lunedì 8 ottobre 2012

Parti maschili - Il figlio del dio chiamato CavallA! Parte 2

Cavalli, navi e città vichinghe (e qualche dio)
su una stele del Nord

Riassunto della puntata precedente: QUI abbiamo raccontato di come gli Aesir, gli dei del Nord, fecero un patto con un muratore: questi avrebbe costruito le mura di Asgard, la cittadella divina, in una stagione. Se ci fosse riuscito, in cambio gli dei lo avrebbero pagato con la mano della bellissima dea Freya e con il Sole e la Luna.
Su insistenza di Loki gli dei accettarono, convinti che l'impresa sarebbe stata impossibile, ma presto si resero conto che, con l'aiuto del suo cavallo Svadilfari, il muratore avrebbe rispettato i patti.
Gli dei erano all'impasse, e solo Loki, colui che li aveva persuasi a giurare di rispettare il contratto con il muratore, poteva tirarli fuori dai guai.

Agli dei norreni piaceva giocare a scacchi.
Lo hanno fatto fino ad epoche recenti...
Possiamo immaginare che le mura della Sala degli Scacchi Dorati tremarono quando Odino lanciò il suo urlo più terribile per convocare Loki.
Il dio degli Inganni aveva persuaso gli dei ad accettare il patto col muratore (disse Odino), ora rimediasse prima che la faccenda si tramutasse in una catastrofe!
Gli Aesir erano vincolati dal giuramento e non potevano farci nulla... a meno che il muratore non fosse venuto meno per primo alla sua parola.
Insomma: Loki aveva fatto il guaio, Loki rimediasse. In fretta. In qualsiasi modo.
E niente storie.

Loki forse si grattò la testa perplesso: non solo un mondo senza Sole e senza Luna (e senza la bellezza di Freya) sarebbe stato triste, non solo Odino gli avrebbe dato una punizione quale appenderlo sul Vuoto a un ramo del Frassino del Mondo... ma era in gioco la reputazione del Figlio di Laufey!
Mai avrebbe sospettato che quel muratore potesse ingannare lui, il Dio dell'Inganno! E che potesse ridere di Loki quando solo Loki poteva sbeffeggiare tutti impunemente.
Pensa e ripensa, Loki capì che il vero lavoro pesante non lo faceva il muratore, bensì il cavallo. Senza la bestia, come avrebbe potuto il muratore trasportare i massi?
Ma come sottrarre il cavallo al suo padrone?

La dea Freya sul suo grazioso carro
trainato da gatti (!)
L'alba del quinto giorno prima dell'Estate si aprì con i pianti di Freya e l'angoscia degli Aesir: per completare le mura di Asgard ormai mancava solo l'architrave della porta. E l'instancabile Svadilfari stava trascinando inesorabilmente lungo la pianura l'enorme roccia destinata allo scopo...
Poi tutti videro il cavallo fermarsi e drizzare le orecchie, annusare il vento, agitarsi e puntare il suo muso verso una collina, sordo agli incitamenti del padrone. E sul crinale della collina si stagliava l'oggetto dell'attenzione dello stallone: una bellissima puledra lo stava attirando con i suoi richiami... e il suo odore.
Lo stallone fremette di desiderio. Il muratore cercò di sferzarlo e di incitarlo, ma Svadilfari strappò redini e finimenti e si lanciò al galoppo verso la giumenta. Ma questa fuggì rapida come il vento, e il cavallo la inseguì bramoso.
Dietro di loro correva a perdifiato il Gigante, stramaledicendo la natura e l'istinto della bestia che stavano togliendo al suo padrone il trionfo così vicino.

Per quattro giorni non si vide più nessuno sulla pianura: i corvi di Odino riferivano che il muratore stava ancora inseguendo il suo stallone, che a sua volta cercava di raggiungere l'inafferrabile puledra.
Gli dei risero per quella caccia senza fine, e tirarono un sospiro di sollievo.

Ma all'alba dell'ultimo giorno prima dell'Estate, l'ultimo a disposizione del muratore per completare in tempo la sua opera, gli dei saliti sulle mura per festeggiare persero il sorriso e la parola.
Perché davanti a loro c'era il feroce muratore che aveva ripreso il suo animale.
Un momento rubato a un grande amore equino...


Panico.
E nuove lacrime di Freya.

Certo, a guardar bene Svadilfari era ormai solo l'immagine smunta dello splendido animale che era stato. Magro, consumato, tremante.
Il muratore lo aveva attaccato all'ultima pietra, e ora lo stava frustando ferocemente. Gli dei facevano il tifo contro il cavallo, e chissà che non abbiano lanciato una di quelle maledizioni nordiche modello Nibelunghi che provocavano solo distruzioni.
La povera bestia gemeva sotto la frusta, fece un ultimo sforzo...

E stramazzò.

Stramazzò peggio del cavallo che per Montale sarà il corrispettivo oggettivo del male di vivere (e qui ci siamo giocati la citazione dotta).

Urla di gioia degli Aesir sulle mura, urla di rabbia del muratore. Che, ormai certo di non poter completare l'opera, si imbestialì, perse ogni prudenza e ritegno, e assunse una gigantesca forma minacciosa.
Trucco scoperto. Il muratore non era un dio, né un uomo, e neppure un nano troppo cresciuto. Era un bellicoso Gigante, uno dei nemici giurati degli Asgardiani.
Il Gigante era furioso: gli dei lo avevano ingannato in qualche modo, ne era certo. Era a causa loro che Svadilfari era fuggito e si era ridotto a una condizione tale da morire appena rimesso al lavoro.
Il Gigante puntò minaccioso sulle mura che lui stesso aveva costruito, deciso a prendersi Freya con le cattive, visto che con le buone non si era concluso nulla.

Odino, che non aveva un occhio, ma compensava con una bella dose di ipocrisia, di fronte all'attacco frontale del Gigante, si sentì libero da ogni giuramento.
Chiamò forte il figlio Thor: questi sentì il richiamo del padre, gettò uno sguardo verso Asgard e vide un Gigante davanti alle mura.
Le mura? Ohibò, non c'erano quando era partito... ma Thor era un tipo dalle poche domande e dalla molta azione (insomma: un Elvis Presley ante litteram, con più barba). E siccome in lui al fulmine seguìa il baleno (oggi le citazioni dotte quasi si regalano), il Dio del Tuono lanciò il suo potente martello Mjolnir e fracassò in un istante la testa del povero Gigante Muratore.
Così gli dei ebbero le loro mura e non pagarono nulla.

I più attenti dei nostri quarantadue lettori (ebbasta con Manzoni!) protesteranno che il post non era dedicato specificamente alle mura di Asgard.
Doveva parlare di Loki e della sua gravidanza, giusto?
Ci stiamo arrivando.

Pochi dei si chiesero come il Gigante fosse riuscito a riprendersi il cavallo. I pochi che lo fecero, probabilmente si dissero che certamente, l'animale che era fuggito così a lungo doveva essersi fermato da qualche parte, si era distratto abbastanza da lasciar avvicinare il padrone, e dopo quei frangenti era ormai talmente sfatto da farsi catturare solo per morire la mattina seguente.
Loki in una delle sue ultime incarnazioni...

E qualcuno si chiese che fine avesse fatto Loki.
Perché dietro l'apparizione della giumenta tentatrice (e salvatrice degli Aesir e della luce nel mondo), tutti erano sicuri che ci fosse lo zampino di Loki.

C'era stato lo zoccolo di Loki, a dire la verità.
Il dio ingannatore tornò a casa sua e, pensiamo, cercò di non vedere nessuno. La fedele moglie Sygyn lo accudì come era destinata a fare in futuro, ma alla fine possiamo immaginare che una delegazione di Aesir andò a casa di Loki per ringraziarlo. In fondo, se Asgard aveva avuto le sue mura senza sborsare nulla era merito suo.
E trovarono Loki a letto.
E quasi morirono dalle ristate.
Perché Loki era leggermente indisposto: aveva un enorme pancione da donna gravida.

Eh, sì, col pancione. Perché la puledra che aveva attratto irresistibilmente Svadilfari era proprio Loki trasformato. Ed era stato lui a sfuggire allo stallone per tre giorni, sfiancandolo in interminabili corse.
Solo che alla fine, Loki si era stancato prima di Svadilfari. Che lo aveva raggiunto. E aveva messo le sue ultime forze in uno sfrenato amplesso, che lo aveva spossato al punto che il Gigante Muratore aveva potuto riprenderlo e riaggiogarlo.
Chissà se Svadilfari morì sì di esaurimento, ma tutto sommato felice.

Loki era dunque rimasto incinto. Perchè gli dei norreni, quando si trasformavano, non facevano le cose a metà. Per quei tre giorni (e per quella fatale notte) Loki era, a tutti gli effetti, una cavalla.
E, giunto il momento, partorì.
Un puledro.

Ovviamente non si trattava di un puledro normale. Figlio di un dio divenuto cavalla e di uno stallone fortissimo, il cavallino aveva otto zampe ed era veloce come il vento.
Questo Varenne del Nord fu chiamato Sleipnir, crebbe e divenne la fedele cavalcatura di Odino, e lo condusse in tutte le sue imprese, fino al fondo della gola di Fenrir il lupo, suo fratellastro.
Che ci volete fare? Tranne Sleipnir, i figli di Loki non erano animali a modo.
Avevano preso dal padre.

Se a qualcuno la storia sembra assurda, perfino per essere una storia degli dei, non se la prenda con me: racconto solo ciò che so, così come venne cantato.



Alcune piccole note
Esiste anche un gruppo tedesco chiamato Sleipnir (la canzone sopra è di quei metalpagani del Manowar).
Ma gli abbinamenti delle immagini suggeriscono che si rifacciano a qualche branca del novecentesco Culto di Odino che preferiremmo non propagandare mai.

Come negli altri post, le immagini e i video non sono miei! Li ho trovati su Internet! Sono qui a semplice corredo di qualcosa che, invece, ho scritto io.

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