sabato 28 dicembre 2013

Scudi Mitici - Intermezzo

Dopo una pausa, riprendiamo il nostro discorso sugli scudi mitici iniziata QUI, dove abbiamo narrato degli scudi dei Sette a Tebe, e QUI, dove abbiamo parlato dello scudo di Achille così come viene descritto da Omero nell'Iliade.
Eroe greco su vaso: il suo scudo ha la testa di Medusa

GLI SCUDI DI AGAMENNONE, ATENA E PERSEO

Nel mito e nell'epica classica due scudi hanno un posto d'onore, benché non al livello di quelli di Achille, Eracle, Enea: sono quelli dell'Atrìde Agamennone re dei re, e di Perseo. Assieme a loro non possiamo dimenticare quello di Atena Promachos, la guerriera. Esso dovrebbe essere il modello mitico di ogni scudo, anche se le immagini in esso raffigurate sono forse discendenza e non origine degli scudi degli eroi.

Lo scudo del re di Micene ha l'onore di apparire nell'Iliade prima di quello di Achille. Siamo nel Canto Undecimo (vv.15-46), e il Sire degli Achei si appresta a scendere in battaglia dopo l'impresa notturna di Odisseo e Diomede che ha rianimato gli spiriti in verità un po' depressi dei Danai.
Agamennone si veste di "bronzo accecante": gambiere con copricaviglia d'argento; la corazza donatagli dal suo ospite Cinira di Cipro, fatta di dieci strisce di smalto nerastro, dodici d'oro e venti di stagno, con sul collo draghi di smalto, tre per lato; balteo d'argento con un serpente a tre teste fatto di smalto; elmo con due cimieri e quattro ali. Per armi la spada con borchie d'oro e due aste con punta di bronzo.
E poi c'era lo scudo.
Non si tratta di uno scudo così riccamente decorato come quello di Achille, non merita una lunga ekphrasis, ma è comunque uno scudo notevole: era 
amphibrotèn, poludaìdalon aspìda thòurin,
kalèn
cioè "uno scudo (aspis) che copre tutta la persona, lavorato con fine arte (o 'con svariato lavoro'), bellicoso, bello"; correvano in giro dieci cerchi di bronzo e venti borchie di stagno, e al centro una borchia di smalto nerastro. A corona dello scudo la "tremenda visione" della Gorgone che guardava torva, e attorno a lei i due figli di Ares: Deimos (il 'Terrore') e Phòbos (la 'Paura').
Guerrieri e scudi da un vaso corinzio

Si tratta di uno scudo deciamente funzionale alla guerra più che all'estetica. E' pur vero che, a quanto sembra, Cratete di Mallo aveva interpretato i cerchi di bronzo di questo scudo come una allegoria delle orbite celesti (kykloi), ma assieme ai dati tecnici (il bronzo, le borchie) ecco un'immagine forte, quella della Gorgone e di Deimos e Phobos, destinata a spaventare i nemici.

La Gorgone al centro dello scudo non stupisca: lingua sporgente, zanne di cinghiale, guance rigonfie, bulbi
La testa di Gorgone sull'Egida
oculari fissi verso l'osservatore, serpenti attorcigliati attorno al volto, una barba forse a imitazione di strisce di sangue... Il volto della Gorgone appariva su pendagli apotropaici e su scudi di guerrieri in vasi del V secolo.

Ma non è la sola apparizione nell'Iliade: le prime armi descritte con dovizia di particolari appaiono nel Libro V (vv. 729-742) e appartengono addirittura alla dea della guerra 'intelligente', ovvero Atena, protettrice sia di Achille che dell'Atride.
La testa di Medusa appare al centro dell'Egida di Atena, per terrorizzare i suoi nemici o addirittura pietrificarli.
Cosa fosse l'Egida non è pienamente chiaro: la radice (e l'interpretazione degli autori) sembra portare ad 'aix,
aigòs', la Capra. Ecco quindi che questo scudo della dea, fatto della pelle di capra del Gigante Pallante, si orna della testa della Medusa, offerta da Perseo, attorniata da Lotta (che compare anche nello scudo di Achille), Paura (come nello scudo di Agamennone), Forza e Inseguimento, come ci dice Omero (qui nella versione di Vincenzo Monti) nel Libro V dell'Iliade, vv. 729-742
Né Minerva s'indugia. Ella diffuso
il suo peplo immortal sul pavimento
delle sale paterne, effigïato
peplo, stupendo di sua man lavoro,
e vestita di Giove la corazza,
di tutto punto al lagrimoso ballo
armasi. Intorno agli omeri divini
pon la ricca di fiocchi Egida orrenda,
che il Terror d'ogn'intorno incoronava.
Ivi era la Contesa, ivi la Forza,
ivi l'atroce Inseguimento, e il diro
Gorgonio capo, orribile prodigio
dell'Egìoco signore. […]
Quindi per Omero la testa della Gorgone è posta sull'Egida, che qui chiaramente è una sorta di armatura, o comunque una sopravveste del torace.
Ma in altre versioni questa (maledetta) testa si trova sul suo scudo.

Dobbiamo rifarci al mito di Perseo e la Medusa, la più conosciuta tra le tre sorelle Gorgoni.
Ricordiamo che tutto partì da una delle tante 'promesse incaute' del mito (e della fiaba): Perseo, figlio di Zeus
Atena e il suo scudo
e Danae, non poteva fare un dono di nozze a re Polidette, quindi si offrì di procurargli qualunque cosa il re avesse chiesto. Forse Polidette sorrise a quelle parole: in fondo le dichiarate nozze con Ippodamia erano solo uno modoper attirare Perseo nella trappola che avrebbe dovuto eliminarlo e consentire al re di prendere Danae, il suo vero obiettivo. Sia come sia, il re costrinse Perseo ad andare alla ricerca della testa della Gorgone. Il mostro era uno dei più pericolosi: era in grado di trasformare in pietra qualunque creatura vivente avesse incrociato il suo sguardo.
Ma l'eroe non era solo: la sua sorellastra Atena, che aveva motivi di rancore verso la Medusa, gli diede indicazioni e oggetti in grado di aiutarlo nell'impresa. Tra i vari oggetti, l'eroe ricevette uno scudo da Atena. Non aspettiamoci descrizioni su cosa ci fosse raffigurato: contava solo che il suo bronzo era talmente lucido che poteva fungere da specchio. Così, quando l'eroe si avvicinò alla Gorgone dormiente ed essa di alzò per attaccare, lui vide solo il suo riflesso nello specchio: il potere pietrificante della Medusa era vano se non la si guardava direttamente, e Perseo la decapitò senza problemi.
La testa però mantenne il suo potere: con essa Perseo pietrificò il titano Atlante che lo aveva insultato, il mostro Ketos per salvare Andromeda, e poi la usò per sconfiggere Polidette. Infine Perseo la donò alla sua dea protettrice e, come detto, Atena la collocò al centro del suo scudo... o della sua Egida.

Uno specchio di bronzo da una necropoli calabrese

Alcune piccole note
QUI potete trovare alcuni punti della discussione su come Cratete di Mallo (ripreso da Eustazio) avesse interpretato lo scudo di Agamennone, e le sue relazioni con lo scudo di Achille. Secondo l'autore il riferimento cosmico si adatterebbe più a questo scudo (fatto con 'kykloi', stessa parola usata per le orbite celesti) che a quello di Achille (dove le cinque zone sono 'ptykes')

Deimos e Phobos sono i nomi dei satelliti del Pianeta Marte. Hanno una curiosità: sono stati scoperti prima della loro scoperta ufficiale! Jonathan Swift, nei Viaggi di Gulliver (Parte III, Capitolo 3, anno di Grazia 1726) dice che 
They [the Laputians] have likewise discovered two lesser Stars, or Satellites, which revolve about Mars; whereof the innermost is distant from the Center of the primary Planet exactly three of his Diameters, and the outermost five; the former revolves in the space of ten Hours, and the latter in Twenty-one and an Half; so that the Squares of their periodical Times, are very near in the same Proportion with the Cubes of their Distance from the Center of Mars; which evidently shows them to be governed by the same Law of Gravitation, that influences the other heavenly Bodies.
ovvero 
Loro [gli abitanti di Laputa] hanno anche scoperto due stelle minori, o satelliti, che girano intorno a Marte, dei quali il più vicino dista dal centro del pianeta principale esattamente tre volte il suo diametro e il più lontano cinque; il primo compie il suo giro in dieci ore, il secondo in ventuno e mezzo: così che i quadrati dei loro periodi di rivoluzione sono quasi nella stessa proporzione con i cubi delle loro distanze dal centro di Marte, cosa che mostra chiaramente come siano governati da quella stessa legge di gravitazione che agisce sugli altri corpi celesti.
La scoperta "scientifica" di Deimos e Phobos avvenne solo nel 1897 dall'astronomo Asaph Hall attraverso un telescopio, e i loro periodi orbitali (7 ore, 39 minuti e 30 ore, 18 minuti) sono abbastanza simili ai periodi descritti da Swift!
Ringrazio Martin Mystère nn.54 e 55 per l'informazione di partenza, letta in tempi non sospetti!

Da wikipedia  
Fobos percorre un'orbita prograda quasi circolare, inclinata di 1,082° rispetto al piano equatoriale di Marte. Il satellite completa un'orbita in 7 ore e 39 minuti, più rapidamente di quanto il pianeta ruoti su se stesso - in 24,6 ore. Prima della sua scoperta, non era noto alcun satellite con tale caratteristica e Fobos ha continuato a rappresentare un'eccezione fino a quando le sonde Voyager non hanno individuato altri casi analoghi nel sistema solare esterno.
Guerrieri greci (e loro scudi, tra cui uno con la testa di Medusa) dall'Olpe Chigi

Zeus è Egìoco, cioè anche lui è dotato di Egida. Si tratta di uno scudo realizzato da Efesto per il padre, usando la pelle di Amaltea, la capra che allattò il futuro Signore dell'Olimpo: lo scudo era indistruttivile, in grado di resistere alla folgore. Zeus lo usa non come scudo da combattimento, ma come arma: scuotendolo, scatena le tempeste.
Partendo dall'interpretazione di un brano di Esiodo, per altri l'Egida di Zeus è un cerchio di nubi che si addensa attorno al capo di Zeus quando c'è il tuono divino ("Zeus Cupotonante").

Dal corno di Amaltea si ricavò, secondo alcuni, la Cornucopia.

Secondo la versione della Biblioteca dello Pseudo-Apollodoro, per errore la giovane Atena uccise in una lotta simulata la sua compagna di giochi Pallade; addolorata, assunse il nome dell'amica (e da allora fu nota come Pallade Atena) e prese il suo scudo.
La scena sarebbe avvenuta nei pressi del Lago Tritonide, uno sciott dell'attuale Tunisia, un tempo più ampio.

Ricollegando questa vicenda all'Egida di Atena, occorre ricordare che per Erodoto le donne libiche si vestivano con grembiuli di pelli di capra, adornati da frange: un'interpretazione dell'Egida è infatti non tanto lo scudo della dea, quanto una corta corazza con le frange. La testa della Gorgone, secondo questa versione, quindi sarebbe sul petto di Atena, non sul suo scudo.

Lo scudo della statua di bronzo di Atena Promachos era stato realizzato su modello di Parrasio dall'artigiano Mys. Secondo la descrizione di Pausania (I, 28, 2) esso sarebbe stato decorato da una scena di centauromachia eseguita a sbalzo.
Atena e il suo scudo, da un vaso greco
Un'altra celebre statua di Atena con scudo è quella di Atena Parthenos, la dea come "vergine". Si trattava di una statua crisoelefantina (cioè realizzata con oro e avorio), scolpita da Fidia nel 438 a.C. Fu collocata nella parte anteriore del Partenone, il tempio posto all'entrata dell'Acropoli di Atene che proprio da essa prese il nome. Il braccio sinistro della dea reggeva una lancia e poggiava su uno scudo, ornato sul lato esterno dalle scene di una centauromachia e su quello interno da una gigantomachia. Tale scudo aveva un diametro di quattro metri, e nascondeva il serpente Erittonio, sacro ad Atena. La dea indossava il peplo, contraddistinto da pieghe profonde, chiuso con una decorazione che rappresentava Medusa, e l'egida, l'armatura che spesso è presente nelle sue raffigurazioni, ornata al centro dalla testa di una Gorgone.

Se volete saperne di più sulla Medusa, potete consultare il dettagliatissimo sito costruito dall'Università di Bergamo a QUESTO indirizzo.

Dal tronco decapitato di Medusa nacquero i figli che aveva concepito con Poseidone: il cavallo alato Pegaso (Poseidone era legato ai cavalli, e un colpo di zoccolo di Pegaso fu l'origine della fonte Ippocrene) e Crisaore, l'eroe dalla spada (o falcetto) d'oro, padre di Gerione e, secondo alcuni, di Echidna.
 
Secondo alcune versioni, la Medusa non era orrenda fin dall'inizio, ma anzi era una bellissima fanciulla con ancor più splendidi capelli. Poseidone si invaghì di lei, e la sedusse in un tempio di Atena. La dea, irata per il sacrilegio, trasformò i capelli in un groviglio di serpenti, i suoi denti divennero zanne e il suo sguardo capace di pietrificare.
Poi la dea pianificò la morte di Medusa come vendetta finale.
La canzone Medusa Cha cha cha di Vinicio Capossela ci ricorda che siamo in arretrato di troppe analisi sulle canzoni mitiche del nostro aedo...
 

mercoledì 13 novembre 2013

NEKIYA - I CANI DELL'INFERNO

 

  IL CUSTODE DELL'ETERNITA'

 Mi è capitato di leggere la notizia del ritrovamento a Pamukkale (ehi, ci sono stato in viaggio di nozze!) di una grotta che era una delle porte degli Inferi. (la notizia la trovate QUI)

A guardia c'era una statua di Cerbero e questo, oltre al mese di novembre così legato ai defunti, mi ha fatto muovere la mente verso i legami tra mondo dei morti e cani, al significato della custodia della casa eterna e della fedeltà come garanzia dell'eternità.

Avessi tempo, quanto sarebbe interessante analizzare il ruolo del cane come entità negli Inferi!
Sarebbe troppo facile e troppo lungo, citare l'egizio Anubi (che, nella realtà, è uno sciacallo) o la triplice Ecate dai latrati di cagna o accompagnata da mute di cani infernali. Rileggendo le Eumenidi di Eschilo ritroverei le Erinni descritte come cagne, affrontando il Mabinogion i Cwn Annwn del mito celtico di Arawn e Pwyll...

E come potrei dimenticare che il vedico Yama, il primo uomo divenuto dio della morte (Yami nell'Avesta), ha come emissari il gufo, il piccione e soprattutto i due cani Saramei?
Essi sono figli di Sarama, la cagna di Indra, e custodiscono il sentiero che porta a Yamapura, la città dalle quattro porte residenza del re dei Morti, posta  all'estremo sud, ai confini della terra, e aiutano le anine degli uomini retti a raggiungere i luoghi prestabiliti.
Garmr dal mio amato Dei, draghi ed eroi
della Mitologia Vichinga


Dalle nebbie delle mie giovanili letture mitiche emergerebbe poi Garmr, il cane dello Hel, colui che uccide Tyr il giusto, fantasma norreno di uno Zeus\Iuppiter\Dyaus Pitar indoeuropeo.

E, chiudendo con un cerchio, forse che non ricordarei le diverse versioni di Cerbero dalle tre teste figlio di Tifone ed Echidna, dal rapido accenno nel Canto XI dell'Odissea a Virgilio e a Dante?

Infine, citerei le trasformazioni del mito, i ricordi di questo legame che troviamo negli Segugi Infernali della tradizione britannica, in Herne il Cacciatore e perfino nel boccacesco Nastagio degli Onesti... fino al Fufi di Harry Potter.

Ma il tempo è tiranno, gli scudi mitici incombono, così come altre imprese.
Un "saggio sul mito e la struttura del tempo" (non perduto) assorbe i miei momenti liberi con la sua mole di spunti e di geniali interpretazioni. Come una macina di mulino (di Amleto), schiaccia tutto ciò che non  è destinato a lui!

Per cui... ecco solo alcuni passi che ho trovato qua e là, dedicati a queste strane creature, i Cani dell'Inferno.

Eneide, vv 417-425, nella traduzione di G. Bonghi
L'enorme Cerbero col suo latrato da tre fauci rintrona questi regni giacendo immane davanti all'antro. La veggente, vedendo ormai i suoi tre colli diventare irti di serpenti gli getta una focaccia soporosa con miele ed erbe affatturate. Quello, spalancando con fame rabbiosa le tre gole l'afferra e sdraiato per terra illanguidisce l'immane dorso e smisurato si stende in tutto l'antro. Enea sorpassa l'entrata essendo il custode sommerso nel sonno, e veloce lascia la riva dell'onda donde non si può tornare.

Apuleio, Metamorfosi, VI, XIX
Canis namque praegrandis teriugo et satis amplo capite praeditus immanis et formidabilis tonantibus oblatrans faucibus mortuos, quibus iam nil mali potest facere, frustra territando ante ipsum limen et atra atria Proserpinae semper excubans seruat uacuam Ditis domum.

Un cane enorme, con una triplice testa in proporzione, gigantesco e terribile, che con fauci tonanti latra contro i morti, cui peraltro, non può fare alcun male, cercando di terrorizzarli senza motivo, e standosene sempre tra la soglia e le oscure stanze di Proserpina, custodisce la vuota dimora di Dite.
Cerbero per Dorè
Dante, Commedia, Inferno. Canto VI (vv. 9-33)
Io sono al terzo cerchio, de la piova \ etterna, maladetta, fredda e greve; \ regola e qualità mai non l'è nova. \\ Grandine grossa, acqua tinta e neve \ per l'aere tenebroso si riversa; \ pute la terra che questo riceve. \\ Cerbero, fiera crudele e diversa, \ con tre gole caninamente latra \ sovra la gente che quivi è sommersa. \\Li occhi ha vermigli, la barba unta e atra, \ e 'l ventre largo, e unghiate le mani; \ graffia li spirti ed iscoia ed isquatra. \\ Urlar li fa la pioggia come cani; \ de l'un de' lati fanno a l'altro schermo; \ volgonsi spesso i miseri profani. \\Quando ci scorse Cerbero, il gran vermo, \ le bocche aperse e mostrocci le sanne; \ non avea membro che tenesse fermo. \\ E 'l duca mio distese le sue spanne, \ prese la terra, e con piene le pugna \ la gittò dentro a le bramose canne. \\ Qual è quel cane ch'abbaiando agogna, \ e si racqueta poi che 'l pasto morde, \ ché solo a divorarlo intende e pugna, \\cotai si fecer quelle facce lorde \ de lo demonio Cerbero, che 'ntrona \ l'anime sì, ch'esser vorrebber sorde.





Grimnismal str. 44 cit in Edda di Snorri, Rusconi 1975-1988
il frassino Yggdrasill \ è il migliore fra gli alberi, \ Skidhbadhnir fra le navi, \ Odhinn fra gli dei, \ Sleipnir fra i destrieri, \ Bifrost fra i ponti, \ Bragi fra i poeti, \ Habròk tra in falchi, \ fra i cani Garmr

Edda di Snorri, 51
"Allora sarà libero anche il cane Garmr che è legato davanti a Gnipahellir; è il più grande dei mostri: combatterà contro Tyr e sarà la morte di entrambi"

Voluspà
« Feroce latra Garmr \ dinanzi a Gnipahellir: \ i lacci si spezzeranno \ e il lupo correrà. »



Per dilettarvi sui legami tra cani e regno dei morti, sfrucugliate in questo post

Le immagini sono tratte da QUI, QUI, e QUI: non mi appartengono e sono poste a semplici corredo del post. Questo blog non ha fini di lucro.

sabato 2 novembre 2013

SCUDI MITICI 1 - LO SCUDO DI ACHILLE

 LO SCUDO DI ACHILLE


Abbiamo parlato QUI di come gli scudi dei Sette Contro Tebe siano stati concepiti dal poeta Eschilo come strumento di propaganda da parte degli assalitori.
Ma non possiamo dimenticare che, a prescindere dall'uso drammatico che ne fa il poeta Maratonomaco, come abbiamo accennato questi scudi fanno parte di una tradizione poetica più antica.

La prima grande prova di uno scudo mitico è quella descritta da Omero nel libro XVIII dell'Iliade [1] con una ekphrasis (ovvero una descrizione) che avrebbe fatto scuola nell'epica.

La situazione è forse nota anche al grande pubblico: Achille nella sua ira si era ritirato dalla guerra contro i Troiani; ma quando Ettore arriva a minacciare di incendiare le navi dei Greci, il Pelide autorizza l'amico Patroclo a indossare le sue armi, a fingersi lui, e a cacciare i nemici. Il destino di Patroclo è segnato: Ettore lo uccide e lo spoglia delle armi. A questo punto Achille torna in battaglia, deciso a vendicarsi, ma non lo può fare perché è disarmato.

Ma come, direte voi: Achille? Quello che era invulnerabile tranne il tallone?
Ebbene, Omero tace questa invulnerabilità; anzi, nel poema Achille viene ferito dall'ambidestro Asteropeo [2].



Così, benché sia tamente forte che la prima volta era bastata la sua apparizione furibonda e improvvisa sul campo di battaglia per mettere in fuga i troiani che lottavano attorno al corpo di Patroclo, Achille ha necessità di armi degne di lui per affrontare gli avversari nel round successivo, quando non poteva contarepiù sull'effetto sorpresa.
Come altre volte nel poema, Achille chiede aiuto a mamma Teti; e lei si rivolge ad Efesto, il fabbro degli dei. Lo zoppo signore del fuoco ha un debito di riconoscenza verso Teti e le Nereidi: quando Zeus lo scagliò giù dall'Olimpo, furono proprio le ninfe del mare figlie di Nereo a soccorrerlo.
Così il fabbro divino, sostenuto dalle fanciulle di metallo che ha creato personalmente, si mette subito al lavoro.

Efesto fabbricò l'armatura, l'elmo col cimiero dorato e gli schinieri, ma l'arte di queste armi viene liquidata con poche parole; ben di più sono spese per il grande scudo tondo decorato a sbalzo, che fu fatto per primo.
Era un'opera d'arte, realizzata con cinque zone [3] in cui vengono rappresentati diversi aspetti del mondo; oro e argento erano stati usati in profusione.

Ma cosa appare nello scudo?
Innanzitutto molte cose che non ci aspetteremmo da un oggetto che identifica quanto e più del cimiero il guerriero in battaglia.

Al centro domina l'elemento cosmologico: la terra, il mare, il cielo, il Sole "infaticabile", e la "tonda" Luna, e gli astri della volta celeste. Tra essi le costellazioni delle Pleiadi e quella delle Iadi; "la stella di Orione" (Rigel? Betelgeuse?) e l'Orsa Maggiore da esso divisa "dai lavacri del mare", a ruotare attorno al polo.

Ecco poi attorno due belle città fatte dagli uomini. Nella prima ci sono banchetti e nozze, e un corteo che accompagna le spose, con giovani che suonano e cantano. Sempre in quella, ma da un'altra parte si raduna una folla per un caso di omicidio: un uomo dichiarava di aver pagato il guidrigildo, l'altro lo negava; la folla si divideva tra i due partiti, i banditori cercano di placare il tumulto; infine gli araldi con lo scettro in mano emettono il giudizio, e impongono che la parte vincitrice abbia diritto a un doppio talento d'oro.
Due eserciti sono intorno alla seconda città, indecisi se distruggere la rocca fin dalle fondamenta o dividersi le ricchezze; ma la città resiste e organizza una controffensiva sotto la protezione di Atena ed Ares; a un fiume i razziano dei buoi e uccidono i bovari. A questo punto gli assalitori mandano la cavalleria che raggiunge i predatori e scoppia un battaglia, dove Eris, il Tumulto e la Chera regnano sovrani.

Poi ecco un campo arato per la terza volta da numerosi aratori con i loro buoi; e al termine del solco, ecco che i contadini si godono un buon boccale di vino prima di riprendere la fatica; dietro di loro la terra arata era fatta d'oro.
Segue un campo dove si falciano le spighe mature sotto la supervisione del re, mentre sotto una quercia si prepara il banchetto per i lavoratori. E ancora un vigneto con tralci fatti d'oro su pali d'argento, e giovani e rzgazze che portano in canestri i frutti al suono di cetre e zufoli.

Ecco poi una mandria di giovenche in oro e stagno, che si abbeverano in un fiume; le sorvegliano quattro pastori fatti d'oro con nove cani; ma due leoni si avventano sugli animali e feriscono un grande toro. I pastori ed i cani accorrono a salvarlo, ma le fiere lo hanno già trascinato tra le canne presso il fiume.
E ancora il fabbro aveva raffigurato una bella valletta, dove tra capanne e ovili pascolano le greggi.

Conclude una danza uguale a quella composta da Dedalo per Arianna sull'isola di Creta. Ragazzi e ragazze ballano inghirlandati; è un ballo in tondo, simile al movimento che il vasaio imprime al tornio; la folla osserva compiaciuta, e completano il quadro due danzatori (kubistetère, lett.: "saltimbanchi, acrobati") in pose diverse.

Infine sul bordo esterno dello scudo c'era il grande fiume Oceano.

Insomma: tranne la scena della città assediata (eco di qualche episodio dei primi nove anni di Guerra Troiana?) abbiamo ben poco di guerresco. E, ci pare, ben poco che possa essere ricondotto ad Achille stesso, alla sua patria Ftia di Tessaglia, o alla sua stirpe [4].

Quale può essere una delle interpretazioni dello scudo?

Intanto occorre dire che, pur differenziando le scene, il poeta non è chiaro nell'indicarci in quale delle zone concentriche di trovi ciascun aspetto.
Possiamo immaginare il cielo al centro e l'Oceano attorno, ma le altre tre zone sono più problematiche.
Sopra le abbiamo divise secondo le città, la campagna coltivata, l'allevamento, ma il tema della danza sembra esterno a quello della pastorizia.
A meno che, per far tornare i conti, non consideriamo insieme la danza e l'Oceano. Oppure ancora, come accade in alcune rappresentazioni che anche qui vi riportiamo, nel numero dei cinque cerchi includiamo anche le linee di separazione (per cui le zone effettivamente a sbalzo sarebbero in definitiva solo tre).

Sia come sia la divisione, lo schema dello scudo è una raffigurazione del Kosmos garantito da Zeus e dagli altri Olimpi. Si parte dal cielo al centro (possiamo immaginare che, in una non-prospettiva significhi che sta sopra tutto il resto) e si arriva all'Oceano che circonda la terra degli uomini, la oikoumène.
Degli uomini vengono rappresentate le conquiste sociali (la famiglia, i riti, la giustizia) ma anche gli aspetti della guerra: in fondo si tratta dello scudo di un eroe, e la bravura in battaglia era uno dei valori della nobiltà achea. Ci sono anche le "conquiste del lavoro" (l'agricoltura del grano nelle sue fsi e la vendemmia; l'allevamento di bovini e ovini).

Resta da interpretare la danza. Essa, come è abituale, che sembra un chiaro simbolo di armonia.
Ma armonia di cosa? Semplicemente degli uomini impegnati nel divertimento o nel rito?

A questo proposito ci si deve chiedere quale sia il choros, la danza che Dedalo insegnò ad Arianna.
I due saltimbanchi che cita Omero ci attirano irresistibilmente a vedere in essi l'eco degli affreschi della Creta minoica, con le acrobazie sul toro. E il legame toro\Minotauro\Labirinto (creato da Dedalo) è troppo noto per doverlo ricordare qui.

Però c'è un altro elemento: nel mito di Teseo a Creta si parla della "Danza delle Gru" rappresentata dai giovani ateniesi dopo la loro fuga, a imitazione delle svolte del Labirinto.
Ora: Dedalo era un ateniese. Che legame si può trovare tra le due danze?

Innanzitutto dobbiamo dire che la parola greca "choros" significa sì "danza", ma può essere anche "il LUOGO della danza".
Dedalo, tra le varie abilità, è un costruttore: a lui si attribuisce l'edificazione del Labirinto, e la danza degli ateniesi vuole riprodurre proprio il luogo da cui sono fuggiti...
Forse Dedalo si era limitato a creare lo spazio in cui danzare, con qualcosa che segnasse il percorso dei danzatori stessi. La "danza insegnata da Dedalo" non sarebbe quindi nulla di diverso dalla successiva "Danza delle Gru"

Robert Graves [5] ricorda (senza citare la fonte) che a primavera si svolgeva una danza erotica della pernice in onore della dea-Luna; durante essa i danzatori maschi saltellavano quasi zoppicando e portavano delle ali posticce; tale tradizione era ancora viva in Palestina all'epoca di San Gerolamo.
Le ali dei danzatori riconducono a Dedalo (e Icaro), la zoppìa ad Efesto; Arianna sembra uno dei tanti nomi dietro il quale si nasconde la dea della Luna [6].

Se l'artefice Dedalo insegna il ballo dello zoppo Efesto alla dea, quest'ultima scena non ci deve stupire: Dedalo è l'artefice per eccellenza, non solo l'architetto o il geniale inventore della tecnica del volo.
Dedalo, per lo meno in alcuni aspetti sembra una proiezione di Efesto stesso [7], dio del fuoco, ma anche fabbro in grado di creare automi che lo sostengono e lo aiutano nel suo lavoro.
Infatti anche il genio ateniese costruisce meccanismi: su richiesta di Minosse che voleva un guardiano per l'isola, egli realizza Talo, gigante di bronzo dalla testa di toro che ha le caratteristiche di Efesto (il fuoco con cui si arroventa il corpo per stringere in un abbraccio mortale i nemici; l'automatismo; secondo Graves la zoppia) e che ha come punto debole la vena che dal tallone (!) arriva fino alla sua testa...[8]

Torniamo al ballo della gru di Teseo e dei suoi compagni: come ci ricorda la novella di Chichibio e Currado Gianfigliazzi, la caratteristica della gru è quella di riposare su una gamba sola. Possiamo spingerci a semplificare e dire che si tratta di un ballo "quasi" saltellante di danzatori con le ali?
Forse no.
Innanzitutto la pernice [9] non è una gru (c'è una bella differenza, come si vede dalle immagini), benchè sia comunque una creatura del cielo.
La gru


La pernice



Possiamo trovare in questa danza un richiamo alle stelle, per iniziare e chiudere l'immagine dello scudo con riferimenti celesti?
La faccenda è assai discussa. Intanto il movimento che viene descritto, di venirsi incontro ed allontanarsi, sembra riprodurre una sorta di "ballu tundu" sardo (ma anche alcune danze tradizionali greche).
Poi l'enciclopedico Plinio il Vecchio [10] ci dice che le gru in cattività si danno a comportamenti sfrenati e "anche da sole fanno giri correndo in modo indecoroso".

Kàroly Kerenyi, nel suo saggio "Nel Labirinto", collega l’origine del labirinto con le più antiche danze a spirale.
Esse si riscontrano in molte culture anche distanti geograficamente tra loro: ad esempio la polinesiana "Danza Maro". Sembra che nella “Danza delle Gru” venissero utilizzate delle funi, che conducevano i danzatori prima verso l'interno e poi di nuovo verso l’esterno. La direzione resta la medesima: arrivato al centro della spirale, il ballerino si volge indietro proseguendo un movimento che fin dall’inizio girava intorno ad un centro invisibile. Da quando però il danzatore inverte il movimento, la direzione non è più verso la “morte” bensì verso la “nascita”.
In sintesi: l'ingresso nel Labirinto riprodotto dalla danza sarebbe una classica "discesa negli Inferi"; l'uscita la celebrazione della vita (l’uscita dal labirinto, il salvataggio).
Kerenyi associa l’idea del volo delle gru all’idea di “continuazione infinita”, di “ritorno” (le gru sono uccelli migratori), come indicherebbero i movimenti della spirale e le danze labirintiche (ed anche il gomitolo di Arianna e le funi usate nelle danze).




Ecco, il "ruotare", il cerchio perfetto, il ritorno eterno simboleggiato dal percorso degli astri... ecco, forse, l'elemento dominante: ruota l'Orsa attorno al Polo, ruota la danza come il tornio del vasaio, ruota l'Oceano attorno alla Terra, lo scudo è rotondo, e quindi rotante... Perfino Talo, secondo Graves [11] era detto "Circino" ovvero "circolare".
La danza è forse quella con cui Eurinome generò il mondo [12] o quella con cui Eros Primigenio compì lo stesso atto [13].

Come in un circolo perfetto, nello scudo di Achille si parte dal cielo e si torna al cielo.
Esso, insomma, non è solo un pezzo di armatura: è una concezione del mondo.

Un'altra arma di Achille, cantata dal Mitiko Vincio

[1] vv. 478-607
[2] Iliade XXI, 147 e segg.. Achille viene ferito al gomito. Vi sono frammenti di mito che parlano del ferimento di Achille da parte di Elèno al polso con una freccia, e una versione discordante da Omero dice che Ettore riuscì a colpirlo al femore. Paride lo colpì con una freccia al tallone (ma il vero uccisore era stato Apollo) e lì possiamo immaginare una morte per setticemia.
[3] il testo dice "pènte d'ar' autoù èsan sàkeos ptùches", "cinque erano le ripiegature\strati(di metallo) di quello scudo", e in ciò si è voluto vedere dei cerchi concentrici; per chi volesse trovare a tutti i costi citazioni mitiche, anche Atlantide era la "città dei 5 cerchi", su un'isola circondata dall'Oceano.
[4] il padre Pèleo era figlio di Eaco di Egina; la madre Teti era una delle figlie del "Vecchio del Mare" Nereo.
[5] Graves, I miti Greci, 92.2
[6] Graves, op. cit., 98.5
[7] anzi, in Graves, op. cit. 92.7 viene data l'identità tra i due: "Efesto e Dedalo sono infatti lo stesso personaggio mitico".
[8] Su Talo vedi Graves, op cit. 97.1 dice che un suo soprannome era "Tantalo", ovvero "lo zoppicante". La versione più nota della morte di Talo è quella contenuta nel Libro Quarto delle Argonautiche di Apollonio Rodio, ma una versione discordante dice che Peante figlio di Taumaco lo colpì al tallone con una freccia! E, fuoco per fuoco, fu lui ad accendere il rogo di Eracle che per ricompensa gli diede frecce e arco (di solito questo ruolo, e il dono viene dato a Filottete, il vendicatore di Achille). Anche Chirone fu colpito da una freccia di Eracle al ginocchio.
[9] Non dimentichiamo che la sorella di Dedalo, secondo alcune versioni, si chiamava Perdix, "Pernice"; era madre del primo Talo, a sua volta inventore, ucciso dall'invidia dello zio Dedalo che per questo omicidio fu cacciato in esilio. Suida e Fozio riferiscono che alla sua morte, l'anima di Talo volò in cielo sotto forma di pernice.
[10] Plinio, Naturalis Historia, X, 30, 59
[11] Graves, op. cit., 92.9
[12] Plinio, Naturalis Historia IV 35 e VIII, 67.
[13] Luciano di Samosata, De Saltatione: "Fammi dire che i migliori studiosi di antichità rintracciano nella danza la creazione dell’universo; la danza è nata con Eros Primigenio, che fu il principio di ogni cosa. Nella danza dei corpi celesti, nelle complesse evoluzioni che si accordano tra loro, i pianeti si muovono in armoniosa relazione con le stelle fisse."

Per ulteriori approfondimenti sulla Danza delle Gru e i suoi significati, si rimanda a questi siti QUI e QUI


Immagini, testi e video appaiono a commento dell'analisi e non sono di mia proprietà, bensì degli aventi diritto. Questo blog non ha fini di lucro.

domenica 20 ottobre 2013

Citazioni citabili - Promesse



(Solo gli dei possono promettere, perché sono immortali)
(J.L. Borges, Elogio dell'Ombra, The meaning of gift)

Anche se sulle promesse di dei come Odino ci sarebbe da discutere.

domenica 13 ottobre 2013

I SETTE CONTRO TEBE - UN INDICE

Il titolo del film di Roy Ferguson non inganni!
Si tratta di una storia che poco a che fare con i nostri Sette...



 I SETTE CONTRO TEBE:

UN INDICE


Di seguito i post dedicati ai Sette a Tebe nel 2013

a) Brani tratti da "I Sette a Tebe" di Eschilo
1.Tideo
2. Capaneo
3. Etèoclo
4. Ippomedonte
5. Partenopeo
6. Anfiarao
7. Polinice
b) I Sette a fumetti

c) Riflessioni finali

L'immagine non mi appartiene ed è a corredo della critica. Questo blog non ha fini di lucro.

I SETTE CONTRO TEBE - RIFLESSIONI FINALI

I Sette a Tebe

una interpretazione

Finalmente (dirà qualcuno) si porta a termine la lunga vicenda dei Sette a Tebe di Eschilo, illustrata in diversi post che hanno ripreso frammenti del testo eschileo nel corso del 2013.

Perché Eschilo scrisse i Sette a Tebe?
Siamo nel 467 a.C., l'anno della rivolta di Nasso e della progressiva trasformazione della Lega Delio-Attica da strumento di difesa contro il Persiano a strumento di dominio per Atene; nel 471 Temistocle è stato ostracizzato, e nel 469 Sparta ha sconfitto Argo, facendosi minacciosa nei confronti di Atene.
Il poeta Eschilo, guerriero a Maratona [1] narra ancora di una guerra, dopo quella cantata nei Persiani. Racconta di una città assediata, di un nemico implacabile che avanza, delle scelte che i cittadini devono affrontare per sopravvivere. Una realtà non diversa da quella che aveva vissuto Atene nella Guerra contro Serse, e che avrebbe presto rivissuto nella Guerra del Peloponneso.

Tra le diverse tragedie eschilee, il titolo è singolare: tra quelle sopravvissute, abbiamo tragedie che si intitolano secondo il coro (Persiani, Supplici, Coefore, Eumenidi, più i drammi satireschi dei Pescatori e degli Spettatori\Atleti ai Giochi Istmici) o secondo i protagonisti (Agamennone e Prometeo incatenato).
Frammenti e citazioni ci ricordano un Laio, una Alcmena, gli Egiziani... tutti personaggi che ci aspettiamo in scena, attori o spettatori del dramma.

Ebbene: noi non vediamo in scena i Sette.
Qui non c'è la scelta fatta nei Persiani: entrare nel campo dei nemici e vedere la loro umanità e le conseguenze della loro follia.
Le donne tebane del coro li scorgono da lontano, oltre le mura; il messaggero li ha osservati e viene a riferire; Eteocle li affronterà in battaglia.
Ma i Sette campioni argivi rimangono sullo sfondo, un'ombra inquietante e minacciosa ben più di quella di Dario o di un Serse vestito di stracci.

Perché la tragedia è quella dei Sette, allora?

Non era certamente una scelta di marketing ante litteram che pretendeva un nome famoso per attirare spettatori: bastava citare Etèocle, e l'esigente pubblico ateniese avrebbe avuto ben chiaro quale sarebbe stata la trama principale. E, nonostante tutto, in apparenza il dramma è in gran parte la tragedia di Etèocle, re di Tebe, l'eroico difensore della patria costretto dalla sua stessa hybris a combattere contro il fratello, a portare avanti una maledizione implacabile.
Ma il titolo richiama i Sette. E' la tragedia dei Sette.

Ancora una volta: perché?

La scelta di postare su questi spazi le descrizioni dei sette campioni, e dei loro scudi, non è stata casuale.
E' stata fatta perché ritengo sia la chiave di lettura scelta per interpretare questo titolo in apparenza enigmatico.

La descrizione dei campioni avversari segue un medesimo schema, ripetuto sette volte con minime variazioni: porta attaccata, nome del campione, breve descrizione, scudo, Eteocle che fa una scelta ragionata ma sicura del capitano tebano da contrapporre, commento del coro, invocazione agli dei perché Tebe prevalga contro il nemico.

Perchè lo scudo?
La tradizione della descrizione delle armi è tipica dell'epica. Come dimenticare il meraviglioso scudo di Achille [2] o quello di Eracle [3]? La tradizione passa, appunto, per gli scudi dei Sette per culminare in quello che Vulcano fabbrica ad Enea [4].
Ma c'è una differenza tra gli scudi di questi eroi e gli scudi degli argivi: nello scudo di Achille si esaltano le creazioni dell'uomo e scene bucoliche; in quello di Enea i momenti gloriosi che attendono i romani, discendenti dell'eroe; in quello di Eracle l'orrido si alterna al bucolico, nell'esaltazione della stirpe del figlio di Zeus. Intorno a questi scudi, l'Oceano con i suoi animali.
Questi scudi rappresentano, dunque, uno specchio, un'interpretazione del mondo nei suoi aspetti positivi e negativi [5].
Lo scudo è un elemento di difesa [6], ma è anche il pezzo "propagandistico" più visibile, e che viene presentato al nemico.
E allora rivediamoli, questi scudi dei Sette, in un ordine che, salvo un'eccezione, è quello della tragedia. Dopo ciascuno descriveremo anche le caratteristiche del campione tebano che lo affronterà e il dio invocato da Eteocle come protettore.

1. Lo scudo di Tideo. Il più basso e il più feroce dei Sette, questo Wolverine in nuce, ha un cielo stellato e una grande luna piena. Il suo scudo è definito "hupèrfron" "superbo" dal messaggero [7], ed Etèocle spiega il perché : "Quando uno muore, infatti, la notte cade sopra ai suoi occhi" [8]. Lo scudo di Tideo è una minaccia, una minaccia di morte. Ed è superbo: Tideo pensa di essere al di sopra di tutto, di poter dare la morte impunemente. E' questa la sua hybris, la presunzione di andare oltre il limite, e gli si ritorcerà contro, come previsto da Etèocle. Perché contro di lui il re di Tebe manda Melanippo figlio di Astaco e discendente degli Sparti tebani; Melanippo è "incapace di azioni ignobili", ed è mandato dalla "Giustizia del sangue". E' Ares il dio che decide chi vive e chi muore nella guerra, ma gli Sparti sono già stati risparmiati da Ares stesso.

2. Lo scudo di Capaneo. Il bestemmiatore per antonomasia è definito "un nuovo gigante", e ha sullo scudo un uomo nudo con una torcia in mano che brandisce come un'arma, e la scritta "Brucerò la città". Nel mito greco i Giganti non sono figure positive e neppure neutrali: sono i nemici degli dei da sconfiggere. Capaneo è un gigante che attacca il kosmos ordinato degli Olimpi (e infatti bestemmia Zeus), sogna di bruciare la creazione per quanto gli è possibile, simile a un Loki o a un Surtur nordico. E' il fuoco distruttore, si crede superiore agli dei. Contro di lui, Eteocle manda Polifonte, che "ama poco cianciare, ma teso e ardente è il suo coraggio"[9]; l'eroe è protetto da Artemide, ma il legame di questa dea con gli accadimenti è poco chiaro; ma insieme alla dea cacciatrice, Eteocle invoca anche Zeus, e infatti Capaneo verrà distrutto dal fuoco "buono", il fuoco del fulmine di Zeus [10].

3. Lo scudo di Eteoclo. Sull'arma c'è un uomo che scala le mura e una scritta che dice che neppure Ares riuscirà a buttarlo giù dalle mura. Lo scudo è simile a quello di Capaneo, e la bestemmia è simile. Lo scalare le mura ci ricorda l'orgoglio di chi infrange il "sacro cerchio", il pomerium ci verrebbe da dire, novello Remo: ed Etèoclo sarà punito da Megareo, figlio di Creonte. Non si nomina il dio protettore del campione tebano (il Coro genericamente invocherà Zeus vendicatore, invocazione che tornerà altre volte). Questo è forse il duello con meno caratterizzazioni tra tutti, e infatti Etèoclo è il campione tradizionalmente "meno rilevante", tant'è che in altri elenchi viene sostituito da Adrasto stesso o da Mechisteo [11].

4. Lo scudo di Ippomedonte. E' lo scudo più blasfemo: in esso è rappresentato Tifone, il nemico degli dei. Contro di lui Eteocle sa che agirà per prima Atena Onca in persona, e poi l'eroe tebano Iperbio, che sul suo scudo ha Zeus folgorante, il distruttore di Tifone. A farli scontrare sarà Ermes, un altro protagonista della sconfitta di Tifone [12].

5. Lo scudo di Partenopeo. L'eroe ha una lancia "che venera più degli dei", è figlio di due empi (Atalanta e Melanione), e a sfregio dei Tebani sul suo scudo ha l'immagine in sbalzo della Sfinge che ha tra le grinfie un tebano; il ragazzo quasi imberbe e crudele spera che le frecce dei difensori colpiscano il disegno del tebano, così che per una magia simpatica i difensori si indeboliscano da soli. Contro di lui Eteocle manda Attore fratello di Iperbio, guerriero "che non conosce spvalderie, ma il cui braccio mira diritto all'effetto" [13]. Il re di Tebe non cita divinità particolari che intervengano in questo duello.

6. Lo scudo di Polinice. Il fratello di Eteocle è in realtà citato come settimo campione per esigenze drammatiche, ma qui lo nominiamo prima di Anfiarao per ragioni che saranno poi chiare. Sul suo scudo "nuovo, perfetto e rotondo" c'è un guerriero condotto da una donna, ovvero Dike, la Giustizia; una scritta dice "Condurrò questo guerriero: riavrà al sua città e tornerà alla casa del padre" [14]. Contro di lui andrà Eteocle, perché questo è il destino dei maledetti discendenti di Laio, e la Giustizia sarà al suo fianco, a meno che il suo nome non sia falso.

7. Lo scudo di Anfiarao. L'indovino biasima Tideo e Polinice, i responsabili della guerra in cui sa già che dovrà morire: biasima più i suoi alleati che gli avversari. E' l'unico del Sette a non essere empio, a non distorcere simboli sacri per scopi malvagi. E infatti il suo scudo è privo d'insegna "perché non vuole apparire, ma essere valoroso". Anfiarao è l'unico a mettere in imbarazzo Eteocle, perché non è uno dei nemici "empi, arroganti e violenti" [15]: è un avversario "saggio giusto valoroso e pio". Eteocle lo rispetta, e manda controdi lui Lastene, che sembra il compendio di tutte le virtù: "ha la mente saggia di un vecchio, ma il suo corpo è un fiore di giovinezza". Nessun dio specifico viene nominato, perché Apollo Lossia ha già parlato per mezzo dei suoi oracoli, e il destino di Anfiarao è già scritto.

Riassumendo: i Sette, attraverso i loro scudi, mostrano la loro empietà. Invocano potenze negative (Tifone, la Sfinge), o mostrano presunzione e blasfemia, o distorcono il senso della Giustizia. Solo Anfiarao non mostra nulla, perchè sa che la spedizione è condannata in partenza dagli dei proprio per la sua malvagità intrinseca.

Lo scontro tra tebani e argivi non è solo una guerra per la sopravvivenza di una città, una guerra umana: è il simbolo di un conflitto cosmico, in cui i cittadini assaliti sono le forze del bene, del kosmos voluto dagli dei, e gli assalitori i rappresentanti del male, fieri di essere tali. I Sette parlano, si vantano, fanno propaganda sperando di vincere prima con la psicologia che con le armi; i tebani sono persone di poche parole e molti fatti, uomini virtuosi, rispettosi degli dei e per questo dagli dei favoriti.
Lo scudo di Achille e quello di Eracle sono scudi che raffigurano il mondo: il fatto che il bordo sia rappresentato dall'Oceano che, secondo Omero circonda l'Oikoumène, la terra abitata dagli uomini, è significativo. Un mondo ordinato dagli dei, in cui compare anche il male, il disordine, ma sotto un ordine superiore.
Gli scudi dei Sette sono scudi "individualisti", malvagi. Non mostrano elementi positivi, costruttivi, eccetto quello di Polinice che, però, ci viene detto essere una deformazione della realtà, una parodia della vera Giustizia.
Non sono il kosmos: sono un'empia minaccia al kosmos.

Ecco perchè questa è la tragedia dei Sette.
I Sette non sono in scena, lo ripetiamo. Ma senza i Sette non ci sarebbe il dramma.
Non solo perché sono il motore dell'azione, ma perchè rappresentano la minaccia del caos, del ritorno al disordine che è insito in ogni vicenda umana. Questa tragedia non racconta la fondazione di un culto o di un ordine, ma la minaccia dell'ordine stesso: non narra di ciò che è stato fatto per sempre, ma di ciò che per sempre sarà a rischio.
Ecco perché il titolo parla dei Sette. Ecco perché è la tragedia più "umana" e "contemporanea i suoi tempi" di Eschilo. Più ancora, paradossalmente, dei Persiani.

Prima gli eroi, e poi i comuni cittadini della Polis devono affrontare queste "forze oscure", queste minacce che possono distruggere il kosmos. Non è solo e non è tanto la tragedia di Eteocle che deve salvare la patria anche a costo di dare un nuovo giro alla ruota della maledizione: è la tragedia di ogni uomo minacciato, che deve scegliere di contrapporsi al male; non è una tragedia sul concetto astratto di colpa, ma una tragedia sul concetto concreto di pericolo.



[1] secondo la tradizione, Eschilo volle che sul suo cippo funerario fosse ricordato solo questo fatto con queste parole
"Eschilo, figlio di Euforione, ateniese, morto a Gela produttrice di grano, questo monumento ricopre: il bosco di Maratona potrebbe raccontare il suo glorioso valore, e il Medo dalle lunghe chiome, che lo conosce."
Non una parola sulla sua poesia immortale.
[2] Omero, Iliade, XVIII, 478-607
[3] Ps. Esiodo, Scutum
[4] Virgilio, Eneide, VIII, 626-731
[5] Vedi un prossimo post... ah!, la costanza che manca!
[6] In nessuno degli scudi mitici si fa accenno a un umbone
[7] "Superbo" non nel senso positivo di "opera superba" come si può trovare in italiano, ma "altezzoso, d'animo altiero"
[8] Eschilo, Sette a Tebe, 403 segg.
[9] Eschilo, Sette a Tebe, 447 segg
[10] Avendo tempo, si potrebbe parlare di Evadne, moglie di Capaneo che si butta nel rogo del marito (già bruciato); e confrontare questo col suttee indù, la dea Sati, la fiamma che annichilisce Semele...
[11] Uno degli Epigoni, Eurialo, è indicato come suo figlio; nei diversi elenchi degli Epigoni non risulta citato un figlio di Etèoclo, salvo errori.
[12] Assieme a Pan.
[13]  Eschilo, Sette a Tebe, 556
[14] Eschilo, Sette a Tebe, 647
[15] Eschilo,  Sette a Tebe, 610 e segg.

Immagini e testi citati non mi appartengono, ma qui compaiono a corredo dell'analisi. Questo blog non ha fini di lucro. 

martedì 1 ottobre 2013

Incontri mitici


Stavolta il duo Mitiko non c'entra nulla, ma il luogo (della sacra tragedia) è lo stesso, e il secondo intervento è assolutamente interessantissimo!
Akòuete, làos!
E accorrete numerosi!

(e scusate per l'abbondare di sibilanti)

domenica 22 settembre 2013

CITAZIONI CITABILI - SuperGODS



Nuovi Dei per l'oggi e il domani.

"Viviamo nelle storie che ci raccontiamo. In una cultura secolare razionale e scientifica priva di una convincente guida spiritual, le storie dei supereroi parlano a voce alta e con coraggio alle nostre più grandi paure, ai desideri più profondi e alle più alte aspirazioni. Non hanno paura di avere speranze, non si imbarazzano ad essere ottimiste e sono assolutamente senza paura nell'oscurità. Sono quanto di più lontano ci sia dal realismo sociale, ma le migliori storie di supereroi toccano direttamente gli elementi mitici dell'esperienza umana che ci riguardano da vicino, in modo fantasioso, profondo, divertente e provocatorio"
Da Grant Morrison, "Supergods" (2011) - Introduzione

Questo post apparirà anche QUI , ovvero The DanG.E.R. Area, il mio blog di fumetti

martedì 10 settembre 2013

CITAZIONI CITABILI - IMPREVEDIBILI RITORNI DELL’EPICA



"… un'intera classe (affollatissima, ma questa era la situazione) di 54 alunni, una dozzina dei quali assumono, col procedere degli avvenimenti, notevole rilievo. A mano a mano che l'autore li introduce, il lettore si rende conto che ognuno di loro riveste più che una psicologia, una funzione. Quando uno di loro entra in scena, De Amicis declina le caratteristiche che lo individuano. Coretti è quello che «indossa la maglia color cioccolata e il berretto di pelo di gatto»; Garrone «è il più alto e il più forte della classe, mangia sempre»; Votini è «vestito bene, anche troppo»; Nobis «è superbo» e via dicendo. La ripetizione degli attributi (come nei poemi antichi) aiuta il lettore a orientarsi nella piccola folla. Ha però anche una funzione più retorica, fa vedere che ci troviamo di fronte non tanto a veri ragazzi in carne e ossa bensì a delle figurine, ruoli che ognuno di loro deve impersonare, al prezzo talvolta dell’inverosimiglianza. Fin dalle prime pagine insomma, Cuore si presenta con le caratteristiche d’una «epopea» o se si vuole della drammaturgia d’agitazione e di propaganda. Come nel teatro dei gesuiti, o di Bertold Brecht, come nell’Odissea, per rifarsi all’archetipo più alto e remoto, la ripetizione serve per confermare al lettore che gli uomini che ha di fronte sono mossi da forze che sfuggono al controllo della volontà, perché obbediscono solo alla funzione che devono svolgere.”
C. Augias, I segreti d’Italia, Rizzoli (Gli italiani visti da dentro)


Un post per dire che la scuola ricomincia, che la formularità dell’epica riemerge in testi che non ci aspetteremmo, e che Mitika riprende. 
Lento pede, ma riprende.


lunedì 29 luglio 2013

Mitiko Vinicio - Excursus

Canti per il capro 
a Siddi



Sabato 27 luglio 2013 ero sulla Giara di Siddi, a Sa dom'e s'orku, una Tomba dei Giganti.

Già il luogo sarebbe bastato ad attirare un mitofan come me, ma l'occasione era speciale: il grande Vinicio Capossela (sì, quello di cui ho parlato QUI) era in concerto!
"Tragodìe - I Canti del Capro" era l'evento culminante dell'ottava edizione di "Appetitosamente - Rassegna regionale del Buon Cibo"

Il nostro era accompagnato da straordinari musicisti, tra i quali spiccava la grandissima voce profonda di Gavino Murgia, e la musica di qualità non è mancata.
Ma il "tocco in più" è stata la cornice naturalistica-archeologica della Tomba: tra il calar del sole e il sorgere della luna si è sviluppato un concerto che si è basato sui testi "mitici" di Vinicio (L'aedo, Dimmi Tiresia, Brucia Troia, Non trattare, Vinocolo, Le Sirene, Calipso...).
E c'è stata una soppressa: il regalo di un nuovo brano inedito, ugualmente d'argomento mitico.
Se non sbagliamo il titolo sarà probabilmente "Uro" e nel brano, dopo il mito classico, Capossela esplorerà quella "Mitologia Primitiva" di cui il mio ammirato Joseph Campbell ha parlato.

La maschera, la mastrucca, musiche cretesi, i campanacci, launeddas, il Ballo di San Vito... come è accaduto nelle ultime volte in cui ho partecipato, il concerto si è sviluppato in crescendo fino al finale coinvolgente e bacchico.

Ecco: la parola chiave credo sia "ho partecipato".

Ai concerti si può andare a sentire, a vedere, a cantare. Ma solo nei concerti speciali si partecipa: come nelle tragedie classiche, saggio è chi si fa ingannare e vive il momento dionisiaco, stolto è chi rimane distante.
Un concerto di Vinicio Capossela è questo: un rito che si ripete e si rinnova, alla ricerca del mito che sempre è.

PS: perfetta l'organizzazione della manifestazione. Complimenti ai gentilissimi ed efficienti cittadini di Siddi!

Un esempio de sa oghe di Gavino Murgia!

PPS: i video non mi appartengono. Questo blog non ha fini di lucro.

domenica 14 luglio 2013

Remyths - I sette a fumetti

Sulla scia di Eschilo abbiamo presentanto i Sette che attaccarono Tebe (Tideo, Capanèo, Etèoclo, Ippomedonte, Partenopeo, Anfiarao e Polinice). Prima di una riflessione su ciò che questo mito sembra voler esprimere, ecco una breve recensione su una sua versione a fumetti uscita qualche tempo fa.
Il tutto dopo la variazione sui Sette nella saga di Atenodoro l'Acheo (di Marica\Volenteroso, inedito) e prima di un film che, vista la carenza di idee Hollywoodiane, prima o poi arriverà.



SETTE + SETTE A FUMETTI

La benemerita "Mytico!" (LINK qui la prima impressione sulla collana e QUI per acquistare gli arretrati) numero 30 - ottobre 2012 riporta la versione Casali \Assirelli\Studio Arancia \Bertelè del mito dei Sette Contro (a) Tebe e degli Epigoni, nell'albo intitolato, appunto "Sette contro Tebe - In cerca di vendetta".

L'albo segue le "convenzioni" della prima stagione di Mytico!: in una pausa della Guerra di Troia si raccontano le storie del mito antecedenti la Grande Guerra. E stavolta il ruolo del narratore non è assunto da Leandros, il "collante" della serie, ma dall'eroe Diomede in persona: Casali, insomma, lascia la parola a uno dei protagonisti.

Nonostante il target di pubblico di Mytico! sia più di preadolescenti che di adulti, in questo episodio le tematiche del meraviglioso e dell'epico lasciano il posto a elementi più "umani" che fantastici. E questo a prescindere da alcune innovazioni nel racconto originario.

Vedremo come questa narrazione a fumetti abbia dovuto giocare con esigenze editoriali di lunghezza dell'albo, ma anche di direzione editoriale: la vicenda viene trasformata nel suo senso profondo, e trasformata in qualcosa di attuale.

Più che di attualizzazione del mito eterno, però, si può parlare di una visione attuale sul tema della guerra partendo dallo spunto mitico. E si tratta di cose diverse.

Racconteremo la trama dell'albo quasi punto per punto


(quindi scusate per gli S P O I L E R),


riservandoci in nota di dare la versione più tradizionale quando gli autori del fumetto si siano discostati dal "canone".

La vicenda inizia in media res, come il numero di pagine richiede: ad Argo, nella reggia di re Adrasto, gli esuli Tideo e Polinice si stanno per affrontare a duello per questioni d'onore. Ma interviene Adrasto e li ferma: osservando le loro armature [1], dove spiccano il simbolo tebano del Leone e quello calidonio del Cinghiale, il re ricorda che l'oracolo di Delfi
ADRASTO
disse che avrei trovato i mariti per le mie figlie quando un LEONE e un CINGHIALE
avessero lottato nel mio palazzo.
Così Adrasto subito "aggioga al proprio carro" le due fiere: concede sua figlia Deipile in sposa a Tideo, e l'altra figlia Argia a Polinice. Questi ricorda ad Adrasto la promessa di riconquistare i regni da cui erano stati cacciati i due novelli generi, e il re acconsente anche per questioni di avidità [2]
ADRASTO 
Sono un uomo di parola, TIDEO. Lo aiuterò...
soprattutto perché Tebe è una città MOLTO ricca..." 
L'indovino Anfiarao, cognato di Adrasto, viene consultato; si oppone vanamente alla spedizione perché Erifile, moglie del veggente, interviene. La donna ricorda il giuramento che i due uomini avevano fatto: in caso di disaccordo lei sarebbe stata l'arbitro. E, come nel mito, si rivela che dietro questa presa di posizione c'era la corruzione: Polinice, su suggerimento di Tideo, ha promesso ad Erifile la Collana di Armonia
POLINICE 
che dona bellezza immortale.
Emerge dal testo che Tideo, a differenza del mito classico, è mosso esclusivamente da ragioni di onore (vuole riconquistare il suo regno, e sa che non potrà farlo prima che Tebe cada) mentre Polinice 
TIDEO
...è malvagio quanto suo fratello
Forse il fatto che il tutto sia narrato da Diomede, figlio di Tideo, che più avanti scopriremo stravedere per il padre, ha il suo peso? [3]

I Sette campioni (quelli citati da Eschilo) si radunano e inizia l'assedio [4]. Continuano le tensioni tra il "puro" Tideo e il duo ambizioso e avido costituito da Adrasto e Polinice [5]. Anzi: l'invio di Tideo a Tebe in qualità di araldo, sembra dovuto più a una sorta di complotto per eliminarlo che all'ambizione di Tideo.
E qui Casali piega il mito alla sua visione: invece della sfida lanciata da Tideo ai campioni di Tebe, Eteocle cerca di farlo uccidere da cinquanta guerrieri, che il padre di Diomede ovviamente elimina facilmente... solo per uscire da Tebe e tornare indietro al campo argivo minvece che prendere la città dall'interno![6]
Così parte l'assalto finale.
DIOMEDE
E fu come i sette fossero SOLI contro TUTTA Tebe


Non aspettatevi epici duelli prolungati e scontri di massa. Tutto viene sintetizzato in sette immagini in cui umanissimi campioni vengono uccisi da  umanissimi difensori; perfino la morte di Capaneo, benché si dica che fu ucciso dal fulmine di Zeus, avviene per opera della spada di Polifonte; e anche lo sprofondare di Anfiarao sottoterra avviene senza la scena del carro e dell'inseguimento di Periclimeno; e quindi anche senza alcuna traccia del futuro  oracolo dell'eroe a Oropo.
Quanto alla vicenda di Tideo, gli autori hanno dovuto giocare con lo spazio a disposizione e con il target di pubblico (supponiamo impressionabile): niente testa mozzata di Melanippo durante lo scontro, ma  il semplice racconto di come Tideo fosse riportato in tenda moribondo e gli fosse stata consegnata la predetta testa. Cosa fece il padre di Diomede con quel cranio tanto da far andar via inorridita Atena venuta in salvezza, ogni lettore lo immagini partendo da una shilouette di Tideo in cui si vedono solo i suoi denti bianchi.[7]

I Sette sono stati sconfitti. Il corpo di Tideo viene riportato ad Argo e bruciato sulla pira: là il piccolo Diomede giura vendetta [8] e dedica la sua infanzia all'addestramento, in vista della rivincita.
Che finalmente arriva al suo quindicesimo anno di età: un vedicativo Adrasto raduna i figli dei Sette, gli Epigoni, "Coloro che vengono dopo" e li spedisce contro Tebe.
Qui Casali si prende più libertà (e più verosimiglianza) rispetto al mito: là dove si parla di pochi scontri e di fuga dei Tebani, nell'albo si narra di concetti "terra bruciata", di pochi viveri in città [9], e la conquista è, paradossalmente, più incruenta di quanto il mito ci racconti [10]

DIOMEDE
Dei onnipotenti, ancora oggi fa male RICORDARE ciò che accadde. 
Fu orribile.
Quando arrivammo sotto le mura di Tebe, il nostro desiderio di GIUSTIZIA...
... si trasformò in VENDETTA"

E giù scene di tormento e distruzione, di saccheggio e nuovo regno che nasce dalle ceneri.

Concludendo, si può dire che la storia riesce a fluire bene, nonostante sia, in effetti, una doppia storia zeppa di personaggi: Casali è riuscito a selezionare gli episodi, a dare  profondità attraverso citazioni (il ristretto spazio implicava il rovesciamento dell'aurea regola "mostrare invece che raccontare"), a dare poche vere psicologie (in realtà solo quella di Diomede), e a portare la storia dove desiderava.
Già: ma dove volevano arrivare gli autori?
Autocintandomi
Più che di attualizzazione del mito eterno, però, si può parlare di una visione attuale sul tema della guerra partendo dallo spunto mitico. E si tratta di cose diverse.

Il giudizio può apparire duro, quindi va motivato.

Il Remix del mito non può basarsi sulla semplice rilettura dello spunto. Per essere una vera rilettura del mito, deve divenire a sua volta mito, assimilare il suo linguaggio e i suoi fini, parlare delle cose fondamentali ed eterne. Nel caso dei Sette: di come nasca la guerra, non di come un singolo uomo veda una singola guerra. Di come si debba combattere per la Giustizia, per la Patria.
Qui, invece, abbiamo uno spunto banalizzato, nel senso che abbiamo personaggi e situazioni del mito che non servono per perpetuare il mito, ma, spiace dirlo, per  fare un racconto a tema moralistico\educativo per le giovani menti . E per di più di  una morale hic et nunc, atualizzata e figlia di questo presente, e ad esso limitata.
Voi direte che il mito era destinato anche a formare le menti dei ragazzi che stavano diventando uomini, proponendo una visione del mondo che doveva esere lo sfondo comune. Come si può dubitare che questo sia uno dei fini essenziali del mito?
Solo che qui il succo è che la guerra è una cosa brutta, che porta gli uomini cose a fare che non vorrebbero. La guerra come viene descritta in questo albo è troppo umana, poco archetipica.
La guerra si fa per vendetta? Bene. Ma epicamente e miticamente, nessuno si può pentire della guerra: sarebbe come dire che l'uomo non deve lottare per raggiungere qualsiasi obiettivo, non debba perseguire la giustizia.

Con questo non sto giustificando la guerra e i suoi orrori. Ma il mito non si occupa di una guerra quando racconta una guerra! Il mito e l'epica, sua figlia prediletta, narrano non una guerra, neppure quella sotto Troia, ma il Conflitto (o la Guerra con la "G" maiuscola, maiuscola che solo il mito può dare): l'uomo deve lottare per ottenere ciò che è giusto.


L'eccesso della guerra, che qui viene messo in evidenza, è trattato in modo non mitico: non è hybris, la tracotanza di andare oltre l'ordine divino, tant'è che Diomede e gli Epigoni trionfano. E' qualcosa che "umanamente" succede. Fa parte degli errori, degli orrori dell'uomo.
Ma il mito parla dell'Errore, dell'Orrore, dell'Uomo, non del singolo.

La conclusione dell'albo, poi, riporta delle dichiarazioni di Diomede che sono quanto di più anti-mitico mi sia capitato di leggere di recente: l'eroe vorrebbe che venisse cancellato anche il ricordo degli Epigoni e di ciò che hanno fatto!
Perché dico che è antimitico?
Perché il mito deve durare, prolungarsi, essere tramandato. Adattato alle nuove generazioni, ma pur sempre in una prospettiva di immutabilità ogni volta che viene narrato (e quindi mutato).
E rispettoso della sua matrice, quale che sia.

Ecco perché Diomede fa un discorso non mitico, quando chiede l'oblio: per l'eroe omerico, destinato a un mondo senza luce del sole, la gloria postuma è l'unica speranza di sopravvivenza.
Quale sarebbe il senso della scelta di Achille, altrimenti, a prescindere dai ripensamenti nell'Odissea?
A valutarlo col metro di oggi, il discorso che viene presentato in questo albo è politicamente corretto (benché anche nel mondo attuale il "ripudio della guerra" sia più una dichiarazione di intenti, una speranza che una realtà) e dà la visione della guerra che "si ritiene pedagogicamente giusta" in questo momento storico.

Ma dal punto di vista mitico, pur nella sua banalizzazione, le intenzioni di un Pacific Rim riescono ad essere ben più mitiche.


[1] nel mito greco i simboli erano sugli scudi dei due contendenti. Esigenze di chiarezza grafica, peresumo, hanno spinto gli autori a spostare sulle corazze i simboli delle due casate (che, detto così, fa molto Games of Thrones)
 
[2] nel mito i due erano giunti ad Argo in cerca di asilo dopo l'esilio, e proprio come pretendenti delle figlie.
 
[3] Tideo viene invece descritto come feroce in diversi episodi della narrazione mitica.Una versione aberrante del mito riporta come uccise brutalmente Ismene, sorella di Eteocle e Polinice, che pure era sua prigioniera. La stessa versione di Eschilo  lo vede come un superbo desideroso di battaglia. La figura di Polinice oscilla nei grandi tragici: per Eschilo è un empio che si rivolta contro la sua stessa patria, Sofocle amplia le sfumature, Euripide rovescia i tradizionali rapporti: Polinice è colui che ha perso ingiustamente la patria, suo fratello Eteocle è il tiranno.
 
[4] viene omesso il viaggio dei Sette da Argo a Tebe, funestato da cattivi presagi e dall'istituzione dei Giochi Istmici: ma un taglio era necessario per ragioni di lunghezza dell'albo.
 
[5] Casali trova la quadratura del cerchio tra diverse versioni dell'elenco Sette: i campioni sono quelli citati da Eschilo, come detto, ma Adrasto è presente alla guerra come sorta di comandante in capo presente alle operazioni ma che non scende personalmente in campo.
 
[6] la versione del mito è differente: per mostrare il suo valore Tideo sfida i campioni tebani a duelli incruenti, e li batte tutti; quando è già fuori dalla città, cinquanta Tebani gli tendono un'imboscata proprio perché lo temono, e vengono uccisi tutti tranne uno (ovvero muoiono in 49 = 7x7!). Da notare che qui Eteocle di Tebe ha quei caratteri di malvagità che in Eschilo non ha: nel nostro albo nessuno dei due figli di Edipo ha tratti positivi.
 
[7] viene così completamente eliminato il ruolo di Anfiarao nella vicenda: secondo il mito, Tideo era
Tideo e Melanippo (?) sul frontone del Tempio di Pyrgi
stato colpito a morte da Melanippo, e Anfiarao si accorse che Atena stava arrivando a salvare il suo campione e, anzi, a renderlo immortale. Così il profeta lasciò la sua porta, attaccò Melanippo e lo decapitò. Anfiarao, però, non voleva vendicare Tideo: aveva saputo del ruolo dell'eroe calidonio nella vicenda di Erifile, sapeva che anche lui sarebbe morto, e voleva vendetta. Così, consapevole della brutalità di Tideo, gli  lanciò la testa del morto; questi, disumano quanto un Cù Cuhlhain in preda al furore, spaccò il cranio al nemico e ne sorbì il cervello. Fu questo atto a disgustare Atena e a fargli abbandonare il suo campione. Ma la protezione di Atena si trasmise a Diomede, figlio di Tideo, regalandoci il canto V dell'Iliade... ovvero: un eroe può far sanguinare anche un dio olimpico!
 
[8] viene eliminata tutta la vicenda narrata nell'Antigone e nelle Fenicie, per esigenza di spazio e, immaginiamo, per rendere più "straziante" il giuramento di Diomede sul rogo del padre. In quasi tutte le versioni del mito il corpo di Tideo fu sepolto (così come quello degli altri, incluso Anfiarao nel suo particolarissimo modo); alcuni dicono a Tebe da Meone (l'unico dei 50 tebani dell'agguato che Tideo risparmiò) o a Eleusi, portatovi da Teseo. E' però vero che Evadne, moglie di Capaneo, si gettò nel rogo funebre del marito (già fulminato da Zeus). Questo episodio sembra una sopravvivenza del rito Indù (e, forse, indoeuropeo) del Sati, che ritroviamo in versione meno cruda anche nel mito del funerale di Balder.
 
[9] se una cosa ci insegnano i miti greci in merito agli assedi è che nell'età eroica quasi nessuna città cadeva per fame. Le città venivano prese per assalto, inganno (Troia) o tradimento (Megara assediata da Minosse; Roma attaccata dai Sabini alla Rupe Tarpea): le tecniche di assedio erano limitate, e anche la "terra bruciata" operata dagli Achei attorno a Troia (vedi la distruzione di un'altra Tebe, quella Ipoplacia) aveva i suoi limiti, tanto che miticamente le Troiane uscivano a lavare i loro panni al fiume e ricevettero numerosi aiuti (Reso e i Traci; Memnone e gli Etiopi; le Amazzoni di Pentesilea).
 
[10] uso il termine "paradossale" poiché il mito (anche il "posato" ed "apollineo" mito greco) non ha paura di parlare di stupri, violenza, tortura e strazi di corpi. Ma proprio nell'episodio della conquista di Tebe il mito tace su questi aspetti .


Scritto con in sottofondo "The House of Atreus Parte I" dei Virgin Steele , che sarà pure sugli Atridi, ma fa sempre molto mito!

PS. immagini e testi citati non sono miei, e qui sono riportati per puro fine di recensione. Questo blog non ha alcun fine di lucro.