lunedì 22 novembre 2010
MIGRAZIONI – E tui, de chini sesi? 6
Tenetevi forte. Perchè, finalmente, stanno per arrivare i pezzi grossi.
Sì, la colonizzazione della Sardegna non ha conosciuto solo “figli di”. Ha visto arrivare anche “gente importante”.
Non sappiamo se questo sia stato un pregio, ma c’è stato anche questo. Ci dobbiamo limitare ad accettarlo.
Che poi dietro i “pezzi grossi” si nasconda l’interpretatio greca di qualche altro dio straniero, non lo sappiamo.
(Se non sapete cosa sia l’interpretatio greca, migrate temporaneamente alle nostre piccole note in fondo e poi tornate!)
Il primo big lo abbiamo già nominato: Aristeo. Già dal nome (legato ad aristos = il “migliore”, il “nobile” etc.) capiamo che non si tratta di un personaggio secondario. E’ figlio di Apollo e di Cirene, ma non è un “figlio di” nebuloso come lo sono Norache e Sardo. Tutt’altro!
Aristeo, infatti, compare in diversi miti, alcuni molto famosi.
E’ lui, ad esempio, che insegue Euridice, moglie di Orfeo, e ne provoca la morte. Così Orfeo deve scendere nell’Ade a cercare l’amata. Storiellina nota, no?
E’ lui il padre di Atteone, tramutato in cervo e sbranato dai propri per aver visto la dea Artemide ignuda.
Ma Aristeo è soprattutto un grande “eroe culturale” che porta le conoscenze agli uomini. Aristeo è un grande cacciatore; è lui a “scoprire” il miele per la nostra specie; è lui a spiegare all’umanità diversi aspetti della coltivazione, come quella dell’ulivo.
E infine è soprattutto lui a insegnare ai mortali le tecniche della pastorizia e della fabbricazione del formaggio.
Già questo basterebbe a collegarlo banalmente alla nostra isola, soprattutto se siete tra quei banali contemporanei che credono agli stereotipi più banali sulla Sardegna (“tutti i sardi sono pastori”…).
Ma Aristeo, lo riconoscono i mitografi greci, non si fermò qui: venne in Sardegna da colonizzatore e fondatore di città.
Ahinoi!, non ci rimangono i miti dei fenici, per non parlare di quelli dei Sardi stessi. Quindi non possiamo sapere se, sotto il nome greco di Aristeo, ci sia davvero il padre di Atteone o più facilmente qualche altro eroe del lontano Occidente che i Greci identificarono con Aristeo. Era un personaggio importante, sicuramente, di cui rimangono testimonianze di culto nella parte meridionale della Sardegna.
E non a caso…
Dice uno scrittore, che qualcuno riteneva fosse Aristotele, che la Sardegna, “in tempi lontani”, era prospera e dispensatrice di ogni prodotto. Il nostro scrittore (ma sì, chiamiamolo pure “Pseudo-Aristotele” come fanno gli studiosi) riferisce che si diceva che la causa non potesse essere che una sola: era arrivato Aristeo con il suo bagaglio di conoscenze (“Donne! E’ arrivato l’arrotino!”) a civilizzare terre altrimenti arretrate.
Secondo i frammenti di Sallustio, che altre volte abbiamo citato, il percorso fatto da Aristeo fu il seguente: straziato per la morte di Atteone, la madre gli consiglia di lasciare Tebe in Grecia e cercare un’altra sede. Prima va a Creta (a quell’epoca spopolata), poi incontra Dedalo e in sua compagnia raggiunge la Sardegna.
Silio Italico ribadisce cause e destinazione del viaggio.
Però mitografi e storici non vanno sempre d’accordo sulle versioni. Se vi ricordate (se non ve lo ricordate, cliccate qui!) Creta in quell’epoca mitica non risultava così spopolata. Anzi, era una potenza navale. E Dedalo non lasciava una Creta che stava sorgendo, ma fuggiva da Minosse, da lui scontentato in più modi. Un Minosse che aveva già regnato per lunghi anni dopo aver ereditato il trono cretese dal patrigno.
Insomma: secondo varie fonti, Sallustio aveva preso un abbaglio.
Ma la cosa strana è che Servio, il famoso commentatore di Virgilio, si richiama proprio a un passo di Sallustio, e l’isola disabitata non sarebbe Creta, ma Ceo.
Il siculo Diodoro, infatti corregge il tiro. Il percorso di Aristeo fu più articolato. Prima fa sosta a Ceo (dove lascia qualche discendente), poi ripassa in Libia (dobbiamo immaginare nella zona di Cirene, da lui dedicata a mammà?) e infine arriva in Sardegna.
Questo Agha Khan d’alti tempi trova l’isola bella… e colonizzabile. Quindi si dà da fare per migliorarla: piantagioni e coltivazioni sorgono grazie alla sua opera, e sono fiorenti. Tant’è che qui nascono due suoi figli: Carmo e Callicarpo. “Callicarpo” significa “bel frutto”, e “Carmo” è legato alla parola che significa “gioia, letizia”.
Non sono certo nomi da agricoltura in crisi!
Comunque il nostro istancabile eore (culturale) non si fermò qui, ma si spostò in “altre” isole, per arrivare infine in Sicilia. Quali siano le isole toccate in questo viaggio non sappiamo, ma limitarsi a dire che erano le Egadi, sembra un po’ riduttivo.
Sì, ma quando arrivò Aristeo? In che posizione si classificò in questa gara tra chi voleva colonizzare la Sardegna?
La nostra fonte pluricitata, il turista non-per-caso Pausania, fa un po’ la sintesi delle opinioni e ci ragiona su. Anche secondo lui Aristeo parte per il dolore della morte di Atteone e arriva in Sardegna dopo i Libici (di Sardo).
Pausania contesta che sia arrivato con Dedalo (in fuga dai Cretesi, secondo una delle fonti consultate dal nostro turista scrittore), per questioni cronologiche: Aristeo visse a Tebe in Beozia all’epoca dei figli di Cadmo, Dedalo all’epoca di Edipo, qualche generazione dopo. Quindi i tempi non tornano.
(Di Cadmo, celebre migrante e fondatore di città, parleremo un’altra volta…)
Ci fosse o no Dedalo, Pausania ne è sicuro: Aristeo introdusse l’agricoltura in Sardegna, ma non fondò città. Infatti sia come numero di coloni che come “forza lavoro” questa spedizione non era in grado di edificarne una.
E qui non c’è accordo. Solino (III secolo d.C.), infatti, come abbiamo già detto altrove, sostiene che Aristeo fondò Karalis, e lì unificò Libi (di Sardo) e Iberi (di Norache), che prima rifiutavano ogni autorità.
Ancora una volta il rebus delle origini mitiche degli abitanti della Sardegna appare contraddittorio.
Quando arrivò Aristeo? Arrivò prima o dopo gli altri? Chi lo accompagnava? Fondò o meno Karalis?
La risposta forse era raccontata sotto forma di fumetto. Sempre il nostro Servio, infatti, ci dice che Dedalo si fermò in Sardegna, poi raggiunse Cuma in Campania e qui fondò il celebre tempio di Apollo dove fece sosta anche Enea in viaggio con i suoi troiani.
Qui, sulle porte del tempio, lui stesso dipinse le tappe del suo viaggio.
Ma di cosa avrebbe fatto Dedalo in Sardegna (e anche di qualche puntatina dei Troiani sull’isola), ne parleremo un’altra volta.
Alcune piccole note
Un sito che raccoglie le varie versioni del mito di Aristeo in Sardegna lo trovate qui.
Cos’è l’interpretatio greca? I nostri amici greci avevano l’abitudine di ritenere di aver inventato tutto loro, e che gli dei fossero solo quelli parlanti greco. Così, anticipando di secoli i Cristiani che trasformarono gli dei pagani in santi, anche i greci “interpretarono” dei ed eroi di altri popoli come “cattive traduzioni” e “fraintendimenti” di dei ed eroi ellenici. Una sorta di colonialismo culturale.
Così il Melqart fenicio, per alcune sue caratteristiche fu considerato equivalente ad Eracle, Amon\Ammone fu identificato con Zeus e così via.
Così non è improbabile che il nome di Aristeo figlio di Apollo, legato all’Arcadia e alla Beozia, fu sovrapposto a qualche eroe (o un dio) africano, fenicio, sardo o chissà cos’altro, con cui aveva in comune il legame con agricoltura e pastorizia.
sabato 13 novembre 2010
DEFINIZIONI AUTOREVOLI - Miti moderni
Sergej Luk'janenko è l'autore russo che ha rivoluzionato il mondo del Fantasy con la sua saga dei Guardiani. Lo spunto è semplice: quasi tutte le creature mitiche, siano esse buone o cattive, esistono davvero. Sono gli "Altri", nati da esseri umani ma fondamentalmente diversi. Sono divisi in due schieramenti: forze delle Tenebre e forze della Luce, che combattono una guerra infinita. Anche se, in realtà, in una versione aggiornata della Guerra Fredda, hanno raggiunto uno status quo: fanno piani, tramano, si controllano tra loro, ma sostanzialmente nessuna delle due parti può prevalere sull'altra.
In uno dei racconti che compongono il volume "I Guardiani del Crepuscolo", un potente personaggio viene ucciso. E viene ucciso in un modo che sembra improbabile perfino per un Altro. Così, mentre si parla di Libri mitici anche per questi esseri mitici, avviene un dialogo interessante...
- Nei servizi segreti abbiamo i nostri agenti - ribattè Edgar. - Ma ammesso e non concesso che siano riprese le ricerche e che ci sia stata una fuga di notizie, la morte di Vitezslav rimane un mistero. Nessun James Bond sarebbe riuscito ad avvicinarsi a lui senza essere notato.
- Chi è James Bond? - chiese Zavulon.
- Fa parte della mitologia - gli spiegò Geser. - Mitologia contemporanea.
S. Luk'janenko, I Guardiani del Crepuscolo, Terzo Racconto, Oscar Mondandori Bestsellers 1947, trad. di M. Falcucci.
lunedì 1 novembre 2010
MIGRAZIONI – E tui, de chini sesi? 5
Prima dei voli low cost Cagliari-Barcellona. Prima degli Erasmus. Prima della flotta del Cardinale Alberoni. Prima dei tanti viceré predatori. Prima di Pedro de Luna e di Martino il Giovane.
Prima di loro c’erano stati i Balari mercenari, e prima ancora Norache, o Norax che dir si voglia.
Perché per spostarsi dalla penisola iberica e conquistare la Sardegna, la distanza non è mai stata troppa.
Ma partiamo dal primo iberico sul suolo sardo: Norache.
Lo storico romano Sallustio in un frammento ci dice che Norache era figlio di Hermes e di Eritehia, figlia di Gerione.
Che poi è come dire che Norache veniva da Ovest, dall’Iberia. Perché Gerione dai tre corpi, fatto fuori da Eracle perché le sue mandrie erano troppo belle per non essere rubate, prima di finire nell’Inferno dantesco, era un re delle terre dove il sole cala.
E infatto, secondo Solino (III secolo d.C.), Norache e i suoi partirono da Tartesso, nella zona dell’attuale Cadice.
Il solito Pausania (II secolo d.C.) aggiunge che gli Iberi giunsero in Sardegna dopo Aristeo. Qualcuno potrà obiettare che forse avremmo dovuto parlare di Aristeo prima di narrare degli Iberi, ma vedremo che la faccenda è più complessa di quanto non sembri.
E comunque Pausania dice che, con grande fantasia, Norache diede il suo nome alla città di Nora. E in più afferma che questa fu la prima città dell’isola.
Se ci ricordiamo che i precedenti abitatori spesso vivevano come capitava in capanne e grotte, l’arrivo degli Spagnoli (prima e ultima volta nella tormentata storia di Sardegna) coincise con un progresso.
Quindi, grazie a Norache fu fondata la prima città.
Ma l’ambiente isolano, già da allora, non avrebbe smentito un detto successivo, ahinoi spagnolo: la celeberrima definizione che vede i Sardi come “pocos, locos y mal unidos”.
“Locos” (pazzi) non lo sappiamo, in verità. Ma che fossero “mal unidos” (disuniti) non era qualcosa di cui dubitare. Tra gli Iberi di Nora e i Libi arrivati in precedenza sotto la guida di Sardo ci furono conflitti.
A rimediare la situazione ci voleva, se non un miracolo, almeno un semidio. E infatti sempre Solino ci dice che Aristeo regnò non lontano da Nora, ovvero in quella Cagliari da lui fondata.
Nella nuova città, destinata ad essere la più importante della Sardegna, il figlio di Apollo avrebbe fuso le stirpi libiche (portate sull’isola da Sardo) e quelle iberiche (portate da Norache): questi popoli, malgrado non vi fossero abituati, accettarono di buon grado il suo governo.
Ma se i conflitti c’erano già prima della nascita di Cagliari, il dubbio che Aristeo sia potuto giungere in un momento successivo alla venuta degli Iberi è, quanto meno, legittimo.
Fin qui le notizie sulla colonizzazione del Sud della Sardegna da parte degli Iberi.
Ma se parliamo del centro e del Nord dell’isola, la faccenda si fa più complessa, e gli Iberi tornano prepotentemente in gioco.
Il grande naturalista Plinio il Vecchio, prima di morire per le ceneri del Vesuvio, scrisse che i più celebri popoli della Sardegna erano gli Iliesi, i Balari e i Corsi. Dei Corsi abbiamo già detto, degli Iliesi parleremo, dei Balari ci dobbiamo occupare ora.
Perché il nome ricorda troppo quello delle Isole Baleari, intermedie tra la Penisola Iberica e la Sardegna.
E che il nome fosse di origine Iberica, o quantomeno legato a quell’area, ce lo conferma anche Silio Italico. Il poeta ad un certo punto della sue opera ci parla dei Vettoni, abitatori della Lusitania (attuale Portogallo) e della regione Cantabrica (costa nord-ovest della Spagna): bene, a suo dire il loro capo si chiamava Balaro.
Ma che rapporto c’era tra gli Iberi e i Balari?
Innanzitutto, le fonti sembrano propendere per un arrivo successivo dei Balari: un arrivo in epoca storica, non mitica, insomma. Quando Nora era una città di certo in rapporti commerciali e politici con i Cartaginesi.
L’ennesimo frammento di Sallustio ci dice che i Corsi stanziati in Sardegna ritenevano i Balari profughi “Pallantei” (qualunque cosa significhi ciò); ma per altri erano Numidi o Ispani provenienti dall’esercito cartaginese.
Ancora una volta Pausania ci conferma (o riprende?) quanto detto da Sallustio. Secondo lui si trattava di Africani o Iberici al soldo di Cartagine. Ad un certo punto questi mercenari vennero in lite con la città fenicia proprio per questione di denaro. Così disertarono e si rifugiarono sui monti della Sardegna.
Sembra di arguire che per i Corsi il nome “Balari” significasse “disertore” (o forse “esule”), e che da allora il nome rimase a quella popolazione.
Che i Balari non fossero persone considerati affidabili nel mondo romano sembra di intuirlo da alcune fonti: Sallustio dice che erano gente di animo mutevole, malfida per timore degli alleati, scuri di vesti. Cicerone arriverà a parlare di Sardi “mastrucati”, cioè coperti di pelli.
Strabone, geografo vissuto a cavallo tra il I secolo a.C. e il I secolo d.C., non ne ha una grande opinione. Ci dice di loro che abitano in spelonche (una costante abitazione sarda, a quanto pare…). Poi aggiunge che se pure avevano qualche terra seminabile, non si preoccupavano di metterla a frutto, anzi: preferivano depredare i profitti di chi lavorava, addirittura arrivando a rapinare gli abitanti della zona toscana.
Tito Livio ci narra le vicende della Sardegna appena conquistata dai Romani. Contro i nuovi dominatori, Iliesi e Balari strinsero un’alleanza e attaccarono la “pacatam provinciam” (la provincia pacificata).
Non fu una lotta facile, e quando Tiberio Sempronio Gracco condusse le legioni di Roma nel territorio Iliese, i Balari inviarono grandi rinforzi.
Ma Roma, per il momento, prevalse.
Quando poi gli Iliesi si ribellarono a Roma di nuovo durante la Seconda Guerra Punica, nel momento decisivo il loro capo Ampsicora cercò di arruolare truppe tra i Sardi Pelliti.
Si tratta dei Sardi mastruccati di cui parla Cicerone? Dei predatori Balari?
Sia quel che sia, anche la rivolta di Ampsicora finì male, e Iliesi e Balari dovettero rinunciare a cacciare i Romani.
Alcune piccole note…
Uscendo dal mito ed entrando nella Storia (e nelle dispute) non possiamo non citare la famosa Stele di Nora, qui sopra raffigurata. Scritta in un alfabeto fenicio arcaico, la sua traduzione (e quindi interpretazione) è discussa: la versione dell’epigrafia “ufficiale” (interpretazione di Moore-Cross, 1984) parla proprio di coloni provenienti da Tarsis (=Tartesso?) per giungere nella terra dei Sardi… Ma il nome del capo non è ahinoi, quello di Norache: il dedicante sarebbe un tal Milkaton, figlio di Subna.
Ovviamente la stele, rovinata e di difficile lettura, ha anche diverse interpretazioni (tant'è che "Milkaton figlio di Subna" diventa "Sb' figlio di Milkaton"...).
Se poi vogliamo accettare le teorie di alcuni “ricercatori indipendenti(sti)” la sua traduzione è virtualmente impossibile, in quanto, pur essendo scritta in caratteri fenici, le parole sarebbero in lingua Shardana…
Sia gli Scholi a Dioniso, sia Eustathio ci confermano che gli Iberi arrivarono prima degli Eraclidi, figli di quell’Eracle che uccise il nonno di Norache.
Ma di questo parleremo in un prossimo post.