria (viva la fantasia!) arrivava fino al Rodano. Ancora oggi si discute se siano stati una popolazione pre-indoeuropea o invece affine a Celti e Umbri.
Diodoro Siculo, altro tipaccio che abbiamo già conosciuto e che ritroveremo spesso su questi post, ci dice che i mercanti Liguri erano dei navigatori arditi. Su barche che, a detta del siceliota, erano peggiori di una zattera e che di barche quasi non avevano nulla, affrontavano in maniera stupefacente le tempeste del Mare di Sardegna e di quello di Libia.
Zonara, uno storico medievale bizantino, ci dice che durante le rivolte in Sardegna contro i Romani, accanto ai Corsi si sollevarono più volte anche i Liguri.
A questo punto dobbiamo immaginare che, nonostante le scadenti barche, i Liguri si fossero stanziati anche in Sardegna. La logica c’è: se navigavano fino alla Libia, la Sardegna era un punto di sosta obbligato tra le loro basi di partenza e quelle d’arrivo. Se poi avevano dato il nome alla Corsica, forse da loro discendevano quei Corsi migrati in Sardegna.
Nella narrazione della rivolta Zonara ci regala una delle pagine più tragiche della storia sarda: visto che le scorrerie romane non ottenevano quasi nulla, perché i ribelli si nascondevano in boschi e grotte, il generale romano Pomponio si fece mandare da Roma cani da fiuto. Dotati di queste “armi” i Romani riuscirono a stanare gli avversari, uccidendone molti e costringendo i sopravvissuti alla resa.
Fin qui questi due popoli.
Ma un nome mitico ce lo possiamo regalare già in questo post: è quello di Forco, uno dei “Vecchi del Mare” della mitologia greca, assieme ad Oceano, a Nereo e a Proteo.
Secondo Servio, in ciò seguace di Evemero, Re di Corsica e Sardegna fu un tempo proprio Forco. Non sappiamo se Servio intendesse che entrambe le isole erano unite, o semplicemente che Forco fosse il re dei Corsi stanziati sulle due sponde delle Bocche di Bonifacio.
Comunque Forco affrontò in battaglia Atlante e il suo esercito: fu una catastrofe. Il re dei Corsi ne fu sconfitto sia sul mare che sulla terra.
A questo punto Forco scomparve, e i suoi compagni credettero che fosse divenuto una divinità marina.
Un re divenuto dio: non male per un popolo cui i Romani (citando un grande poeta e cantante ligure anche lui immigrato in Sardegna) diedero la caccia come se fosse stata selvaggina!
lunedì 18 ottobre 2010
MIGRAZIONI – E tui, de chini sesi? 2
Vi abbiamo detto che i Sardi del mito venivano un po’ da ogni angolo del Mediterraneo. Una piccola correzione però si impone: qualcuno che veniva da chissà dove, c’era già prima di tutti.
Magari spuntato fuori dal suolo come un albero piegato dal vento di Maestrale.
Pausania, il secondo turista della storia (il primo era sua maestà Erodoto lo sparaballe, of course) ci fa capire che anche in Sardegna esistevano degli Indigeni: essi erano gli abitatori dell’isola prima di libi, fenici, geci e quant’altri arrivarono dopo. Ed erano diversi da questi.
Diciamo che Pausania più che dire cosa fossero e cosa sapessero fare, parla in negativo. Cioè ci dice che non sa quale nome gli Indigeni avessero dato alla Sardegna. Che non sapevano costruire città, ma vivevano come capitava in grotte e tuguri. Che i Libi (per Pausania i primi “nuovi arrivati” sull’isola) non li cacciarono. Che gli Indigeni non gradivano i Libi ma che erano troppo deboli per riuscire a respingerli.
E infine: gli Indigeni dovettero subire una nuova invasione da parte di alcuni degli abitanti della Corsica. Furono essi stessi (gli indigeni) a chiamare i nuovi arrivati Corsi: questi furono una delle tre grandi stirpi sarde mitiche (e storiche) assieme ai Balari e agli Illesi.
Il Siculo Diodoro aggiunge poco alla storia degli Indigeni. Forse parla di loro mescolati ai Libi arrivati dopo, non sappiamo. Ci dice comunque che Iolao, nipote di Eracle e mitico conquistatore della Sardegna alla guida dei suoi cugini Tespiadi, li sconfisse in battaglia e spartì l’Isola tra i suoi protetti.
Un’altra nota sparsa è data quando parla della rivolta dei Libi (dell’Africa, non i Libi immigrati in Sardegna) contro i Cartaginesi: dice che gli indigeni dell’Isola cercarono di approfittare della rivolta per liberarsi dai Punici.
Sono gli stessi indigeni di cui ci parla Pausania? O sono genericamente gli abitanti della Sardigna che non erano Cartaginesi? Dalle scarne notizie di Diodoro non possiamo risolvere l’enigma. Comunque i nazionalisti isolani si rassegnino: i Cartaginesi sconfissero presto i rivoltosi in Africa e poi rioccuparono la Sardegna.
Fine delle notizie sugli Indigeni.
Un po’ poco, certo. Poche notizie e tanti dubbi.
Chi erano gli Indigeni? Erano autoctoni, nati spontaneamente dalla Madre-Terra? Oppure è semplicemente una definizione di comodo per indicare un popolo precedente alle invasioni mitiche? O, ancora meglio, il popolo che si trovava sull’Isola prima dell’invasione che volta per volta viene narrata?
Il mistero rimane.
Quello che è certo che, in una visione abbastanza tipica, gli abitanti ricevono “da fuori” la civiltà (costruire le città, ad esempio). E che chi c’è prima viene assoggettato da chi arriva dopo.
E in Sardegna, “dopo”, ne arrivarono davvero tanti.
Una piccola nota
Ringrazio il prof. Ugas per avermi fornito le fonti classiche che trattano dell’argomento della colonizzazione mitica della Sardegna. E’ ovviamente chiaro che tutto quanto compare in questi post è esclusivamente frutto delle mie interpretazioni (e della mia cattiveria).
domenica 17 ottobre 2010
MIGRAZIONI - E tui, de chini sesi? 1
Esistono miti antichi, esistono miti moderni. I primi trovavano le loro origini nei racconti dei padri, i secondi a volte in qualche scoperta scientifica.
Così, a rafforzare il mito dell’isolamento degli isolani abitanti dell'Isola di Sardegna, ogni tanto spunta fuori che geneticamente nel nostro territorio ci sono aree omogenee, stabili e antiche. Ottime per farci una mappatura del DNA.
Insomma: i Sardi sono diversi dagli altri anche geneticamente. Parlando come un mito antico potremmo dire che siamo autoctoni, nati dalla Terra Madre e mai mescolati all’altra gente.
Dico “siamo”, in quanto sardo, anche se la mia famiglia pare sia essere originaria “del continente” seppur venuta in Sardegna in ere definibili quanto meno antiche...
Comunque: dando retta al DNA degli Ogliastrini, avrebbe perfettamente ragione la “tzia Maria” che c’è in ogni paese, che, di fronte all’arrivo di uno sconosciuto sulla piazza del paese, non si scompone, e chiede immancabilmente “E tui, de chinisesi?”. Cioè: “Di chi sei (figlio)?”.
Sottintendendo: “Se sei giunto qui, in quest’Isola, sei un emigrato di ritorno, non puoi essere straniero. In Sardegna ci sono e ci passano solo i Sardi" (con l'esclusione dei carabinieri e dei nobili sfruttatori).
Miti moderni, appunto.
Perché nel mito antico, la Sardegna, isola al centro del Mediteraneo Occidentale, era un vero “porto di mare” (ci si perdoni il gioco di parole), come la sua posizione e le sue ricchezze implicavano.
La popolazione era ritenuta comunque di origine assai mista: non meno di tredici popoli avrebbero dato origine ai Sardi! Un’Isola che, ai tempi della leggenda, riceveva uno sbarco di coloni oggi e uno domani. E non tutti i miti nascondevano dietro l’apparenza dell’antichità una pretesa di dominio recente.
Alla faccia della continuità genetica e dell’isolamento...
Questa serie di post vuole condurre i “continentali” e anche i sardi a scoprire da dove, secondo il mito classico, venivano i Sardi.
Ma non abbiate paura: se temete provenienze aliene, atlantidee o di Shardana\popolo di Dan e quant’altro... beh, questi sono miti moderni che vedremo un’altra volta.
Una piccola nota
Secondo altri miti moderni, i Sardi sarebbero tutti immancabilmente testardi, ospitali, pastori, chiusi nei paesi dell’interno, terragni e non marinai, incapaci di parlare senza raddoppiare le consonanti...
Peggio ancora, una trentina di anni fa c’era il mito che tutti i sardi fossero rapitori.
Una visione molto da “esterni”, a dire la verità!
Certo, anche tra gli abitanti della mia Isola c’è chi sottintende che i "veri sardi" siano solo quelli dotati di una sorta di “sangue puro” tradizionalista (pastore, ospitale, testardo etc. etc.) riservato a chi vive nelle montagne dell’interno. Ma se analizziamo i dati documentali della storia e non le convinzioni aprioristiche (la parola “miti” intesa in senso negativo, appunto), questa è una tradizione che ha avuto valore sempre solo per una porzione neppure maggioritaria della popolazione isolana.
L'unica "convinzione" che ha valore scientifico riguarda il fatto che in Sardegna si
trova un'alta percentuale di centenari. Non dobbiamo preoccuparci troppo, però: l'inquinamento aumenta anche da noi, e i dati sulla longevità potrebbero presto diventare solo un altro mito...
domenica 3 ottobre 2010
MIGRAZIONI – Corna, bugie, spergiuri e tribunali 4
Abbiamo raccontato la nascita, l’ascesa, gli amori e le conquiste di quel gran bugiardo chiamato Minosse. Oggi vi racconteremo il suo tramonto e la sua fine.
Minosse, figlio di Zeus, regnava incontrastato a Creta (paese di bugiardi), con due crucci: il toro bianco che era divenuto involontariamente l’amante della moglie, e il Minotauro, frutto di questa immonda unione. Mente il secondo era stato chiuso nel Labirinto costruito da Dedalo, il primo scorrazzava selvaggio e incontrollabile per tutta l’isola.
Forse memore del fatto che il toro era un dono di Poseidone, e delle conseguenze nefaste dell’averlo tenuto in vita, Minosse fece ben poco per catturare la bestia.
Tuttavia il re non si oppose quando a Creta giunse suo fratellastro Eracle (Ercole, alla latina), un altro semidio figlio di una delle tante avventure terrene di Zeus. Eracle doveva assolvere a una delle sue fatiche catturando il toro e portandolo alla corte di Euristeo di Micene: Minosse gli diede via libera, e l’eroe forzuto non fallì l’impresa, catturando il toro e portandolo sul continente.
Quanto al problema del Minotauro, Minosse se lo vide risolto in maniera imprevista dall’ateniese Teseo, figlio di Egeo re di Atene (o, secondo altri, di Poseidone il dio del mare).
Come forse ricorderete, gli ateniesi erano stati sconfitti da Minosse, e costretti a pagare uno spietato tributo: ogni anno dovevano inviare a Creta sette ragazzi e sette fanciulle vergini che dovevano servire da pasto per il Minotauro.
Anche quell’anno giunse la nave ateniese, ma uno dei sette ragazzi era Teseo, già celebre per aver sterminato la razza di manigoldi e assassini che spadroneggiava lungo l’Istmo di Corinto.
All’arrivo della nave, Minosse si comportò come il suo solito: una delle ragazze attirò le sue attenzioni, e il re ne avrebbe approfittato seduta stante.
Teseo si oppose, proclamandosi figlio di Poseidone. Minosse, ancora una volta piuttosto blasfemo e irrispettoso nei confronti del dio del mare, innanzitutto si permise di affermare che il dio non aveva certo rispettato le fanciulle che gli erano piaciute. Poi sfidò Teseo a dimostrare la sua origine divina: il re gettò un anello nel mare e disse che avrebbe riconosciuto Teseo come figlio di Poseidone solo se l’ateniese avesse riportato il gioiello.
Teseo, che non si piegava a nessuno, disse che l’avrebbe fatto solo dopo che Minosse avesse dimostrato di essere figlio di Zeus. Il ragazzo era sfrontato, ma Minosse non poteva accettare una sfida a casa sua: invocò Zeus, e subito il padre mandò un lampo e un tuono.
Possiamo immaginare il ghigno soddisfatto di Minosse quando si girò verso Teseo, ma il giovane si era già tuffato: un gruppo di delfini portò l’eroe al palazzo delle Nereidi e lì Teti (secondo altri si trattava di Anfitrite) diede a Teseo l’anello e una corona ingioiellata, dono nuziale di Afrodite.
Quando l’eroe riemerse, Minosse fu costretto a ingoiare il rospo, ma qualcun altro notò il ragazzo: era Arianna, la giovane figlia del re.
La ragazza, nella notte, si avvicinò di nascosto alla stanza dove Teseo riposava in attesa di esser condotto al Labirinto. Arianna portava con sé due doni per l’eroe: una spada per uccidere il Minotauro e un gomitolo di filo magico, dono di Dedalo, per ritrovare la strada d’uscita dal Labirinto. In cambio Teseo gli donò la corona e promise di portarla con sé e sposarla.
Teseo compì l’impresa: uccise il Minotauro, portò in salvo i compagni e fuggì con Arianna da Creta. Minosse non la prese bene, ma alla fine si riconciliò con Teseo, divenuto nel frattempo re di Atene: il giovane gli aveva rubato una figlia (che poi Teseo abbandonò per ordine di Dioniso), ma gli aveva eliminato la scocciatura e la vergogna del Minotauro. Per suggellare questa pace, Minosse diede in moglie a Teseo un’altra figlia, Fedra: anche questa unione, però, non fu fortunata.
C’era però un altro ateniese che Minosse non aveva proprio intenzione di perdonare: l’inventore Dedalo. C’è chi dice che Dedalo fosse stato chiuso nel Labirinto subito dopo aver permesso l’unione tra Pasifae, la moglie di Minosse, e il toro. Se non accadde a quel tempo, di sicuro fu allora che Minosse rinchiuse nel Labirinto Dedalo e suo figlio Icaro, come ricompensa per aver dato il gomitolo magico ad Arianna.
Ma Dedalo creò delle ali con piume e cera: con esse l’inventore e il figlio fuggirono dal Labirinto.
Minosse uscì fuori dalla grazia di dio: voleva vendicarsi di Dedalo!
Non sapeva che l’ateniese era già stato punito: disobbedendo agli ordini del padre Dedalo, Icaro era volato in alto troppo vicino al Sole, e il calore aveva sciolto la cera delle ali.
Il povero ragazzo precipitò in mare, dove trovò la morte, mentre il padre giunse alla fine in Sicilia, alla corte di Cocalo, re di Camico. Qui costruì grandi monumenti… e dei giochi per le figlie del re.
Minosse organizzò la sua flotta e veleggiò verso occidente.
Ma come stanare l’ingegnoso inventore?
Minosse era uno spergiuro e un bugiardo, ma non era uno sciocco: sapeva che Dedalo non avrebbe resistito a una sfida che solo lui poteva risolvere. Così il re, ovunque sbarcava, mostrava una conchiglia di Tritone, e prometteva una grande ricompensa a chi fosse stato in grado di farci passare attraverso un filo di lino.
Cocalo propose la sfida al suo inventore, e Dedalo ci riuscì genialmente, come al suo solito: fece un forellino nella conchiglia e vi versò dentro del miele; poi prese una formica e le legò attorno un filo sottilissimo; quindi fece entrare la formica nel foro e l’insetto, mangiando il miele, attraversò tutta la conchiglia. Infine Dedalo annodò un filo di lino all’estremità del filo sottile attaccato alla formica… e il gioco fu fatto.
Cocalo andò a reclamare il premio, e Minosse fu come al solito un pessimo pagatore: invece che pagare quanto promesso, fece la voce grossa e reclamò la consegna di Dedalo, l’unico uomo in grado di compiere l’impresa. Non sappiamo se Cocalo, vedendo la flotta cretese, abbia ceduto subito, ma le sue figlie non erano d’accordo: mai e poi mai avrebbero rinunciato a colui che inventava per loro dei giochi così splendidi.
E così tramarono con Dedalo: mentre Minosse si godeva un bagno tiepido, attraverso un tubo nascosto Dedalo fece scendere sul re acqua bollente, o secondo altri pece. Sta di fatto che il re di Creta ci restò secco all’istante.
Ma le sue vicende sarebbero durate anche nell’aldià…
Infatti, morto nella sua vasca da bagno più di Marat, Minosse, fedifrago, bugiardo, empio, cornificatore e cornuto concluse la sua carriera mortale basata su bugie e tori, e ne iniziò una nuova, ben più appagante: finì agli Inferi... col ruolo di giudice dei morti, poiché gli dei lo riconobbero come uno dei più giusti tra gli uomini. Visto il curriculum di Minosse, c’è da chiedersi quale fosse il livello di moralità degli altri!
Al suo fianco, nel tribunale infernale, sedevano fratello Radamanto, ormai riconciliato, ed Eaco, un tempo suo rivale.
Lì, secoli dopo, lo ritroverà durante il suo mistico viaggio Dante Alighieri. Ma del regale Minosse rimaneva ben poco: una bestia mugghiante dalla testa di toro, con una grande coda serpentina che si avvolgeva su sé stessa, indicando al peccatore il cerchio cui era destinato.
Coming Soon…
La nostra descrizione sulle migrazioni prosegue!
Ci prendiamo una pausa dalla Grecia, dove Cadmo, fratello di Europa, avrebbe fatto furore, e seguiremo Dedalo: continuando a migrare verso Occidente, l’inventore, lasciata la Sicilia, arrivò in Sardegna. Qui si mise al servizio di altri celebri emigrati\immigrati, i figli di Eracle e delle figlie di Tespio, ovvero i Tespiadi. E per loro fabbricò…
Ma di questo parleremo in un prossimo post, il primo della serie dedicato ai colonizzatori mitici della Sardegna.
Alcune piccole note...
Il toro di Creta catturato da Eracle fu lasciato libero da re Euristeo. La bestia fuggì lungo l’Istmo di Corinto giunse sulla piana di Maratona, in Attica. Qui Teseo lo uccise, secondo alcuni mitografi prima del viaggio di Teseo a Creta.
Secondo alcuni il tributo di quattordici fanciulli doveva essere inviato non ogni anno, ma ogni nove anni, cioè al termine di un Grande Anno.
Il mito di Icaro trova una corrispondenza in un mito degli indiani Zuni. Tra loro si narra di un giovane che, innamorato di un’aquila femmina che aveva allevato, la liberò e, tramutatosi a sua volta in uccello, la seguì fino alla Montagna di Turchesi. Qui fu dato al giovane un abito da aquila, ma anche l’ammonizione di non volare oltre la catena di montagne che si vedeva all’orizzonte. Ma un giorno, mentre volava, il giovane fu preso da una sensazione di potere tale che violò il divieto, superò la catena e vide la città dei morti. Dopo varie vicende, come accadde a Icaro, anche al giovane fu strappato l’abito da aquila e il ragazzo precipitò schiantandosi al suolo.