Come anticipato, il 2 dicembre a Cagliari io e il degno Saltatempo abbiamo fatto una conferenza\presentazione dei miti legati agli Atridi di Micene.
E il 26 gennaio toccherà ai Labdacidi di Tebe.
Perché, allora questi strani abbigliamenti che emergono dalle foto?
L'idea era che i miti, nella Grecia antica, avevano valore sacro, ma anche ludico. Ovvero servivano anche a intrattenere le persone attorno al focolare domestico.
Oggi, ahinoi, questa funzione è svolta dalla Tv.
L'idea è stata quindi quella di introdurre i diversi blocchi narrativi con sigle televisive di programmi più o meno noti. E come non collegare lo smembramento di Pelope con "La prova del cuoco"?
Delitti a Micene... paura?
Come non vedere nei fatti della reggia di Micene una puntata di "Porta a Porta" (con tanto di plastico) o con una puntata di "Delitti Micenei" introdotta da Lucarelli?
Io e Saltatempo qualche problemino di riferimenti culturali lo abbiamo.
Ma nei miti ci crediamo.
Aristarco con la corona di Micene
Le foto sono quelle della divina Flo!
Ps: se ci autorizza il regista, potreste anche vedere la versione finale di "Tutti gli atridi in 8 minuti"...
Dalle prove dell'ultima parte dell'incontro "Atroci Atridi", tenuto a Cagliari il 2 dicembre 2012.
I ragazzi del Laboratorio "C'è del marcio a Corinto", su un'idea di Aristarco di Samo!
Seguite questo link...
Cavalli, navi e città vichinghe (e qualche dio)
su una stele del Nord
Riassunto della puntata precedente: QUI abbiamo raccontato di come gli Aesir,
gli dei del Nord, fecero un patto con un muratore: questi avrebbe
costruito le mura di Asgard, la cittadella divina, in una stagione.
Se ci fosse riuscito, in cambio gli dei lo avrebbero pagato con la
mano della bellissima dea Freya e con il Sole e la Luna.
Su insistenza di Loki gli dei
accettarono, convinti che l'impresa sarebbe stata impossibile, ma
presto si resero conto che, con l'aiuto del suo cavallo Svadilfari,
il muratore avrebbe rispettato i patti.
Gli dei erano all'impasse, e solo Loki,
colui che li aveva persuasi a giurare di rispettare il contratto con
il muratore, poteva tirarli fuori dai guai.
Agli dei norreni piaceva giocare a scacchi.
Lo hanno fatto fino ad epoche recenti...
Possiamo immaginare che le mura della
Sala degli Scacchi Dorati tremarono quando Odino lanciò il suo urlo
più terribile per convocare Loki.
Il dio degli Inganni aveva persuaso gli
dei ad accettare il patto col muratore (disse Odino), ora rimediasse
prima che la faccenda si tramutasse in una catastrofe!
Gli Aesir erano vincolati dal
giuramento e non potevano farci nulla... a meno che il muratore non
fosse venuto meno per primo alla sua parola.
Insomma: Loki aveva fatto il guaio,
Loki rimediasse. In fretta. In qualsiasi modo.
E niente storie.
Loki forse si grattò la testa
perplesso: non solo un mondo senza Sole e senza Luna (e senza la
bellezza di Freya) sarebbe stato triste, non solo Odino gli avrebbe
dato una punizione quale appenderlo sul Vuoto a un ramo del Frassino
del Mondo... ma era in gioco la reputazione del Figlio di Laufey!
Mai avrebbe sospettato che quel
muratore potesse ingannare lui, il Dio dell'Inganno! E che potesse
ridere di Loki quando solo Loki poteva sbeffeggiare tutti
impunemente.
Pensa e ripensa, Loki capì che il vero
lavoro pesante non lo faceva il muratore, bensì il cavallo. Senza la
bestia, come avrebbe potuto il muratore trasportare i massi?
Ma come sottrarre il cavallo al suo
padrone?
La dea Freya sul suo grazioso carro
trainato da gatti (!)
L'alba del quinto giorno prima
dell'Estate si aprì con i pianti di Freya e l'angoscia degli Aesir:
per completare le mura di Asgard ormai mancava solo l'architrave
della porta. E l'instancabile Svadilfari stava trascinando
inesorabilmente lungo la pianura l'enorme roccia destinata allo
scopo...
Poi tutti videro il cavallo fermarsi e
drizzare le orecchie, annusare il vento, agitarsi e puntare il suo
muso verso una collina, sordo agli incitamenti del padrone. E sul
crinale della collina si stagliava l'oggetto dell'attenzione dello
stallone: una bellissima puledra lo stava attirando con i suoi
richiami... e il suo odore.
Lo stallone fremette di desiderio. Il
muratore cercò di sferzarlo e di incitarlo, ma Svadilfari strappò
redini e finimenti e si lanciò al galoppo verso la giumenta. Ma
questa fuggì rapida come il vento, e il cavallo la inseguì bramoso.
Dietro di loro correva a perdifiato il
Gigante, stramaledicendo la natura e l'istinto della bestia che
stavano togliendo al suo padrone il trionfo così vicino.
Per quattro giorni non si vide più
nessuno sulla pianura: i corvi di Odino riferivano che il muratore
stava ancora inseguendo il suo stallone, che a sua volta cercava di
raggiungere l'inafferrabile puledra.
Gli dei risero per quella caccia senza
fine, e tirarono un sospiro di sollievo.
Ma all'alba dell'ultimo giorno prima
dell'Estate, l'ultimo a disposizione del muratore per completare in
tempo la sua opera, gli dei saliti sulle mura per festeggiare persero
il sorriso e la parola.
Perché davanti a loro c'era il feroce
muratore che aveva ripreso il suo animale.
Un momento rubato a un grande amore equino...
Panico.
E nuove lacrime di Freya.
Certo, a guardar bene Svadilfari era
ormai solo l'immagine smunta dello splendido animale che era stato.
Magro, consumato, tremante.
Il muratore lo aveva attaccato
all'ultima pietra, e ora lo stava frustando ferocemente. Gli dei
facevano il tifo contro il cavallo, e chissà che non abbiano
lanciato una di quelle maledizioni nordiche modello Nibelunghi che
provocavano solo distruzioni.
La povera bestia gemeva sotto la
frusta, fece un ultimo sforzo...
E stramazzò.
Stramazzò peggio del cavallo che per
Montale sarà il corrispettivo oggettivo del male di vivere (e qui ci
siamo giocati la citazione dotta).
Urla di gioia degli Aesir sulle mura,
urla di rabbia del muratore. Che, ormai certo di non poter completare
l'opera, si imbestialì, perse ogni prudenza e ritegno, e assunse una
gigantesca forma minacciosa.
Trucco scoperto. Il muratore non era un
dio, né un uomo, e neppure un nano troppo cresciuto. Era un
bellicoso Gigante, uno dei nemici giurati degli Asgardiani.
Il Gigante era furioso: gli dei lo
avevano ingannato in qualche modo, ne era certo. Era a causa loro che
Svadilfari era fuggito e si era ridotto a una condizione tale da
morire appena rimesso al lavoro.
Il Gigante puntò minaccioso sulle mura
che lui stesso aveva costruito, deciso a prendersi Freya con le
cattive, visto che con le buone non si era concluso nulla.
Odino, che non aveva un occhio, ma
compensava con una bella dose di ipocrisia, di fronte all'attacco
frontale del Gigante, si sentì libero da ogni giuramento.
Chiamò forte il figlio Thor: questi
sentì il richiamo del padre, gettò uno sguardo verso Asgard e vide
un Gigante davanti alle mura.
Le mura? Ohibò, non c'erano quando era
partito... ma Thor era un tipo dalle poche domande e dalla molta
azione (insomma: un Elvis Presley ante litteram, con più barba). E
siccome in lui al fulmine seguìa il baleno (oggi le citazioni dotte
quasi si regalano), il Dio del Tuono lanciò il suo potente martello
Mjolnir e fracassò in un istante la testa del povero Gigante
Muratore.
Così gli dei ebbero le loro mura e non
pagarono nulla.
I più attenti dei nostri quarantadue
lettori (ebbasta con Manzoni!) protesteranno che il post non era
dedicato specificamente alle mura di Asgard.
Doveva parlare di Loki e della sua
gravidanza, giusto?
Ci stiamo arrivando.
Pochi dei si chiesero come il Gigante
fosse riuscito a riprendersi il cavallo. I pochi che lo fecero, probabilmente si dissero che certamente, l'animale che era fuggito
così a lungo doveva essersi fermato da qualche parte, si era
distratto abbastanza da lasciar avvicinare il padrone, e dopo quei
frangenti era ormai talmente sfatto da farsi catturare solo per
morire la mattina seguente.
Loki in una delle sue ultime incarnazioni...
E qualcuno si chiese che fine avesse
fatto Loki.
Perché dietro l'apparizione della
giumenta tentatrice (e salvatrice degli Aesir e della luce nel
mondo), tutti erano sicuri che ci fosse lo zampino di Loki.
C'era stato lo zoccolo di Loki, a dire
la verità.
Il dio ingannatore tornò a casa sua e,
pensiamo, cercò di non vedere nessuno. La fedele moglie Sygyn lo
accudì come era destinata a fare in futuro, ma alla fine possiamo
immaginare che una delegazione di Aesir andò a casa di Loki per
ringraziarlo. In fondo, se Asgard aveva avuto le sue mura senza
sborsare nulla era merito suo.
E trovarono Loki a letto.
E quasi morirono dalle ristate.
Perché Loki era leggermente
indisposto: aveva un enorme pancione da donna gravida.
Eh, sì, col pancione. Perché la
puledra che aveva attratto irresistibilmente Svadilfari era proprio
Loki trasformato. Ed era stato lui a sfuggire allo stallone per tre
giorni, sfiancandolo in interminabili corse.
Solo che alla fine, Loki si era
stancato prima di Svadilfari. Che lo aveva raggiunto. E aveva messo
le sue ultime forze in uno sfrenato amplesso, che lo aveva spossato
al punto che il Gigante Muratore aveva potuto riprenderlo e
riaggiogarlo.
Chissà se Svadilfari morì sì di
esaurimento, ma tutto sommato felice.
Loki era dunque rimasto incinto. Perchè
gli dei norreni, quando si trasformavano, non facevano le cose a
metà. Per quei tre giorni (e per quella fatale notte) Loki era, a
tutti gli effetti, una cavalla.
E, giunto il momento, partorì.
Un puledro.
Ovviamente non si trattava di un
puledro normale. Figlio di un dio divenuto cavalla e di uno stallone
fortissimo, il cavallino aveva otto zampe ed era veloce come il
vento.
Questo Varenne del Nord fu chiamato
Sleipnir, crebbe e divenne la fedele cavalcatura di Odino, e lo
condusse in tutte le sue imprese, fino al fondo della gola di Fenrir
il lupo, suo fratellastro.
Che ci volete fare? Tranne Sleipnir, i
figli di Loki non erano animali a modo.
Avevano preso dal padre.
Se a qualcuno la storia sembra assurda,
perfino per essere una storia degli dei, non se la prenda con me:
racconto solo ciò che so, così come venne cantato.
Alcune piccole note
Esiste anche un gruppo tedesco
chiamato Sleipnir (la canzone sopra è di quei metalpagani del
Manowar).
Ma gli abbinamenti delle immagini
suggeriscono che si rifacciano a qualche branca del novecentesco
Culto di Odino che preferiremmo non propagandare mai.
Come negli altri post, le immagini e
i video non sono miei! Li ho trovati su Internet! Sono qui a semplice
corredo di qualcosa che, invece, ho scritto io.
Abbiamo iniziato QUI e continuato QUI
la narrazione di come Zeus Padre... sia stato in due casi Zeus
***Madre***! Ovvero, benché fosse rimasto il maschio più virile dei
tre mondi, il dio del Cielo Luminoso poté partorire, sebbene in modi
abbastanza singolari.
Oggi racconteremo di come un dio
(maschio) si tramutò in animale (femmina). Di come fu ingravidato
(!) e di come partorì. E non si tratta di uno degli dei creatori per
eccellenza, anzi...
Loki in un antica lapide
Di Loki (altresì detto Loprt) si
narrano tante nefandezze e tante imprese.
Figlio di Laufey e del Fulmine
Globulare, di lui si dice che fosse infido come il fuoco distruttore.
Si dice anche che avesse una lingua tagliente, che fosse sfacciato,
crudele, un travestito per necessità, uno spergiuro, un assassino e
un istigatore all'assassinio.
Si sa che procurava guai, ma che sapeva
risolverli quando gli Aesir, gli dei Norreni, non erano in grado di
uscirne.
Loki era il padre di Hela, la Signora
della Morte, di Fenrir, il Lupo del Destino, e di Jormungandr, il
Serpente del Mondo: progenie nefasta per gli dei.
E fu padre di Nari e Vani, sfortunati
figli destinati a un crudele fato.
Gli scaldi nordici narrano anche di
come Loki fu non il padre, ma la madre di... beh, seguiteci e lo
scoprirete, perché la storia è singolare.
Ecco come andarono le cose.
Asgard secondo un illustratore recente;
in primo piano Bifrost, il Ponte dellìArcobaleno
Come in tutte le saghe il primo passo da fare è un
passo indietro.
La dimora degli dei, Asgard, aveva
bisogno di mura. La guerra tra le due famiglie divine di Aesir e
Vanir era stata perniciosa, ma era stata risolta con lo scambio di
ostaggi: i danni della guerra erano però evidenti.
E nella mente di Odino c'era sempre la
visione del Ragnarokkr, la battaglia finale tra le forze degli dei e
quella dei nemici. Orde di avversari mostruosi che si scatenavano
contro le dorate dimore degli dei, giganti del Gelo e del Fuoco,
schiere di morti malvagi...
Basta. Asgard doveva giustificare il
suo nome, e diventare un vero e proprio “recinto” (-gard)
degli Aesir, circondato da mura.
C'era un piccolo problema: dove trovare
i bastioni adatti a respingere tali nemici?
Midgard, il “Recinto di Mezzo”, il
Mondo degli Uomini, era circondato dalle ciglia di Ymir
Padre-Dei-Giganti, che formavano alte mura. Ma dove trovare qualcosa
di simile?
Mentre Thor, l'ammazza-giganti, era
altrove impegnato nel suo “Ragnarokkr preventivo”, ovvero a
caccia di mostri, o magari alla battuta di pesca al Serpente del
Mondo, alla porta di Odino giunse un tipo robusto, di professione
muratore.
Il “Maestro del Muro” aveva saputo
delle esigenze degli dei, disse, ed era qui a proporre un
“preventivo”: si offriva di costruire lui i bastioni di Asgard.
Li avrebbe fatti a regola d'arte, disse, mura talmente possenti da
respingere i Giganti del Ghiaccio.
E l'avrebbe fatto in sole tre stagioni.
E da solo, senza apprendisti o compagni
di muratoria.
Il prezzo, poi, era modico: solo il
Sole, la Luna... e naturalmente la bellissima Freya, la dea
dell'Amore come sposa.
Se avesse fallito... beh, gli Aesir si
tenessero pure ciò che avrebbe fatto fino a quel punto.
Gratis.
Gli dei si indignarono: il prezzo era
esorbitante. Loki propose di farlo lavorare e poi di farlo fuori e
non pagare. Gli Aesir rifiutarono una vigliaccata così grossa.
Ma avevano bisogno di mura, ed erano
piuttosto avidi: l'idea di non pagare per anche parte dell'opera non
sembrò loro così sgradita...
Loki tornò alla carica e insisté
perché accettassero.
Se proprio non potevano rinunciare
all'opera del muratore (altri preventivi non si vedevano, l'opera era
persino più imponente del Ponte sullo Stretto del Sjaelland!), che
lo mettessero nelle condizioni di non poter rispettare i patti, e
tenersi ciò che avrebbe fatto.
Gli dei del Nord erano piuttosto
formalisti. Non esperti di cavilli, certo, ma se il cavillo si poteva
trovare e ci si poteva guadagnare...
Che Loki spiegasse bene cosa intendeva!
E il subdolo dio (mezzo gigante, a dire
il vero) suggerì che il tempo a disposizione del muratore fosse
ridotto a una sola stagione. Se avesse ritardato anche solo di un
giorno, come promesso dal muratore, tutta l'opera compiuta sarebbe
rimasta agli dei, e l'artigiano se ne sarebbe dovuto andare senza
alcuna paga.
Loki in una interpretazione moderna
Ah, Loki!
Questo Nelson dei Simpson scandinavo
non si sarebbe mai perso l'occasione di prendere crudelmente in giro
il muratore allo scadere del periodo, quando l'artigiano si sarebbe
reso conto di aver lavorato per nulla!
Gli dei forse si guardarono un po'
istupiditi (succedeva sempre quando Loki iniziava a “intortarli”).
Tyr, il dio della giustizia, come al solito si oppose al tranello,
Heimdall, il Guardiano del Ponte dell'Arcobaleno propose come al
solito di staccare la testa a Loki, poi tutti si bevvero una birra, e
qualcuno iniziò a ridacchiare. Una sola stagione per fare le mura di
Asgard! Assurdo.
Un'opera immane, un muratore da solo...
Lavoro gratis...
Loki, forse, aveva avuto una buona
idea!
E così Odino fece la controproposta:
se il muratore avesse compiuto il lavoro da solo ed entro l'Estate,
avrebbe avuto la mercede richiesta.
Toccò al muratore grattarsi la testa:
i tempi di costruzione erano stati radicalmente ridotti. L'idea di
una proroga e di una variante modello Autostrada Salerno-Reggio
Calabria non faceva parte della mentalità di questi dei nordici.
Così chiese una sola cosa: di potersi
aiutare con un suo cavallo. E che gli dei giurassero di mantenere i
patti su ciò che avevano di più sacro.
E Loki insisté che glielo si
concedesse: si desse pure allo sciocco artigiano l'illusione di
potercela fare...
Odino accettò, tutti giurarono con
leggerezza e allegria, probabilmente tutti si versarono un bel po' di
birra e idromele, e il giorno dopo gli dei si alzarono a vedere
l'inizio dei lavori.
Le facce sorridenti e beffarde di Loki
e degli dei durarono poco.
Svadilfari e il muratore
Il muratore aveva iniziato di buon
mattino il suo lavoro, e presto gli Aesir si resero conto che
l'artigiano era più veloce di quanto avrebbero mai potuto
sospettare. Tagliava massi enormi e li metteva al loro posto con una
rapidità soprannaturale.
Il vero segreto del suo lavoro, però,
era il suo cavallo Svadilfari: robustissimo, fortissimo,
instancabile. Trascinava apparentemente senza sforzo gli enormi massi
per tutta la distanza tra le montagne e Asgard. E appena il suo
padrone li aveva messi a posto sul muro che si alzava, il destriero
era pronto a ricominciare la sua fatica.
Pochi giorni e nessuno più sorrideva
nelle case ricoperte d'oro. Le mura salivano giorno per giorno, e un
paio di calcoli fecero capire che il muratore avrebbe completato
l'opera ben prima dell'Estate.
Quanto a Freya, i suoi bellissimi occhi
erano pieni di lacrime: per lei, l'idea di un matrimonio con un rozzo
artigiano era semplicemente inconcepibile!
Gli dei si guardarono in faccia: chi
aveva spinto i Poteri del Nord in una strada senza uscita?
Ovviamente i fumi dell'idromele erano
finiti.
E tutti si ricordarono delle insistenze
di un dio dalla lingua lunga e mezzo gigante...
E mentre Heimdall iniziò ad affilare
la sua spada, Loki iniziò a pensare che forse stavolta l'aveva fatta
davvero grossa.
Il seguito al prossimo post!
Asgard nella visione di Jack Kirby da The Mighty Thor della Marvel
Alcune piccole note...
A qualcuno potrà sembrare strano ed
empio accusare gli Aesir di avidità come abbiamo detto. Eppure, come
dimostra anche la storia di Ottur e del tesoro di Fafnir, l'oro non
era all'ultimo posto nelle preferenze di Odino e famiglia.
“Maestro del muro” è il calco
dall'espressione che definisce i muratori nel Campidano: “maist'e
muru”, così come “su maist'e linna” (“maestro del legname”)
è il falegname.
"Personalmente,
la definizione che mi sembra meno inadeguata, perché è la più
vasta, è la seguente: il mito narra una storia sacra; riferisce un
avvenimento che ha avuto luogo nel Tempo primordiale, il tempo
favoloso delle "origini". In
altre parole, il mito narra come, grazie alle gesta degli Esseri
soprannaturali, una realtà è venuta ad esistenza, sia che si tratti
della realtà totale, il Cosmo, o solamente di un frammento di
realtà: un'isola, una specie vegetale, un comportamento umano,
un'istituzione. Il
mito quindi è sempre la narrazione di una "creazione":
riferisce come una cosa è stata prodotta, ha cominciato ad essere"
(M.
Eliade, Mito e realtà, cit. in R. Ellis, Atlantide, Conclusione)
In questi tempi di discussioni sulla vera parità uomo\donna, sulle gravidanze anomale, e sugli uteri in affitto, la testimonianza degli dei può essere davvero illuminante. QUI vi abbiamo raccontato di come Zeus sia stato uno strano "padre\madre\partoriente": dalla sua testa, infatti, spuntò fuori sua figlia Atena, armata di tutto punto.
Oggi vi narreremo di come le acrobazie partorienti di Zeus non siano finite con il parto cerebrale.
Il dio sapeva ingravidare donne divine e mortali in molti modi, ma si doveva tutelare nei confronti della gelosissima moglie ufficiale, Era, la Signora degli Dei, la Protettrice dei Matrimoni.
Una che, di fronte al tradimento, non esitava a perseguitare amanti e figli bastardi del focoso marito.
Quindi il camuffarsi era spesso un obbligo anche per il Re degli Dei e degli Uomini.
Inoltre il Cupotonante aveva un altro problemino: il suo "vero" aspetto prevedeva un'abbondanza di fulmini che lo circondavano perennemente. Una dea poteva sopportare una tale "scossa", ma un'umana decisamente no.
Così il Cronide era uso a prendere un aspetto umano quando andava a fare le sue visite di piacere, e così fece anche per sedurre la più giovane delle figlie di Cadmo, la bella principessa di Tebe chiamata Semele. E, visto che il super-virile Zeus non poteva fallire il colpo, ecco che la ragazza fu subito incinta di lui.
(Che poi Zeus avesse agito in forma umana o di serpente, poco ci interessa in questo momento)
Jan Voorhout, Zeus e Semele
Era lo venne a sapere, ovviamente. E decise di lavorare di fino. Non più persecuzioni brutali o bandi minacciosi come era successo con Letò. No: la Regina degli dei voleva che la punizione del misfatto ricadesse proprio sul fedifrago marito.
Così si travestì da ninfa, e precisamente da Beroe, la nutrice di Semele. Andò a chiacchierare con la ragazza, e tra una frase e l'altra, suscitò la curiosità (e la diffidenza) della principessa: come mai Zeus non le si mostrava? Quale era il suo vero aspetto? O forse era qualcuno che si spacciava per Zeus e la stava ingannando?
Se davvero il padre di suo figlio amava Semele, allora doveva rivelarsi a lei!
La ragazza ci pensò su, ed essendo una donna, discendente di Pandora, non seppe resistere alla curiosità.
Quando lo sposo si fece vivo in una notte successiva per fare l'amore con lei, la principessa gli chiese prima un regalo. Zeus, imprudentemente, disse che poteva chiedergli qualsiasi cosa.
E Semele chiese di vederlo nella sua forma "piena", nella gloria dei fulmini e dei lampi.
Zeus ci rimase male. Nessun mortale, come detto, poteva sopportare il fulgore del Padre degli Olimpi. Ma una promessa, per quanto incauta, era pur sempre una promessa.
Così, forse maledicendo sé stesso perché di fronte a un bel faccino non riusciva a ragionare, il Signore dei Fulmini mantenne il giuramento: si manifestò in tutta la sua gloria e Semele (possiamo immaginare con un'espressione estatica) fu annichilita subito dopo.
Persa l'amante, Zeus non si perse d'animo. Il bambino che Semele aspettava (si dice che la ragazza fosse incinta di sei mesi) era per metà figlio suo, e quindi per il momento era sopravvissuto alle folgori paterne.
Restava un piccolo problema: era pur sempre un feto di sei mesi, che doveva arrivare al suo sviluppo. Zeus non ebbe l'idea dell'utero in affitto o di un utero artificiale. Forse nella sua mentalità non esisteva. O, semplicemente, era un dio, e gli dei hanno un modo diverso di gestire le crisi. E i parti.
Memore di essere già stato mammo una volta, decise di fare il bis.
Con variazione.
Forse si era stancato di farsi spaccare la testa, come era accaduto al momento del parto di Atena? Forse non voleva fare il cannibale come gli era successo con Metis?
Non lo sappiamo.
Sta di fatto che il Re degli Dei prese il feto dal cadavere ancora fumante, chiamò Ermes (o, secondo altri, fece da solo), si aprì una coscia e ci mise dentro il nascituro.
Poi richiuse il tutto e attese tre mesi.
Al momento adatto, con un'operazione chirurgica certamente meno invasiva del colpo di bipenne usato per aprirgli il cranio durante la nascita di Atena, la coscia fu aperta e Dioniso venne al mondo.
Prossimamente!
Gli dei non si privano di nulla! Non solo parti maschili, ma anche in forma equina! Non ci credete? Credeteci! Su questo blog sta per arrivare... "Il figlio del Dio chiamato cavallA!"
Qualche piccola nota... Se vogliamo essere pignoli, non tutti dicono che Dioniso fosse figlio di Semele o fosse nato in questa maniera così insolita. Fermo restando che il padre era Zeus, c'è infatti chi dice che Dioniso fosse figlio di Lete, di Dione, di Demetra, di Io e, per molti, di Persefone. Sarebbe quindi figlio di un incesto, perché tradizionalmente Persefone è considerata figlia di Zeus e Demetra: ed è, a nostra memoria, l'unico caso di incesto padre\figlia in cui sia stato coinvolto Zeus (con le sorelle è un'altra cosa).
Persefone, di Dante
Gabriel Rossetti
A proposito di Persefone, di uteri in affitto e di cannibalismo, i testi orfici dicevano che Dioniso era la "maturazione" di Zagreo, figlio di Zeus e Persefone. Il piccolo dio sarebbe stato fatto a pezzi dai Titani, ma il suo cuore palpitante fu raccolto da Atena che lo consegnò al padre. Zeus, che aveva già la tresca con Semele, inghiottì il cuore e poi ebbe il rapporto con Semele. In questo modo Zagreo finì per essere ospitato nel ventre di Semele (utero in affitto) e crebbe come Dioniso. Secondo un'altra versione, il cuore di Zagreo fu mangiato da Semele (cotto in brodo! Sic!) ... ma il resto della storia non cambia. Secondo altri, i figli di Zeus e Persefone erano due: Zagreo e, appunto, Dioniso. Zeus fulminò i Titani per lo scempio di Zagreo: dalle loro ceneri nacquero gli uomini. E a questo punto il cuore palpitante di Zagreo dovette aspettare un bel po' prima di essere messo in brodo! Una variante del mito vuole che Era ispirò le sorelle di Semele. Possiamo immaginare che la conversazione partì da molto lontano, ma arrivò presto all'argomento cruciale: il misterioso compagno della ragazza. Le tre sorelle erano gelose, poco da dire: loro erano ancora in attesa di spasimante, mentre la sorellina aveva già un figlio in grembo...
Sta di fatto che le sorelle soffiarono sul fuoco della curiosità di Semele, spingendola a chiedere allo sposo di mostrarsi. Il resto della storia lo avete appena letto. Questa versione della vicenda ci riporta immediatamente alla mente la più tarda storia di Eros e Psiche, così come viene raccontata da Apuleio nelle sue Metamorfosi: anche qui una fanciulla ha uno sposo misterioso di origine soprannaturale, che lei non ha mai visto nel vero volto. Anche qui le sorelle, ispirate da una dea vendicativa (Venere), sobillano la sposa a violare il divieto di vedere il vero aspetto del marito, finché quest'ultima, spinta dalla curiosità, cede... e mal gliene incoglie. Anche Psiche morirà, ma anche lei tornerà in vita e sarà accolta tra gli dei. Ma il mito è spesso di autore anonimo, Apuleio è un letterato latino di cui conosciamo vita, opere e (se dobbiamo credere al processo per magia che lo vide imputato) miracoli. Secondo un'ennesima versione, Semele non sapeva che il suo sposo fosse Zeus. E per alcuni, al rifiuto del dio di mostrarsi, la principessa fece lo sciopero del sesso. Al che Zeus (per ira? Per imprudente brama di copula?) si mostrò nel suo splendore, con i risultati sopra descritti. Alcuni altri dicono che Zeus sedusse Semele assumendo le forme di... Beroe, la ninfa sua nutrice. Ovvero, come detto, proprio l'aspetto che Era scelse per portare Semele all'incauta richiesta che la portò alla morte. Gli abitanti della Laconia spartana ricordavano una versione ben diversa del mito della nascita di Dioniso: il dio sarebbe nato in maniera "canonica" da Semele. Leggete QUI per sapere che cosa accadde dopo. Il tema dell'"Incauta promessa" si ritrova in molte fiabe e miti. Ne abbiamo fatto un esempio QUI
Comunque, dopo varie vicende, Dioniso fu assunto in cielo e andò agli Inferi a recuperare Semele. La donna fu assunta a sua volta in cielo col nome di Tione.
Immagini tratte dal web! Non ne sono il proprietario!
Perciò non chiedete a un
dio di avere figli in una maniera “normale”, umana.
Gli dei possono concepire in
mille forme (pioggia, animali, falli emergenti dal fuoco...) e
possono partorire in mille modi.
In particolare, il parto non
è proibito agli dei maschi. E non stiamo parlando di figure
ermafrodite, ma di veri e propri maschi. Solo che possono, a volte,
rimanere “incinti”, e a volte garantire un utero non esattamente
tradizionale per bimbi altrettanto non tradizionali.
Il primo esempio ci viene da
Zeus, ovviamente.
Poteva il cupotonante
limitare la sua potenza generatrice alla sola parte maschile? Poteva
non essere madre\padre solo perché non aveva organi di riproduzione
femminile?
No, certo. Zeus non si ferma
a ostacoli così banali.
Si narra che Zeus sposò la
dea Metis, la Saggezza. Era una titanide Oceanina, una cugina, ma era
stata dalla parte degli Olimpi nella grande guerra cosmica che
consegnò il mondo alla generazione di dei giovani.
Anzi. Metis aveva dato i
consigli decisivi.
Così Zeus la sposò. C'è
chi dice che fu la prima sposa, chi la mette dopo altre dee, ma qui
poco importa. Sta di fatto che, come sempre capitava con il Signore
dei Fulmini, la compagna fu presto incinta.
Fosse il primo figlio
atteso, o fosse l'ennesimo, colui che godeva del titolo onorifico di
Padre degli Dei si vantò che sarebbe stato padre effettivo.
Ma...
C'era un “ma”. Grosso
come una casa. O, per meglio dire, grosso come il trono olimpico.
Il Fato comunicò via
oracolo col futuro papà: il figlio di Metis sarebbe stato più
potente del padre. Anche se il padre fosse stato Zeus.
Piccolo problemino di
famiglia: Urano, il primo dei signori del mondo, era stato
detronizzato (e castrato a colpi di falcetto, detto per inciso) dal
figlio giovane, Crono.
Il quale Crono era stato
detronizzato dal figlio giovane, Zeus.
Insomma: Zeus aveva le sue
ragioni per credere che l'oracolo non scherzasse.
Così il futuro Padre,
temendo castrazioni e distruzioni, decise di risolvere il problema
brutalmente. Non con un “semplice” aborto divino (gli dei non lo
facevano), ma affrontando il problema alla radice: divorò la futura
madre in un solo boccone!
C'è chi dice che non se la
mangiò in forma umana (o, per meglio dire: titanica). I razionalisti
greci non erano così esagerati.
Siccome erano razionali,
dissero che prima Zeus convinse (o costrinse?) Metis a tramutarsi in
goccia d'acqua o in una cicala o in una mosca. Sta di fatto che così
tramutata, se la inghiottì.
Se anche gli dei trovavano
gustosi gli insetti, se la gustò. Se no, il sacrificio valeva la
candela.
E non ci pensò più.
In realtà ci dovette
ripensare presto. Metis era sopravvissuta: era la vocina che parlava
dentro Zeus continuando a dargli i buoni consigli prudenti su ogni
cosa.
Mogliettina davvero devota,
questa Metis.
Ma se la sposa sopravviveva
dentro Zeus, che fine aveva fatto il feto? C'era anche lui. Metis non
solo era ancora “viva” (se questo termine ha un senso per gli
dei), ma continuava la sua gravidanza.
Anzi. Pare che dentro Zeus
si sia data da fare per preparare un'armatura al futuro pargolo. Dove
Metis trovasse attrezzi e metallo nel corpo di Zeus non è dato
saperlo, ma il “povero” mancato papà iniziò a soffrire di mal
di testa sempre più feroci.
Un'emicrania che gli
spaccava la testa in due.
Anzi. A un certo punto, in
assenza di cachet divini, il re degli dei non ne poté proprio più.
Convocò Prometeo, il titano artigiano, o Efesto, il dio fabbro (ci
sono entrambe le versioni) e per risolvere il problema del mal di
testa, chiese che gli si spaccasse il cranio.
Ora: non sappiamo cosa passò
nella testa dell'incaricato della “delicata” operazione di
chirurgia cranica, ma sappiamo che il raffinato bisturi che agì
sulla sacra cervice fu una pesante ascia bipenne usata a piena forza.
E con efficacia.
Il cranio di Zeus si aprì e
ne spuntò fuori, come un'archetipica Cappuccetto Rosso dal ventre
del lupo, la dea Atena, armata di tutto punto, con armatura, lancia e
scudo. E invece del classico vagito, lanciò un terrificante urlo di
guerra.
Il mito non ci racconta come
il cranio di Zeus fosse stato rimesso a posto, né si chiede come
dallo stomaco in cui probabilmente stava Metis, la figlia uscì dalla
testa divina.
Ma Atena era la dea
dell'intelligenza e delle arti, quindi al mitografo sembrava giusto
che uscisse dalla testa di Zeus.
E Zeus non ebbe più il suo
colossale mal di testa.
E l'oracolo?
Gli Olimpi sono maschilisti.
Le teste calde (non spaccate in due) che volevano prendere i posto
dei padri erano, appunto maschi. Per quanto Atena fosse forte e
intelligente, era un donna, e quindi non era una minaccia per
l'augusto genitore.
Anzi: divenne la sua più
fidata consigliera e alleata. Ed essendo “nata dal solo padre”,
era sempre pronta a schierarsi con lui, facendo in modo che le “quote
rosa” dei dodici grandi dei (sei dei e sei dee) non facessero mai
fronte unico contro gli dei maschi... finendo sottomesse al volere
dei compagni.
Immaginiamo compiaciuto di
come era uscito da questa situazione, Zeus si dedicò ad altri amori.
E, seppur non lo sapesse ancora, si avviò lungo la strada che lo
portò a partorire una seconda volta.
Che Angelo Branduardi sia un bardo dei nostri tempi, non lo dobbiamo ripetere noi.
Tra quelli della sua prima produzione, l'album "Cogli la prima mela" (1979) ci sembra il più denso di riferimenti al mito e alla fiaba. E la fiaba, lo sappiamo, spesso, è solo un altro aspetto del mito.
Da questo LP, oltre a mele da cogliere, streghe, gufi e pavoni e signori di Baux, ci piace ricordare la "Ninna Nanna" che potete ascoltare in versione Live.
Liberamente tratta da una ballata scozzese del Sedicesimo secolo, riprende un tema mitico che si trova in versioni qua e là per il mondo antico: il bambino affidato alla acque per salvarlo dalla morte.
Qui è solo la storia di una dama di compagnia sedotta (e abbandonata) dal suo signore; la donna affida alle acque un figlio che, cresciuto, dirà di sé
"Non lo sapeva certo mia madre \ quando a sé lei mi stringeva \ delle terre che avrei viaggiato \ della sorte che avrei avuta".
Un destino misterioso e, forse, glorioso, dunque.
Ma non è un'eccezione.
Perché nel mito, spesso i poveri bambini abbandonati alla loro sorte sulle acque, per una speranza di salvezza o di morte, sono destinati a sopravvivere. E quando cresceranno, compiranno un fato glorioso.
Mosè salvato dalle acque, del Tiepolo
Il più famoso dalle nostre parti è certamente il biblico Mosè.
Racconta il libro dell'Esodo che un Faraone "che non aveva conosciuto Giuseppe" si spaventò della potenza che avevano acquisito gli ebrei in Egitto.
Così fu il primo a fare ciò che troppe volte si ripeterà in seguito: perseguitò i discendenti di Giacobbe e uccise i loro primogeniti.
Ma una madre salvò il proprio figlio: lo mise in una cesta foderata di bitume e lo affidò alle acque del Nilo.
Il bimbo fu trovato da una principessa egizia, sterile, che lo chiamò Mosè (per la Bibbia significa "salvato dalle acque") e lo fece crescere alla corte del Faraone come Principe d'Egitto.
Ma un giorno Mosè seppe della sua vera nascita, e si avviò a diventare il profeta di Israele.
La storia biblica, però, non è così originale: un altro bambino affidato alle acque divenne capo del suo popolo.
Anticamente un potente sovrano, Sargon di Akkad, fondò il primo impero della Mezzaluna fertile. La sua figura era leggendaria nell'antichità, e in un testo neoassiro del VII secolo a.C., forse imitazione di testi precedenti, Sargon parla in prima persona. Il re si vanta di essere quasi un "figlio della fortuna"
Sargon di Akkad
Mia madre fu scambiata alla nascita, mio padre non lo conobbi. I
fratelli di mio padre amarono le colline. [... ] La mia madre 'scambiata' mi concepì,
in segreto mi partorì. Mi mise in un cesto di giunchi, col bitume ella
sigillò il coperchio. Mi gettò nel fiume che si levò su di me. Il fiume
mi trasportò e mi portò ad Akki, l'estrattore d'acqua. Akki,
l'estrattore d'acqua, mi prese come figlio e mi allevò. Akki,
l'estrattore d'acqua, mi nominò suo giardiniere. Mentre ero giardiniere,
Ishtar mi garantì il suo amore e per quattro e […] anni esercitai la
sovranità. (Re 1907,87-96 - traduzione ripresa da Wikipedia all'indirizzo http://it.wikipedia.org/wiki/Sargon_di_Akkad )
Figlio "di nessuno", allevato da un giardiniere, Sargon grazie al favore degli dei divenne capo di un grande Impero, e fondò la leggendaria città di Akkad.
Ma se ci riflettiamo, la somiglianza tra la cesta di Sargon e quella di Mosè è quantomeno sospetta. E i dubbi di "plagio" mitico aumentano se pensiamo che gli Ebrei provenivano dalla Mesopotamia, la terra che fu il regno di Sargon!
Andando più a Occidente, una storia di bambini affidati a una cesta e a un fiume ci richiama ovviamente i gemelli del destino fatale de' Colli dell'Urbe, ovvero Romolo e Remo.
Romolo e Remo, dei fratelli Carracci
Narra il mito che il tirannico Amulio aveva spodestato il fratello Numitore e ucciso il figlio di lui. Per evitare possibili guai da eventuali nipoti, aveva poi costretto Rea Silvia, figlia di Numitore, ad entrare nell'ordine delle Vestali: le sacerdotesse del fuoco dovevano restare nubili fino a tarda età secondo la legge divina, e quindi Numitore non avrebbe avuto discendenti in grado di vendicarlo.
Così, perlomeno, pensava Amulio. Ma il tiranno aveva dimenticato che gli dei, per i loro fini, possono violare anche le leggi stabilite da loro: Marte, protettore dei Latini, si invaghì di Rea Silvia, la violentò (all'epoca gli dei andavano per le spicce) e la rese madre di due gemelli, appunto Romolo e Remo.
La povera Rea Silvia fu uccisa per aver violato la castità delle Vestali e il suo corpo gettato nell'Aniene (la regola più tarda prevedeva che le Vestali fossero seppellite vive). Non pago, Amulio affidò a due pastori una cesta in cui aveva messo i gemelli, con l'incarico di abbandonarla nella corrente del Tevere. Ma i due gemelli divini non morirono: la cesta non affondò, ma anzi arrivò a riva dove la famosa lupa (animale sacro a Marte) li nutrì finché il pastore Faustolo li prese con sé.
Divenuti grandi, vendicarono il nonno e fondarono Roma.
L'abbandono nelle acque, dunque, si trasforma da scelta della madre per la salvezza del bimbo, in strumento di morte.
Danae e Perseo chiusi nell'arca, pittura vascolare Greca
Un esempio simile si può trarre dalla mitologia greca: è il racconto della nascita di Perseo (sì, quello del FILM).
Acrisio, re di Argo, aveva avuto un oracolo minaccioso: se sua figlia Danae avese avuto un figlio, questo nipote avrebbe causato la morte di Acrisio stesso.
Il vecchio re egoista, quindi, chiuse la figlia in una torre sorvegliata, per evitare che potesse generare un figlio. Acrisio non aveva fatto i conti con la passione di Zeus per le mortali... o con l'avidità dei sorveglianti.
Una versione del mito, infatti, diceva che Zeus vide Danae da una fessura del tetto della prigione, se ne invaghì, e sotto forma di pioggia d'oro (honni soit qui mal y pense) penetrò nella cella... e in lei. Nove mesi dopo era nato Perseo.
Una seconda versione, da Evemeristi, diceva che Preto, gemello di Acrisio e suo rivale fin dal ventre della madre, volle fare un tiro mancino al fratello. Preto corruppe i guardiani della torre (da qui il dato della "pioggia d'oro", trasformato in prodigio divino da secoli di chiacchiere), sedusse la povera Danae e la mise incinta.
Quale che sia la versione "miticamente vera", Acrisio non gradì. Prese la figlia e il neonato e li mise dentro un'arca che affidò al mare, perché fossero le acque a uccidere i due innocenti.
Ma anche stavolta, le acque salvarono il bimbo (e la madre): Perseo divenne uno dei più grandi eroi della Grecia, compì il suo destino di uccidere Acrisio e divenne il fondatore della potente Micene.
Un ultimo esempio viene dalle storie degli dei.
I Laconi (cioè gli spartani) raccontano che quando il re di Tebe Cadmo scoprì che la figlia Semele aveva partorito un figlio, non credette che il padre fosse divino. Così, per "nascondere la vergogna" di un nipote di padre ignoto, mise la figlia e il bambino in un cofano e lo affidò alle acque.
Il cofano galleggiò fino, appunto, alla Laconia, e fu raccolto dagli abitanti della zona. La donna era morta, e fu seppellita in loco, ma il bambino era incredibilmente vivo e fu allevato.
Fu il "figlio della acque" destinato alla maggior gloria tra tutti: si trattava infatti di Dioniso, figlio di Zeus, destinato a diventare il dio del vino e dell'ebbrezza.