domenica 26 aprile 2009
Il Mito: una definizione (?) con tante parentesi e virgolette -2
Ci siamo detti che una definizione di “mito” comunemente intesa nella lingua italiana, reca con sé due elementi importanti, entrambi negativi rispetto alla “religione”.
Il primo è che il mito si fonda sull’irrazionalità, sulla “falsità”.
Il secondo è che il “mito” è sottilmente diverso dalla religione: anche da quelle del passato, non più seguite (la religione è l’elemento “quotidiano”, “vissuto” dai fedeli, “razionale”… seppur secondo la logica interna alla religione stessa), ma soprattutto da quelle moderne.
Insomma: i miti alla base delle religioni del passato sono racconti semplicistici o comunque falsi, mentre alle fondamenta delle religioni attuali c’è la verità, letterale nella sua narrazione o trasposta in una forma accessibile. Ma comunque la narrazione è fondata sulla verità.
(Un discorso a parte meriterebbero i miti della scienza agnostica o atea, ovviamente…).
Eppure, pur nelle ovvie differenze narrative, come negare che la storia della nascita di un uomo\eroe\dio da una vergine sia un tema presente in diverse mitologie?
Come non voler riconoscere che il tema della morte e resurrezione del dio\eroe fosse diffuso non solo nel bacino del Mediterraneo ben prima del I secolo d.C.?
Come non vedere nei mille anni di pace dopo l’Armageddon dell’Apocalisse uno specchio del ritorno dell’Età dell’Oro cantata da Esiodo e Virgilio?
Gli stessi autori medievali e studiosi del Cristianesimo non negarono queste somiglianze, anche perché vivevano in epoche vicine a chi aveva creduto in quei miti.
Avevano già trasformato le fonti sacre dei pagani in fonti cristiane attribuendone la paternità a un santo. Avevano già trasformato gli dei pagani in demoni ingannatori (leggete quella sintesi miticamente cristiana che è il Paradiso Perduto di Milton, se non ci credete), e Perseo in San Giorgio.
Ora, semplicemente, videro in questi temi ed episodi tanto simili alle credenze “vere” e “rivelate”, una “miracolosa anticipazione”, una sorta di profezia imperscrutabilmente concessa anche ai nobili spiriti non cristiani.
Insomma: una sorta di “interpretatio christiana” nella più pura scia dell’uso Romano di identificare negli “dei stranieri” le caratteristiche delle proprie divinità e insieme annettendo ai propri dei di partenza caratteristiche dei loro “omologhi” stranieri.
E così siamo arrivati al paradosso dei frati cattolici che videro nel segno della croce tenuto in rispetto dai Maya (rappresentava i punti cardinali), nelle loro cerimonie di battesimo e rinascita il segno inequivocabile che San Tommaso (l’apostolo delle Indie… orientali!) fosse giunto in quelle terre centinaia di anni prima di loro.
Ovviamente ciò conduce a un altro paradosso: ciò che è “mito” (= falso) in una religione “pagana”, diventa “ricordo deformato” (di verità) o “intuizione di verità”, se entra nel sistema della religione che lo valuta. Così Gesù è “figlio di Dio” nel Cristianesimo, ma “profeta” nell’Islam.
Ok, direte voi. Bella tirata. Ma da qui al poco tempo che ci vuole perché ci stanchiamo di leggere ste’ cose, in questo blog cosa intendete per “mito”?
Etichette:
apocalisse,
cristianesimo,
definizione di mito,
Esiodo,
Gesù,
interpretatio,
Maya,
Milton,
Perseo,
Virgilio
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento