LA PAZIENZA DELLE MOGLI
Vi abbiamo narrato tempo fa di qualche baldo giovane che doveva superare delle prove per poter sposare l’amata.Oggi vi racconteremo di tre spose che dovettero affrontare delle ingiuste prove dopo il loro matrimonio. Se vi sia un legame, un filo sottile che collega queste tre storie allo stesso mito, lo lasciamo decidere ai nostri lettori.
La prima sposa viene dal mito celtico.
Nel libro gallese chiamato “Il Primo Ramo del Mabinogion” si racconta di Rhiannon: ella appare all'eroe Pwyll a cavallo di uno splendido cavallo bianco. Come spesso accade nel mito, una apparizione del genere rende la caccia inevitabile: Pwyll guida i suoi migliori cavalieri al suo inseguimento, ma non riescono a raggiungerla. In realtà il cavallo della donna è solo un'illusione creata da lei per potersi isolare con Pwyll. Dopo tre giorni, rimasti ormai soli, Pwyll la raggiunge e le chiede di fermarsi. E qui Rhiannon si dichiara all'eroe: preferirebbe sposare lui piuttosto che il malvagio Gwawl, l'uomo a cui è stata promessa.
Pwyll sconfigge Gwawl e i due si sposano. Dopo tre anni (notate la ricorrenza del numero tre) nasce loro un bambino. Ma questi scompare dalla culla la notte stessa della sua nascita.
Il bimbo era affidato a sei dame di compagnia della regina; esse temono di essere messe a morte per la scomparsa dell’erede di Pwyll, e per non essere incolpate spargono il sangue di un cucciolo su Rhiannon mentre dorme e pongono le sue ossa attorno al suo letto. Al risveglio di Rhiannon, le dame di compagnia affermano che il bambino è stato divorato da lei. Pwyll crede alle dame: non vuole uccidere la moglie, ma punisce Rhiannon relegandola nella corte di Arbeth per sette anni; lì, seduta vicino al palo dei cavalli fuori dall'entrata, deve raccontare la sua storia ad ogni passante e a richiesta lo deve portare sulle spalle fino alla corte.
Ma il bambino non è morto. Teyrnon ogni anno subiva il furto dei puledri nati dalla sua cavalla; stanco di ciò, tende un agguato al misterioso ladro e riesce a tagliargli la zampa. Il ladro fugge, e lascia sul posto il puledro appena nato e un bimbo che Teyrnon e sua moglie adottano. Lo chiamano Gwri Wallt Euryn (Gwri dai Capelli d'Oro), ed è eccezionale: come Apollo o Vali o i gemelli Aehser e Aehsaertaeg, cresce precocemente: dopo sette anni è già adulto e riceve il puledro nato la notte del suo ritrovamento.
A questo punto Teyrnon capisce di chi è figlio e lo riporta a Pwyll: Rhiannon viene perdonata dell'ingiusta accusa e chiamerà suo figlio Pryderi (ovvero "Preoccupazione").
La seconda sposa deriva da una storia dai tratti fiabeschi, narrata da Giovanni Boccaccio nella decima giornata del Decameron: narrata da Dioneo è l’ultima novella dell’opera.
Siamo alla decima giornata e, sotto il regno di Panfilo, l’ “onesta brigata” dovrà narrare di chi, con cortesia e magnanimità, ha avuto avventure d'amore o di altro genere.
Dioneo narra di Gualtieri, marchese di Saluzzo. Questi, è spinto dai suoi sudditi a sposarsi contro il suo volere. Quasi per ripicca, sceglie in sposa una ragazza figlia di un pastore, tanto povera quanto bella, di nome Griselda.
Nonostante le umili origini, Griselda si rivela buona e gentile, e si comporta con tanta dignità e onorevolezza, che tutti ben presto imparano a volerle bene. Alla nascita del primo figlio (una bimba) Gualtieri è felice; ma "per matta bestialità" il marchese decide di mettere alla prova la pazienza della moglie: vuole vedere se davvero lei è obbediente e del tutto sottomessa ai suoi voleri. Prima le riferisce che tutti parlano male di lei perché è di origine plebea. Anche la bambina non è vista di buon occhio proprio perché è figlia sua e lui è criticato perché l'ha sposata. Quindi manda alla moglie un servo che le porta via la bambina facendole credere (ma senza dirlo apertamente) che il padre la vuole morta. Griselda, pur soffrendo molto, non si ribella: chiede solo che sia sepolta, sempre se il marito non abbia ordinato altrimenti.
In seguito nasce un maschio. Dopo la gioia iniziale, Gualtieri riprende il suo piano, e lo sottre alla moglie. Anche questa volta Griselda soffre in silenzio.
Nessuno dei sudditi, e men che mai Griselda, sanno che Gualtieri ha mandato i figli a Bologna dove li fa allevare da una sua parente. Anzi: i sudditi iniziano a contestare il loro signore. Gualtieri, però, continua nel suo atteggiamento, pur essendo molto colpito dalla "costanza" della moglie che di lui dice solo bene.
Passati tredici anni e Gualtieri decide di sottoporre Griselda all'ultima prova. La fa convocare davanti a tutta la corte e le dice che ha chiesto al Papa la dispensa per sposare un'altra donna, una nobile, perché lei è di troppo bassa condizione per lui. Ora che il Papa gli ha dato il permesso lei deve immediatamente andarsene da palazzo così come vi era entrata.
Il giorno delle nozze Gualtieri aveva fatto rivestire da capo a piedi Griselda prima di portarla via dalla sua misera casetta: lei chiede solo, se possibile, di potersene andare in camicia e non nuda come vi era, appunto, entrata, perché i sudditi del marchese non vedano nuda la madre dei suoi figli; inoltre l'unica dote che aveva portato con sé era la sua verginità, e lui non gliela può più restituire. Gualtieri, generosamente glielo concede. Griselda torna in silenzio dal padre, che da tempo si aspettava una cosa del genere.
Dopo un po' di tempo Gualtieri fa venire di nascosto da Bologna i suoi figli, dicendo a tutti che la fanciulla (dodicenne!) è di famiglia nobile e sarà la sua nuova sposa. Poi fa chiamare Griselda e le ordina di mettere in ordine il palazzo e di preparare tutto alla perfezione per le nuove nozze. Griselda obbedisce senza fiatare. Il giorno del banchetto tutti ammirano la giovinetta, anche Griselda che dice che è bellissima. Gualtieri la fa chiamare e le chiede cosa ne pensa della sua scelta. Griselda risponde che la fanciulla è bellissima ma lo prega di risparmiarle le "punture" che ha dato a lei perché si vede che è stata allevata "nelle dilicatezze" e non in fatiche come lei e non ce la farebbe a sopportarle.
Finalmente Gualtieri considera felicemente concluso il suo esperimento e le rivela la verità: quelli sono i suoi figli, lui l'ama più che mai e ora torneranno tutti assieme e vivranno per sempre felici e contenti. Tutto finisce in gloria.
La terza sposa è Psiche, di cui Apuleio narra la fabula nella parte centrale delle sue Metamorfosi.
Psiche è la bellissima figlia minore di un re. E’ talmente bella che le genti dei paesi limitrofi la chiamano “Venere”. La vera dea della bellezza, però, non tollera rivali: prova invidia per lei e invia suo figlio Cupido perché la faccia innamorare dell’uomo più brutto della terra. Ma la freccia che deve far innamorare Psiche colpisce per sbaglio Cupido, e il giovane dio si innamora della fanciulla.
Un oracolo dice al padre di Psiche che la ragazza dovrà sposare un mostro: così ella viene abbandonata su una rupe, ma è solo un trucco di Cupido che, con l’aiuto di Zefiro [1] la conduce in un castello: lì Psiche vivrà nella ricchezza e nell’amore, ma con la proibizione di vedere mai il suo sposo.
Come ogni buon divieto delle fiabe, questo viene violato: spinta dalla gelosia delle sorelle, Psiche viene spaventata e tentata, e così una notte, mentre il suo sposo dorme, avvicina un lume e finalmente vede il volto del marito. In preda all’emozione, le cade una goccia rovente dalla lucerna che aveva in mano; la goccia brucia Cupido, svegliandolo. Il divieto è stato violato, e il dio abbandona la moglie.
Sconsolata, Psiche vaga alla ricerca del marito, finché Venere la prende con sé. Ma l’invidia della suocera non è placata: sottopone Psiche a terribili prove.
Come prima cosa, la ragazza deve suddividere un mucchio di granaglie di varie dimensioni in tanti mucchi uguali; Psiche riceve un aiuto inaspettato da un gruppo di formiche, che provano pena per lei.
La seconda prova consiste nel raccogliere la lana d'oro di un gruppo di pecore [2]. Questa volta Psiche è aiutata dalle informazioni date da una canna verde: le pecore diventano infatti molto aggressive con il sole e lei dovrà aspettare la sera per raccogliere la lana rimasta tra i cespugli.
Poi Venere incarica la nuora di raccogliere acqua da una sorgente che si trova nel mezzo di una cima tutta liscia e a strapiombo. L’aiuto stavolta arriva dall'aquila dello stesso Giove.
L'ultima prova è la più difficile: Venere da’ a Psiche un’ampolla e incarica la ragazza di scendere nell’Ade e chiedere alla dea Proserpina, moglie di Plutone, di riempire quell’ampolla con un po' della sua bellezza. Psiche, disperata, medita il suicidio: salita su una torre per compiere l’estremo gesto, viene aiutata dalla torre stessa. Compiuta la missione, Psiche è mossa dalla curiosità, apre l'ampolla e scopre che il dono di Proserpina non è altro che un sonno profondissimo, simile alla morte.
Eros vede la sua sposa, sfugge al controllo della madre e va a risvegliare Psiche. Così vanno insieme da Giove, che si commuove e fa sì che Psiche diventi una dea, che può sposare sull’Olimpo Cupido. Da loro nascerà una figlia che si chiamerà Voluptas, cioè “Piacere”.
[1] Zefiro in versione servo invisibile sembra il modello per l’Ariel de La Tempesta di Shakespeare.
[2] i velli d’oro di arieti e pecore meravigliose tornano più volte nel mito greco. Si vedano i miti di Elle e Frisso (prologo della saga degli Argonauti) e quello del meraviglioso ariete di Atreo.
PS: le immagini non mi appartengono e sono tratte dal web; qui sono a corredo dell'analisi. Questo blog non ha fini di lucro.
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