Il quotidiano La Nuova Sardegna di oggi, 26 giugno 2013, parla dell'esito scenico di "C'è del Marcio a Corinto", a opera del Teatro Impossibile, regia del maestro Elio Turno Arthemalle con la collaborazione di Felice Colucci e di Emanuela Lai. Nella realizzazione dell'esito, sono stato coinvolto per la parte di inquadramento mitico e di riduzione dei sacri testi di Eschilo, Euripide e Seneca (e con qualche proposta sulla messa in scena).
I due giorni di rappresentazione (quattro spettacoli, con ogni volta il cast che ruotava) all'Ex Liceo Artistico di Cagliari hanno avuto un buon successo di pubblico, e hanno dato a chi ha partecipato (in scena e fuori) grandi soddisfazioni.
Dalla lunga storia degli Atridi sono state selezionate alcune scene che mostrassero il progresso e la trasmissione della colpa.
Elio, come il dio della città sull'Istmo, ha voluto andare oltre tradizionale interpretazione "gessata e immobile", "accademica" in chitone e coturni, mirante a una ricostruzione "fedele" del teatro greco, questa sì, impossibile ai giorni nostri. Se i miti sono sempre attuali, se il teatro greco è ancora attuale, si può e si deve cercare la novità nella continuità della parola dei tragici.
Testo fedele e messa in scena innovativa e attuale: ed è stata la scelta vincente.
Chi mai avrebbe sospettato che una sedia a rotelle rovesciata sulla scena, con una ruota che gira abbandonata a sé stessa - la sedia su cui poco prima sedeva Agamennone -, potesse essere il simbolo più adatto a sottolineare il monologo di Clitemnestra?
Non mi vergognerò adesso a contraddire tutto ciò che ho detto prima, per dovere. Non lo nego, ho tutto disposto perché lui non potesse fuggire né rimandare la morte...
Ma ecco le scene selezionate per lo spettacolo.
Dal "Tieste" di Seneca sono state estratte due scene: l'evocazione dell'Ombra di Tantalo a opera della Furia Infernale ed il banchetto di Atreo.
Dall' "Ifigenia in Aulide" di Euripide, l'arrivo di Clitemnestra, i monologhi di Agamennone e della regina e l'esaltata accettazione del sacrificio di una Ifigenia quasi anticipatrice di Giovanna d'Arco.
E poi l'Orestea di Eschilo.
Dall'"Agamennone" ecco il ritorno del re (ben diverso da quello di Aragorn!), il dialogo tra Cassandra e Clitemnestra (in versione Eros&Thanatos), il monologo di Clitemnestra e la "baruffa" tra Egisto e il coro.
Due grandissime interpretazioni di Clitemnestra e quattro grandi Cassandre hanno "allietato" il pubblico in un vortice di lucida follia e vendetta, in una riduzione di quella che forse è la più grande tragedia mai scritta.
La scelta di rappresentare le "Coefore" in un buio quasi totale ha dato un tocco in più al dramma del matricidio.
Qui l'oscurità è stato l'elemento scenico più rilevante: un'oscurità magica nel complotto tra Oreste ed Elettra; cupa nel monologo della balia; profonda come la notte che precede la nascita, nel matricidio. E la luce è entrata nello spazio scenico solo al momento dell'omicidio di Clitemnestra,
E infine le "Eumenidi": tecnologiche, con proiezioni, luci, filmati, per dirci che le tragedie non finiranno mai di trovare forme attuali per un contenuto universale.
Il processo che segna il nascere della democrazia, e i rischi della democrazia stessa hanno preceduto il catartico finale in cui Zeus, comunque voglia essere chiamato, regna sovrano, in un cerchio che si chiude.
I giovani attori (e qualche "nonno attore" :-D ) hanno dato il loro meglio, sia che fossero omicidi nell'oscurità, ombre infernali, cori preoccupati o ignari, servi fedeli, schiavi barbari dalla lingua "incomprensibile" (avreste mai immaginato una Cassandra castigliana?), divinità distanti o crudelmente opprimenti, re e regine e principi avvolti nella tela del destino.
Come detto gli attori hanno svolto ruoli diversi a distanza ravvicinata, in una sfida prima di tutto a sé stessi e ai propri limiti.
Una sfida vinta, nonostante la fatica (di Ercole). Una fatica premiata dalla soddisfazione di aver ceduto corpo, voce e anima per due sere al dio del teatro.
Ma in cambio anche essi sono entrati a far parte dell'infinita catena del mito.
Una piccola notula
I mitologi più puristi si chiederanno a che pro l'amletico titolo "C'è del marcio a Corinto" in una riduzione sulle tragedie degli Atridi, che si svolgono a Micene (Argo, nella convenzione eschilea).
L'elaborazione dell'esito partiva da una serie di incontri intitolati, appunto, "C'è del marcio a Corinto" sulle tragedie e su alcune opere classiche (vedi il percorso di incontri Servizio Pubblico - Transiti e Soste).
Al momento della messa in scena, gli attori (che ormai tra loro si definivano "Marci" quanto e più dei rapper), hanno scelto di mantenere il titolo originario, pur consapevoli dell' "errore"filologico, e nonostante gli sguardi obliqui di qualcuno (tra cui io :-D ).
Ma il magico mondo del teatro ha anche il compito di spiazzare lo spettatore, no?
NB: la pagina della Nuova Sardegna (articolo di Enrico Pau) non è riprodotta a fini di lucro, ma solo a testimonianza della critica allo spettacolo.