domenica 3 ottobre 2010

MIGRAZIONI – Corna, bugie, spergiuri e tribunali 4


Abbiamo raccontato la nascita, l’ascesa, gli amori e le conquiste di quel gran bugiardo chiamato Minosse. Oggi vi racconteremo il suo tramonto e la sua fine.

Minosse, figlio di Zeus, regnava incontrastato a Creta (paese di bugiardi), con due crucci: il toro bianco che era divenuto involontariamente l’amante della moglie, e il Minotauro, frutto di questa immonda unione. Mente il secondo era stato chiuso nel Labirinto costruito da Dedalo, il primo scorrazzava selvaggio e incontrollabile per tutta l’isola.
Forse memore del fatto che il toro era un dono di Poseidone, e delle conseguenze nefaste dell’averlo tenuto in vita, Minosse fece ben poco per catturare la bestia.
Tuttavia il re non si oppose quando a Creta giunse suo fratellastro Eracle (Ercole, alla latina), un altro semidio figlio di una delle tante avventure terrene di Zeus. Eracle doveva assolvere a una delle sue fatiche catturando il toro e portandolo alla corte di Euristeo di Micene: Minosse gli diede via libera, e l’eroe forzuto non fallì l’impresa, catturando il toro e portandolo sul continente.

Quanto al problema del Minotauro, Minosse se lo vide risolto in maniera imprevista dall’ateniese Teseo, figlio di Egeo re di Atene (o, secondo altri, di Poseidone il dio del mare).
Come forse ricorderete, gli ateniesi erano stati sconfitti da Minosse, e costretti a pagare uno spietato tributo: ogni anno dovevano inviare a Creta sette ragazzi e sette fanciulle vergini che dovevano servire da pasto per il Minotauro.
Anche quell’anno giunse la nave ateniese, ma uno dei sette ragazzi era Teseo, già celebre per aver sterminato la razza di manigoldi e assassini che spadroneggiava lungo l’Istmo di Corinto.
All’arrivo della nave, Minosse si comportò come il suo solito: una delle ragazze attirò le sue attenzioni, e il re ne avrebbe approfittato seduta stante.
Teseo si oppose, proclamandosi figlio di Poseidone. Minosse, ancora una volta piuttosto blasfemo e irrispettoso nei confronti del dio del mare, innanzitutto si permise di affermare che il dio non aveva certo rispettato le fanciulle che gli erano piaciute. Poi sfidò Teseo a dimostrare la sua origine divina: il re gettò un anello nel mare e disse che avrebbe riconosciuto Teseo come figlio di Poseidone solo se l’ateniese avesse riportato il gioiello.
Teseo, che non si piegava a nessuno, disse che l’avrebbe fatto solo dopo che Minosse avesse dimostrato di essere figlio di Zeus. Il ragazzo era sfrontato, ma Minosse non poteva accettare una sfida a casa sua: invocò Zeus, e subito il padre mandò un lampo e un tuono.
Possiamo immaginare il ghigno soddisfatto di Minosse quando si girò verso Teseo, ma il giovane si era già tuffato: un gruppo di delfini portò l’eroe al palazzo delle Nereidi e lì Teti (secondo altri si trattava di Anfitrite) diede a Teseo l’anello e una corona ingioiellata, dono nuziale di Afrodite.

Quando l’eroe riemerse, Minosse fu costretto a ingoiare il rospo, ma qualcun altro notò il ragazzo: era Arianna, la giovane figlia del re.
La ragazza, nella notte, si avvicinò di nascosto alla stanza dove Teseo riposava in attesa di esser condotto al Labirinto. Arianna portava con sé due doni per l’eroe: una spada per uccidere il Minotauro e un gomitolo di filo magico, dono di Dedalo, per ritrovare la strada d’uscita dal Labirinto. In cambio Teseo gli donò la corona e promise di portarla con sé e sposarla.

Teseo compì l’impresa: uccise il Minotauro, portò in salvo i compagni e fuggì con Arianna da Creta. Minosse non la prese bene, ma alla fine si riconciliò con Teseo, divenuto nel frattempo re di Atene: il giovane gli aveva rubato una figlia (che poi Teseo abbandonò per ordine di Dioniso), ma gli aveva eliminato la scocciatura e la vergogna del Minotauro. Per suggellare questa pace, Minosse diede in moglie a Teseo un’altra figlia, Fedra: anche questa unione, però, non fu fortunata.

C’era però un altro ateniese che Minosse non aveva proprio intenzione di perdonare: l’inventore Dedalo. C’è chi dice che Dedalo fosse stato chiuso nel Labirinto subito dopo aver permesso l’unione tra Pasifae, la moglie di Minosse, e il toro. Se non accadde a quel tempo, di sicuro fu allora che Minosse rinchiuse nel Labirinto Dedalo e suo figlio Icaro, come ricompensa per aver dato il gomitolo magico ad Arianna.
Ma Dedalo creò delle ali con piume e cera: con esse l’inventore e il figlio fuggirono dal Labirinto.

Minosse uscì fuori dalla grazia di dio: voleva vendicarsi di Dedalo!
Non sapeva che l’ateniese era già stato punito: disobbedendo agli ordini del padre Dedalo, Icaro era volato in alto troppo vicino al Sole, e il calore aveva sciolto la cera delle ali.

Il povero ragazzo precipitò in mare, dove trovò la morte, mentre il padre giunse alla fine in Sicilia, alla corte di Cocalo, re di Camico. Qui costruì grandi monumenti… e dei giochi per le figlie del re.

Minosse organizzò la sua flotta e veleggiò verso occidente.
Ma come stanare l’ingegnoso inventore?
Minosse era uno spergiuro e un bugiardo, ma non era uno sciocco: sapeva che Dedalo non avrebbe resistito a una sfida che solo lui poteva risolvere. Così il re, ovunque sbarcava, mostrava una conchiglia di Tritone, e prometteva una grande ricompensa a chi fosse stato in grado di farci passare attraverso un filo di lino.
Cocalo propose la sfida al suo inventore, e Dedalo ci riuscì genialmente, come al suo solito: fece un forellino nella conchiglia e vi versò dentro del miele; poi prese una formica e le legò attorno un filo sottilissimo; quindi fece entrare la formica nel foro e l’insetto, mangiando il miele, attraversò tutta la conchiglia. Infine Dedalo annodò un filo di lino all’estremità del filo sottile attaccato alla formica… e il gioco fu fatto.

Cocalo andò a reclamare il premio, e Minosse fu come al solito un pessimo pagatore: invece che pagare quanto promesso, fece la voce grossa e reclamò la consegna di Dedalo, l’unico uomo in grado di compiere l’impresa. Non sappiamo se Cocalo, vedendo la flotta cretese, abbia ceduto subito, ma le sue figlie non erano d’accordo: mai e poi mai avrebbero rinunciato a colui che inventava per loro dei giochi così splendidi.
E così tramarono con Dedalo: mentre Minosse si godeva un bagno tiepido, attraverso un tubo nascosto Dedalo fece scendere sul re acqua bollente, o secondo altri pece. Sta di fatto che il re di Creta ci restò secco all’istante.
Ma le sue vicende sarebbero durate anche nell’aldià

Infatti, morto nella sua vasca da bagno più di Marat, Minosse, fedifrago, bugiardo, empio, cornificatore e cornuto concluse la sua carriera mortale basata su bugie e tori, e ne iniziò una nuova, ben più appagante: finì agli Inferi... col ruolo di giudice dei morti, poiché gli dei lo riconobbero come uno dei più giusti tra gli uomini. Visto il curriculum di Minosse, c’è da chiedersi quale fosse il livello di moralità degli altri!
Al suo fianco, nel tribunale infernale, sedevano fratello Radamanto, ormai riconciliato, ed Eaco, un tempo suo rivale.

Lì, secoli dopo, lo ritroverà durante il suo mistico viaggio Dante Alighieri. Ma del regale Minosse rimaneva ben poco: una bestia mugghiante dalla testa di toro, con una grande coda serpentina che si avvolgeva su sé stessa, indicando al peccatore il cerchio cui era destinato.



Coming Soon

La nostra descrizione sulle migrazioni prosegue!
Ci prendiamo una pausa dalla Grecia, dove Cadmo, fratello di Europa, avrebbe fatto furore, e seguiremo Dedalo: continuando a migrare verso Occidente, l’inventore, lasciata la Sicilia, arrivò in Sardegna. Qui si mise al servizio di altri celebri emigrati\immigrati, i figli di Eracle e delle figlie di Tespio, ovvero i Tespiadi. E per loro fabbricò…
Ma di questo parleremo in un prossimo post, il primo della serie dedicato ai colonizzatori mitici della Sardegna.




Alcune piccole note...
Il toro di Creta catturato da Eracle fu lasciato libero da re Euristeo. La bestia fuggì lungo l’Istmo di Corinto giunse sulla piana di Maratona, in Attica. Qui Teseo lo uccise, secondo alcuni mitografi prima del viaggio di Teseo a Creta.

Secondo alcuni il tributo di quattordici fanciulli doveva essere inviato non ogni anno, ma ogni nove anni, cioè al termine di un Grande Anno.

Il mito di Icaro trova una corrispondenza in un mito degli indiani Zuni. Tra loro si narra di un giovane che, innamorato di un’aquila femmina che aveva allevato, la liberò e, tramutatosi a sua volta in uccello, la seguì fino alla Montagna di Turchesi. Qui fu dato al giovane un abito da aquila, ma anche l’ammonizione di non volare oltre la catena di montagne che si vedeva all’orizzonte. Ma un giorno, mentre volava, il giovane fu preso da una sensazione di potere tale che violò il divieto, superò la catena e vide la città dei morti. Dopo varie vicende, come accadde a Icaro, anche al giovane fu strappato l’abito da aquila e il ragazzo precipitò schiantandosi al suolo.

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