DI DONI
DI DIONISO IN SARDEGNA
(con
licenza di allitterazione dovuta a Bacco)
Ebbro
dalla piavcevousima conferenza sui miti di colonizzazione della Sardegna (veli siete persi?
Ne parlavamo QUI!), culminata ggiustamente in un aperitivo a base di buon vinello, mi sono chiesto se in effetti, oltre al “riso sardonico” di
cui ci ha parlato Omero, si potesse trovare qualche altro legame tra la Terra
dei Nuraghi e il mito greco.
Meditando
su un bicchiere di vino non allungato da dodici parti d’acqua (ah! Il buon
vecchio vino d’Ismaro, così sprecato nel ventre di un monocolo che non pareva
uomo mangiatore di pane!) il grande Dioniso mi ha ispirato: il nome del sangue
della vite che sorseggiavo!
Proprio
così, il Nepente! [1]
Da dove
questo nome glorificato dal Vate D’Annunzio, come ci ricorda l’etichetta?
L’indispensabile
(ma a volte erronea) Wikipedia riporta
come etimo di “Nepente” l’espressione “ne+penthos”, ovvero “nessuna sofferenza,
nessuna tristezza”, riprendendo le notizie date dal sito della Cantina Golostai, produttrice dell'ottimo vino rosso chiamato Nepente di Oliena.
Più
correttamente l’indispensabile Treccani ci
riporta l’etimo dal latino “nepenthes”, “che toglie il dolore”.
Come
ogni cosa del mito, il fondamento si trova in Omero, nel suo Canto IV dell’Odissea
che chiude la Telemachia [2].
Lì i
versi immortali narrano che la donna un tempo chiamata Elena di Troia, da dieci
anni tornata ad essere Elena di Sparta, mescolò un farmaco al prezioso vino che
il marito Menelao mesceva: ne fece quello che migliaia di anni dopo un cantore più
moderno avrebbe chiamato “lento fiume nelle vene” [3]. E il fiume è forse il
Lete.
Il
prodigio di questa miscela era infatti che “fugava il dolore (nepenthès) e l’ira, il ricordo di tutti
i malanni”.
“Chi l’ingoiava, una volta mischiato dentro il cratere,non avrebbe versato lacrime dalle guance, quel giorno,neanche se gli fosse morta la madre e il padre,neanche se gli avessero ucciso davanti, col bronzo,il fratello o suo figlio, e lui avesse visto con gli occhi.”(Odissea, canto IV, vv.219-226, trad. G.A. Privitera,dall’edizione Oscar Mondadori, Classici Latini e Greci 7, 1991)
Elena
lo aveva ottenuto durante l’esilio in Egitto (o la sosta, i miti sono
divergenti), da Polidamna l’Egizia, sposa di Tone, della stirpe di Peone.
Così,
come dono ad ospite onorato, la Dama (non elfica) della reggia lo offrì a
Telemaco, giunto a corte stanco e afflitto, poiché cercava notizie di Odisseo,
suo padre, che da vent’anni era lontano da casa e navigava sul mare color del
vino.
E
qui Ippolito Pindemonte dal nome mitico traduceva
“Il Nepente già infuso, e a' servi impostoVersar dall'urne nelle tazze il vino”
Laddove,
meno variamente, una traduzione più letterale avrebbe richiesto
“dopo averlo gettato nel vino e ordinato che lo versassero”(Odissea, canto IV, vv.233, trad. G.A. Privitera, cit.)
In
altri versi omerici il “nepente” risulta una bevanda medicamentosa, calmante: Erodoto,
nel suo Logos Egiziano, forse conferma Omero quando parla del Nepente della
Valle del Nilo, e alcuni studiosi ne hanno dedotto che si trattasse di un
oppiaceo. Plinio il Vecchio, nel sul Libro XXIV ritiene che si tratti di una “pianta
egizia” che
Hoc nomine vocatur herba quae vino injecta hilaritatem inducit(Con questo nome [Nepente] è chiamata un’erba che messa nel vino induce allegria).
Il VocabolarioTreccani, sempre lui, tira
le somme dando tre significati. Il “Nepente” sarebbe
1. s.m
a. Nome dato dagli antichi Greci a una prodigiosa bevanda, estratta da un’erba proveniente dall’Egitto, cui si attribuiva la virtù di lenire il dolore e dare l’oblìo dei mali: vi son persone le quali voglion dire che il caffè non sia altro che l’antico n. d’Elena (Redi); Omero dice ... che Elena imparato avesse da una regina egiziana l’uso dell’oppio, poiché non altro che oppio par che fosse quel suo maraviglioso n. (A. Cocchi).
b. In senso estens. e fig., qualsiasi bevanda o altro rimedio, anche affettivo o spirituale, che dia sollievo alle pene: l’amore di quella donna fu per me, in un periodo molto oscuro della mia esistenza, un divino n., un elisir di vita (De Roberto); La pazienza è l’immortal nepente Che afforza i nervi e l’anima ristora (D’Annunzio).
2. s. m. Soluzione di cloridrato di morfina e acido citrico in vino marsala diluito, usata in passato come ipnotico e sedativo.
3. s. f. In botanica, genere di piante (lat. scient. Nepenthes) della famiglia nepentacee, che comprende una settantina di specie paleotropicali, distribuite attorno all’Oceano Indiano e in partic. nell’Arcipelago malese.
Bevanda? Intruglio
chimico? Pianta esotica?
Alcuni, come
Pietro Della Valle ("Viaggi in Turchia, Persia ed India descritti da lui
medesimo in 54 lettere famigliari", 1650) supponevano si trattasse
addirittura del caffè aggiunto al vino (sic!), e questa fama arrivò fino all’Encyclopédie di Diderot e D'Alembert.
Johann
Joachim Winckelmann, “inventore” del Neoclassicismo, non escludeva si trattasse
di oppio. Altri ipotizzavano una pietra, forse preziosa, da porre nel vino
secondo qualche virtù riportata in un lapidario a noi ignoto.
Carlo Linneo,
poi, lo identificava con un genere di piante
“Si elle n'est pas la Népente d'Hélène, elle le sera certainement de tous les botanistes”(Se questa non è il Nepente di Elena [di Troia], sarà certamente [il nepente] di tutti i botanici)
Infine
Gabriele D'Annunzio ritornò indietro ad Omero.
Passando ad
Oliena (NU) nel 1882, assaggiò la varietà di vino Cannonau prodotto in zona
forse fin dal 1500 e, compiaciuto, gli diede il nome del vino mitico.
Che ne fosse
sinceramente entusiasta, e non che la sua pubblicità fosse stata ben retribuita
come dicono i maliziosi, ce lo suggeriscono alcuni fatti.
Nel 1909,
scrivendo la presentazione per una guida alle Osterie d’Italia di Hans Bart,
ripresa poi nel 1910 in un articolo sul Corriere della Sera intitolato “Un
itinerario bacchico”, il Vate dice che serba “da moltissimi anni” un boccione
del vino sardo,
“in memoria della più vasta sbornia di cui sia stato io testimone e complice”.
L’articolo
culmina col famoso detto
“Non conoscete il Nepente di Oliena neppure per fama? Ahi lasso!”
E poi si
dilunga su paesaggi bucolici dell’isola, fatti di Domos de Janas, patrie di
rimatori, pastori e di tessitrici, olio e miele, Sepolcri dei Giganti e Case
delle Fate, evocazioni delle Odi Purpuree di Hafiz e di a dell'Anacreonte,
uliveti più belli e santi di quelli che ombrano la vita di Delfo, pelli di
cinghiale, fucili damaschinati d'argento, mutazioni in prischi Quiriti e tutto
quello che c’è di ridondante e aulico nella prosa dannunziana fino ai versi
"A te consacro, vino insulare, il mio corpo e il mio spirito ultimamente.
Il Sire Iddio ti dona a me, perché i piaceri del mio spirito e del mio corpo sieno inimitabili.
Possa tu senza tregua fluire dal quarteruolo alla coppa e dalla coppa al gorgozzule.
Possa io fino all'ultimo respiro rallegrarmi dell'odor tuo, e del tuo colore avere il mio naso per sempre vermiglio.
E, come il mio spirito abbandoni il mio corpo, in copia di te sia lavata la mia spoglia,e di pampani avvolta, e colcata in terra a pie' d'una vite grave di grappoli;
che miglior sede non v'ha per attendere il Giorno del Giudizio."
E nel saluto all’amico enofilo
“Valeas foreas rubeas, multibibe doctor. Ave”
Sempre nel
1909 esce il suo melodramma “Fedra” e lì la moglie di Teseo, incontrando un pirata
fenicio (sì, forse uno dei fenici che viaggiavano dalla Sardegna verso Oriente)
gli chiede
“Rechi il farmaco d'Egitto, il Nepente che dà l'oblio dei mali?”
Insomma:
partendo dal mito, passando per poeti, botanici e navigatori, il vino è giunto
fino alla mia tavola.
Bacco non si è
certo dimostrato ingeneroso con la mia isola (e col mio gargarozzo).
[1] Il
titolo del post è un omaggio all’adorato Proust: “Nomi di paesi: il nome” e “Nomi
di paesi: il paese” sono due sezioni della Recherche.
Se non che dalla dicotomia nome\realtà dell’oggetto il grande francese trovava
delusioni, mentre il vino della Sardegna non tradisce.
[2] vv
219-236
[3] Roberto
Vecchioni, Per amore mio (Ultimi giorni di Sancho P.). Da ricordare il verso “Niente
ha più realtà del sogno”, una buona definizione per il mito.
NB:
immagini, citazioni e traduzioni non mi appartengono e sono qui posti a corredo
dell’articolo, che non ha alcun intento pubblicitario. Non ho ricevuto
retribuzioni né inviti alla scrittura da parte dei produttori per scrivere tale
post (non li conosco), ma sono un semplice gustatore del vino di Oliena che si
è imbattuto nell’origine mitica dello stesso. Questo blog non ha fini di lucro.