mercoledì 26 settembre 2012

Ninna nanna tra le acque



Che Angelo Branduardi sia un bardo dei nostri tempi, non lo dobbiamo ripetere noi.
Tra quelli della sua prima produzione, l'album "Cogli la prima mela" (1979) ci sembra il più denso di riferimenti al mito e alla fiaba. E la fiaba, lo sappiamo, spesso, è solo un altro aspetto del mito.
Da questo LP, oltre a mele da cogliere, streghe, gufi e pavoni e signori di Baux, ci piace ricordare la "Ninna Nanna" che potete ascoltare in versione Live.
Liberamente tratta da una ballata scozzese del Sedicesimo secolo, riprende un tema mitico che si trova in versioni qua e là per il mondo antico: il bambino affidato alla acque per salvarlo dalla morte.

Qui è solo la storia di una dama di compagnia sedotta (e abbandonata) dal suo signore; la donna affida alle acque un figlio che, cresciuto, dirà di sé
"Non lo sapeva certo mia madre \ quando a sé lei mi stringeva \ delle terre che avrei viaggiato \ della sorte che avrei avuta".
Un destino misterioso e, forse, glorioso, dunque.

Ma non è un'eccezione.
Perché nel mito, spesso i poveri bambini abbandonati alla loro sorte sulle acque, per una speranza di salvezza o di morte, sono destinati a sopravvivere. E quando cresceranno, compiranno un fato glorioso.

Mosè salvato dalle acque, del Tiepolo
Il più famoso dalle nostre parti è certamente il biblico Mosè.
Racconta il libro dell'Esodo che un Faraone "che non aveva conosciuto Giuseppe" si spaventò della potenza che avevano acquisito gli ebrei in Egitto.
Così fu il primo a fare ciò che troppe volte si ripeterà in seguito: perseguitò i discendenti di Giacobbe e uccise i loro primogeniti.
Ma una madre salvò il proprio figlio: lo mise in una cesta foderata di bitume e lo affidò alle acque del Nilo.
Il bimbo fu trovato da una principessa egizia, sterile, che lo chiamò Mosè (per la Bibbia significa "salvato dalle acque") e lo fece crescere alla corte del Faraone come Principe d'Egitto.
Ma un giorno Mosè seppe della sua vera nascita, e si avviò a diventare il profeta di Israele.

La storia biblica, però, non è così originale: un altro bambino affidato alle acque divenne capo del suo popolo.
Anticamente un potente sovrano, Sargon di Akkad, fondò il primo impero della Mezzaluna fertile. La sua figura era leggendaria nell'antichità, e in un testo neoassiro del VII secolo a.C., forse imitazione di testi precedenti, Sargon parla in prima persona. Il re si vanta di essere quasi un "figlio della fortuna"
Sargon di Akkad
Mia madre fu scambiata alla nascita, mio padre non lo conobbi. I fratelli di mio padre amarono le colline. [... ] La mia madre 'scambiata' mi concepì, in segreto mi partorì. Mi mise in un cesto di giunchi, col bitume ella sigillò il coperchio. Mi gettò nel fiume che si levò su di me. Il fiume mi trasportò e mi portò ad Akki, l'estrattore d'acqua. Akki, l'estrattore d'acqua, mi prese come figlio e mi allevò. Akki, l'estrattore d'acqua, mi nominò suo giardiniere. Mentre ero giardiniere, Ishtar mi garantì il suo amore e per quattro e […] anni esercitai la sovranità. (Re 1907,87-96 - traduzione ripresa da Wikipedia all'indirizzo http://it.wikipedia.org/wiki/Sargon_di_Akkad )
Figlio "di nessuno", allevato da un giardiniere, Sargon grazie al favore degli dei divenne capo di un grande Impero, e fondò la leggendaria città di Akkad.
Ma se ci riflettiamo, la somiglianza tra la cesta di Sargon e quella di Mosè è quantomeno sospetta. E i dubbi di "plagio" mitico aumentano se pensiamo che gli Ebrei provenivano dalla Mesopotamia, la terra che fu il regno di Sargon!

Andando più a Occidente, una storia di bambini affidati a una cesta e a un fiume ci richiama ovviamente i gemelli del destino fatale de' Colli dell'Urbe, ovvero Romolo e Remo.
Romolo e Remo, dei fratelli Carracci
Narra il mito che il tirannico Amulio aveva spodestato il fratello Numitore e ucciso il figlio di lui. Per evitare possibili guai da eventuali nipoti, aveva poi costretto Rea Silvia, figlia di Numitore, ad entrare nell'ordine delle Vestali: le sacerdotesse del fuoco dovevano restare nubili fino a tarda età secondo la legge divina, e quindi Numitore non avrebbe avuto discendenti in grado di vendicarlo.
Così, perlomeno, pensava Amulio. Ma il tiranno aveva dimenticato che gli dei, per i loro fini, possono violare anche le leggi stabilite da loro: Marte, protettore dei Latini, si invaghì di Rea Silvia, la violentò (all'epoca gli dei andavano per le spicce) e la rese madre di due gemelli, appunto Romolo e Remo.
La povera Rea Silvia fu uccisa per aver violato la castità delle Vestali e il suo corpo gettato nell'Aniene (la regola più tarda prevedeva che le Vestali fossero seppellite vive). Non pago, Amulio affidò a due pastori una cesta in cui aveva messo i gemelli, con l'incarico di abbandonarla nella corrente del Tevere. Ma i due gemelli divini non morirono: la cesta non affondò, ma anzi arrivò a riva dove la famosa lupa (animale sacro a Marte) li nutrì finché il pastore Faustolo li prese con sé.
Divenuti grandi, vendicarono il nonno e fondarono Roma.

L'abbandono nelle acque, dunque, si trasforma da scelta della madre per la salvezza del bimbo, in strumento di morte.
Danae e Perseo chiusi nell'arca, pittura vascolare Greca
Un esempio simile si può trarre dalla mitologia greca: è il racconto della nascita di Perseo (sì, quello del FILM).
Acrisio, re di Argo, aveva avuto un oracolo minaccioso: se sua figlia Danae avese avuto un figlio, questo nipote avrebbe causato la morte di Acrisio stesso.
Il vecchio re egoista, quindi, chiuse la figlia in una torre sorvegliata, per evitare che potesse generare un figlio. Acrisio non aveva fatto i conti con la passione di Zeus per le mortali... o con l'avidità dei sorveglianti.
Una versione del mito, infatti, diceva che Zeus vide Danae da una fessura del tetto della prigione, se ne invaghì, e sotto forma di pioggia d'oro (honni soit qui mal y pense) penetrò nella cella... e in lei. Nove mesi dopo era nato Perseo.
Una seconda versione, da Evemeristi, diceva che Preto, gemello di Acrisio e suo rivale fin dal ventre della madre, volle fare un tiro mancino al fratello. Preto corruppe i guardiani della torre (da qui il dato della "pioggia d'oro", trasformato in prodigio divino da secoli di chiacchiere), sedusse la povera Danae e la mise incinta.
Quale che sia la versione "miticamente vera", Acrisio non gradì. Prese la figlia e il neonato e li mise dentro un'arca che affidò al mare, perché fossero le acque a uccidere i due innocenti.
Ma anche stavolta, le acque salvarono il bimbo (e la madre): Perseo divenne uno dei più grandi eroi della Grecia, compì il suo destino di uccidere Acrisio e divenne il fondatore della potente Micene.

Un ultimo esempio viene dalle storie degli dei.
I Laconi (cioè gli spartani) raccontano che quando il re di Tebe Cadmo scoprì che la figlia Semele aveva partorito un figlio, non credette che il padre fosse divino. Così, per "nascondere la vergogna" di un nipote di padre ignoto, mise la figlia e il bambino in un cofano e lo affidò alle acque.
Il cofano galleggiò fino, appunto, alla Laconia, e fu raccolto dagli abitanti della zona. La donna era morta, e fu seppellita in loco, ma il bambino era incredibilmente vivo e fu allevato.
Fu il "figlio della acque" destinato alla maggior gloria tra tutti: si trattava infatti di Dioniso, figlio di Zeus, destinato a diventare il dio del vino e dell'ebbrezza.

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