Una sala buia. Solo un braciere la
illumina.
Un trono. Di pietra. Spoglio.
Su esso un uomo (un uomo?),
dall'aspetto quasi femmineo, androgino. L'espressione dolce che solo
la crudeltà sa dare a un volto.
Un corpo, al centro della sala. Ai
confini tra la vita e la morte. Un corpo d'uomo forte, un corpo
d'eroe. Immobile nelle sue membra.
E' Pelope? Tieste? Agamennone? Edipo?
Polinice? Nessuno lo sa.
Un canto dal buio, voci di donne
lontane nello spazio, nel tempo, nel significato.
“Euoè!”, gridano, “Euoè!”
Dal buio figure velate di madri,
sorelle, figlie. Dal buio figure decise o esitanti o bramose di
padri, fratelli, figli. Nei loro occhi una luce ferina e feroce,
umana e disumana insieme.
Vengono per il pasto, la mensa del dio.
Sul trono, come su un palco, Dioniso
sorride. E' la sua festa.
Quel corpo è un'altra, sempre la
stessa tragedia che gli viene immolata. Poeti, studiosi, attori
mortali di un giorno futuro, dopo questi mortali presenti, verranno
per cibarsi al suo banchetto immortale.
Sorride, Dioniso, col suo ingannevole
sorriso. E indica il corpo.
“Prendete e mangiatene tutti”,
dice.
Buio.
NB: l'immagine non è di mia proprietà, l'ho trovata su http://www.lavocedellemuse.com/wp-content/uploads/2012/11/dioniso01.jpg, e a richiesta del proprietario verrà rimossa
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