Il 30 aprile
2015, dalle 19,00 alle 21,00, avrò l’onore di essere ospite di uno degli
Aperitivi Culturali organizzati dalla benemerita ASSOCIAZIONE ITZOKOR ONLUS,
nella sede di Via La Marmora 123 a Cagliari. Stavolta da solo, senza il pard
Michele, spero che si ripeta l’ottima esperienza di cui vi avevamo parlato QUI, quando
avevamo (ri)presentato i Miti della Colonizzazione della Sardegna.
L’incontro
del 30 avrà come argomento i miti relativi all’immortalità dell’anima… e
soprattutto del corpo: il titolo dell’Aperitivo è infatti "Diventare immortali - miti ed eroi per
una vita senza fine".
Sulla
traccia della conferenza, con questo inizia un ciclo di post che presentano,
ampliano e approfondiscono la materia.
IMMORTALI?
SI PUO’!
L’immortalità
è per tutti?
La risposta
del mito è ambigua: sì e no.
Quasi sempre
sì, se intendiamo con “immortalità” una esistenza che va al di là
dell’esperienza della (francescanamente: “nostra sorella”) morte corporale; no,
se restringiamo il campo a una prosecuzione indefinita della propria esistenza
cosciente e personalizzata. [1]
L’immortalità
è per tutti nel senso che, pressoché da quando abbiamo fonti scritte, abbiamo
certezze della concezione di una vita dopo la morte, una vita riservata a tutti
(o quasi) [2].
Tuttavia
questa “vita” si presenta spesso assai triste.
Un esempio
ce lo presenta il classico dei classici: Omero.
Nel canto XI
dell’Odissea, la Nekya, la discesa agli Inferi[3], Ulisse
incontra i morti, ridotti ad ombre. Tra essi quella di Achille, che pronuncia i
famosi versi (Od., XI, 488)
Non consolarmi della morte, a Ulisse
Replicava il Pelíde. Io pria torrei
Servir bifolco per mercede a cui
Scarso, e vil cibo difendesse i giorni,
Che del Mondo defunto aver l’impero.[4]
I morti
appaiono dunque impegnati in una esistenza\non esistenza, dove il tempo non ha
alcun senso, continuamente nel rimpianto della luce e desiderosi di sangue dei
viventi (probabilmente per il legame che si trova in molte culture tra il
sangue e la vitalità).
L’evoluzione
di questa idea dell’esistenza umbratile sfocerà nel concetto dei Campi degli
Asfodeli dell’Ade, il regno dell’Olimpio “Invisibile” (ovvero Ades) e della sua
sposa Persefone.
Eppure non
tutti sono destinati a una sorte così oscura: Anchise, i Dioscuri, Elena o
Achille (secondo versioni più tarde) godono di un’esistenza più felice, simile
a quella dei viventi per quanto riguarda la luce, ma con meno affanni: il tutto
perché soni stati in vita favoriti dagli dei.
Il favore degli
dei aiuta un po’ ovunque coloro che sono morti nella loro amicizia.
Da altre latitudini
del mondo indoeuropeo, gli Scandinavi elaborarono (non sappiamo esattamente
quanto tempo dopo) il concetto del Valhalla, la regione dove i morti scelti in
battaglia dalle Valchirie su ordine di Odino vivono una sorta di vita in mischie
sempre rinnovate, ogni giorno morendo negli scontri e ogni notte risorgendo e
banchettando.
Ma queste
forme di sopravvivenza dell'anima dopo la morte ci interessano solo fino ad un certo punto. Qui ci
preme mettere in evidenza le forme di sopravvivenza (più o meno indeterminate
nel tempo) della vita mortale e corporale… che diventi vita immortale.
Diversi eroi hanno spesso cercato di evitare la trista soglia secondo due strade: la prima
prevedeva quella di far morire la propria parte mortale per rinascere
immediatamente come dei, e quindi strictu
sensu, di morire comunque.
La seconda quella
di trovare il modo di non morire affatto, ovvero di sopravvivere nel corpo e
nella mente.
Le
esamineremo all’incontro del 30 aprile e nei prossimi post.
[1] Con ciò restringiamo il campo della
nostra indagine: qui non parleremo delle teorie mitiche sulla reincarnazione. E
neppure è nostra intenzione fare una descrizione dei regni dell’aldilà… che ci
piacerebbe avere il tempo di descrivere in altri post.
[2] Pitture, ceramiche e soprattutto
sepolture fanno supporre che tali concezioni fossero presenti già in precedenza
tra i gruppi umani. Ma quando i reperti materiali parlano, non sempre è prudente dare come assolutamente certa la nostra interpretazione del loro messaggio.
[3] Tecnicamente i due termini sono
impropri: seguendo le indicazioni di Circe, Ulisse giunge all’Occidentale terra
dei Cimmeri, una terra nebbiosa dove il Sole è debole e pallido, morente anche
lui. Dunque l’eroe non “scende” verso
il basso, in effetti, e quindi non esistono gli “inferi” propriamente detti,
ovvero un luogo “inferiore” alla terra abitata dai viventi. Tale concezione
arriverà successivamente sostituendo quella dell’analogia tra morti e sole
morente (con l’interessante considerazione che il sole risorge ogni giorno,
mentre ai morti è precluso rivedere la luce vivida). Non si può escludere che
il passaggio all’inumazione tra i greci abbia contribuito all’idea del regno
dei morti “sotto terra”, l’Ades, la terra “dell’Invisibile”.
[4] Versi 613-617 della versione di Ipolito
Pindemonte (1822) da Wikisource.
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