Narra Omero che Eos, l’Aurora, innamoratasi del bellissimo principe troiano Titone, lo rapì e lo volle sposare. Presa dall’amore, la dea chiese a Zeus l’immortalità per l'amato, e il cupotonante signore dell’Olimpo gliela concesse. Ma Eos dimenticò di chiedere per lui anche l’eterna giovinezza. Così, mentre l’Aurora dalle dita rosate rimaneva perennemente uguale, Titone invecchiò sempre di più senza poter morire, rattrappendosi e raggrinzendosi, fino a dover essere messo, come un bambino, in un cestino di vimini. Alla fine Eos lo tramutò in cicala.
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TITONE
"... Ed Eracle eresse le sue colonne
Per segnalare il limite
Oltre il quale i mortali non andassero..."
Errarono poeti e prosatori, il vecchio di Chio per una volta fu cieco anche con la mente. Empi, empi coloro che in tutta l’Ellade vagano cantando gli dei come immortali sì, potenti sì, ma uomini dentro. Stolti! Non ha forse Zeus padre inghiottito la titanide Metis, la prudenza? Non è Atena Vergine la più saggia creatura d’ogni dove?
E allora anche voi mortali capirete che l’assurda Mània, la follia, prese coloro che dicono falsità: tali sono amori adulterini, lazzi, risa, crudeltà degli Olimpi sommi. E falso è ciò che si narra della storia mia.
Eos rododactila mi vide, mi volle e mi prese. L’amore divino mi investì con la luce sua: quale mortale può, infatti, resistere al fascino e alla splendente potenza di una dea innamorata?
Ci unimmo, notte dopo notte, sull’aurea coppa che l’amante mia ed il fratello suo Helios, che tutto vede, riporta dall’estremo Occidente al paese degli Etìopi. Notti dopo notti l’amore, ma anche la paura e la maledizione di Chronos che mi attanagliava, ed il vigore della giovinezza che spariva, lento ma inesorabile come i granelli di sabbia della grande clessidra del padre di Tonante. Eos, dal mantello color del croco, a lungo osservò sconcertata ciò che non capiva, perché estraneo alla sua natura di immortale sempre giovane. Oh!, Omero falso, l’avessi vista allora! Avresti capito che uomini e dei sono diversi fuori e nell’animo, che sangue ed icore non si mescolano mai! L’immortalità è un sorso diluito di acqua del Lete: giorno dopo giorno, alba dopo alba, goccia dopo goccia, fa scordare che ci possa essere altro che l’eterno.
Ma gli dei non sono stolti.
Eos mi amò, un tempo? Non so. Dei e uomini mortali sono differenti nel pensare e l’amore è diverso per loro: amore non è soffrire, amore non è la tensione all’amato, che sola dà sapore all’attimo in cui lo si raggiunge. Essi possono, essi hanno: la brama è d’un istante, poi è appagata. Chi parlò di Dafne e di Castalia mai non vide il fulgore di Febo Apollo, e solo Idas l’orgoglioso bugiardo poteva affermare che Marpessa preferì lui al dio: chi raccoglie le briciole della tavola del sazio non sempre ammette d’aver mendicato.
Ah! Fulgente poco meno di Febo, eppure amante anch’ella, Eos! E potente, e gelosa! Voleva, aveva e lasciava, eppure non dava le briciole neppure ai cani, e ben lo sa Procri. Divina, ella non accettava che gli amanti suoi li rubasse alcuno, foss’anche il filo spezzato di Atropo, l’inevitabile.
Zeus tonante l’udì, e accettò di dar l’ambrosia a me pure, figlio di re ma mortale anch’io. E le mie membra tornarono forti e vigorose, e le notti d’amore lunghe e gaudiose come quelle d’un tempo. Mortali invidiosi, i poeti, che mutano il vero con tortuose menti per fini da poco, dissero che ella scordò di dare a me, l’amato, giovinezza eterna, e ch’io restai preda di Ghèras, l’orrida vecchiaia, della nera Notte figlia. Sciocchi empi! Tali cose avrebbe potuto scordare il primo fra gli Olimpi? O se anche fosse stato, è tanto debole Zeus Salvatore da non poter restituire la gioventù in seguito? Ciò che si recita fatto da una strega barbara nipote d’Iperione (e tutti gli adoranti di Ovidio lo credono) è impossibile al sommo padre?
No, erraste, voi tutti mortali. Ciò che tanto affascinò pittori e scultori è solo filosofica apparenza e sciocco insegnamento morale costruito su tristi menzogne. Fui e sono giovane.
D’aspetto almeno.
Ma oggi Momo ha sussurrato nel mio orecchio un dubbio: che nella mia mente io sia tale e quale mi descrissero i mortali, vecchio e grinzoso. Mi sussurra che un poeta non coglie l’aspetto, ma la sostanza, che il pittore oltre un singolo volto ritrae l’assoluto. Che l’uomo non è fatto per l’immortalità, che la sua mente si ferma ad un certo punto, esita, si volta, si gira su sé stessa, si chiude.
Vecchia.
E che Thanatos è la pietà degli dei e la salvezza dell’uomo.
Ma io non credo ai suoi beffardi sussurri, non voglio crederci. Un uomo non può amare una prigione per quanto essa sia splendida, non può desiderarla al punto da rinnegare sé stesso. E l’Olimpo non è per me prigione, e avere l’immortalità, ciò che ogni uomo brama, è sufficiente ricompensa per un amore. E se Eos non viene più a trovarmi, chè il non avere più rivali fece scemare la sua brama, io la attendo sempre.
Ho l’eternità per farlo.
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