I Sette a Tebe:
una interpretazione
Finalmente (dirà qualcuno) si porta a termine la lunga vicenda dei
Sette a Tebe di Eschilo, illustrata in diversi post che hanno ripreso frammenti del testo eschileo nel corso del 2013.
Perché Eschilo scrisse i
Sette a Tebe?
Siamo nel 467 a.C., l'anno della rivolta di Nasso e della progressiva trasformazione della Lega Delio-Attica da strumento di difesa contro il Persiano a strumento di dominio per Atene; nel 471 Temistocle è stato ostracizzato, e nel 469 Sparta ha sconfitto Argo, facendosi minacciosa nei confronti di Atene.
Il poeta Eschilo, guerriero a Maratona [1] narra ancora di una guerra, dopo quella cantata nei
Persiani. Racconta di una città assediata, di un nemico implacabile che avanza, delle scelte che i cittadini devono affrontare per sopravvivere. Una realtà non diversa da quella che aveva vissuto Atene nella Guerra contro Serse, e che avrebbe presto rivissuto nella Guerra del Peloponneso.
Tra le diverse tragedie eschilee, il titolo è singolare: tra quelle sopravvissute, abbiamo tragedie che si intitolano secondo il coro (
Persiani, Supplici, Coefore, Eumenidi, più i drammi satireschi dei
Pescatori e degli
Spettatori\Atleti ai Giochi Istmici) o secondo i protagonisti (
Agamennone e
Prometeo incatenato).
Frammenti e citazioni ci ricordano un
Laio, una
Alcmena, gli
Egiziani... tutti personaggi che ci aspettiamo in scena, attori o spettatori del dramma.
Ebbene: noi non vediamo in scena i Sette.
Qui non c'è la scelta fatta nei
Persiani: entrare nel campo dei nemici e vedere la loro umanità e le conseguenze della loro follia.
Le donne tebane del coro li scorgono da lontano, oltre le mura; il messaggero li ha osservati e viene a riferire; Eteocle li affronterà in battaglia.
Ma i Sette campioni argivi rimangono sullo sfondo, un'ombra inquietante e minacciosa ben più di quella di Dario o di un Serse vestito di stracci.
Perché la tragedia è quella dei Sette, allora?
Non era certamente una scelta di marketing ante litteram che pretendeva un nome famoso per attirare spettatori: bastava citare Etèocle, e l'esigente pubblico ateniese avrebbe avuto ben chiaro quale sarebbe stata la trama principale. E, nonostante tutto, in apparenza il dramma è in gran parte la tragedia di Etèocle, re di
Tebe, l'eroico difensore della patria costretto dalla sua stessa hybris a combattere contro il fratello, a portare avanti una maledizione implacabile.
Ma il titolo richiama i Sette. E' la tragedia dei Sette.
Ancora una volta: perché?
La scelta di postare su questi spazi le descrizioni dei sette campioni, e dei loro scudi, non è stata casuale.
E' stata fatta perché ritengo sia la chiave di lettura scelta per interpretare questo titolo in apparenza enigmatico.
La descrizione dei campioni avversari segue un medesimo schema, ripetuto sette volte con minime variazioni: porta attaccata, nome del campione, breve descrizione, scudo, Eteocle che fa una scelta ragionata ma sicura del capitano tebano da contrapporre, commento del coro, invocazione agli dei perché Tebe prevalga contro il nemico.
Perchè lo scudo?
La tradizione della descrizione delle armi è tipica dell'epica. Come dimenticare il meraviglioso scudo di Achille [2] o quello di Eracle [3]? La tradizione passa, appunto, per gli scudi dei Sette per culminare in quello che Vulcano fabbrica ad Enea [4].
Ma c'è una differenza tra gli scudi di questi eroi e gli scudi degli argivi: nello scudo di Achille si esaltano le creazioni dell'uomo e scene bucoliche; in quello di Enea i momenti gloriosi che attendono i romani, discendenti dell'eroe; in quello di Eracle l'orrido si alterna al bucolico, nell'esaltazione della stirpe del figlio di Zeus. Intorno a questi scudi, l'Oceano con i suoi animali.
Questi scudi rappresentano, dunque, uno specchio, un'interpretazione del mondo nei suoi aspetti positivi e negativi [5].
Lo scudo è un elemento di difesa [6], ma è anche il pezzo "propagandistico" più visibile, e che viene presentato al nemico.
E allora rivediamoli, questi scudi dei Sette, in un ordine che, salvo un'eccezione, è quello della tragedia. Dopo ciascuno descriveremo anche le caratteristiche del campione tebano che lo affronterà e il dio invocato da Eteocle come protettore.
1. Lo scudo di
Tideo. Il più basso e il più feroce dei Sette, questo Wolverine in nuce, ha un cielo stellato e una grande luna piena. Il suo scudo è definito "hupèrfron" "superbo" dal messaggero [7], ed Etèocle spiega il perché : "Quando uno muore, infatti, la notte cade sopra ai suoi occhi" [8]. Lo scudo di Tideo è una minaccia, una minaccia di morte. Ed è superbo: Tideo pensa di essere al di sopra di tutto, di poter dare la morte impunemente. E' questa la sua hybris, la presunzione di andare oltre il limite, e gli si ritorcerà contro, come previsto da Etèocle. Perché contro di lui il re di Tebe manda Melanippo figlio di Astaco e discendente degli Sparti tebani; Melanippo è "incapace di azioni ignobili", ed è mandato dalla "Giustizia del sangue". E' Ares il dio che decide chi vive e chi muore nella guerra, ma gli Sparti sono già stati risparmiati da Ares stesso.
2. Lo scudo di
Capaneo. Il bestemmiatore per antonomasia è definito "un nuovo gigante", e ha sullo scudo un uomo nudo con una torcia in mano che brandisce come un'arma, e la scritta "Brucerò la città". Nel mito greco i Giganti non sono figure positive e neppure neutrali: sono i nemici degli dei da sconfiggere. Capaneo è un gigante che attacca il kosmos ordinato degli Olimpi (e infatti bestemmia Zeus), sogna di bruciare la creazione per quanto gli è possibile, simile a un Loki o a un Surtur nordico. E' il fuoco distruttore, si crede superiore agli dei. Contro di lui, Eteocle manda Polifonte, che "ama poco cianciare, ma teso e ardente è il suo coraggio"[9]; l'eroe è protetto da Artemide, ma il legame di questa dea con gli accadimenti è poco chiaro; ma insieme alla dea cacciatrice, Eteocle invoca anche Zeus, e infatti Capaneo verrà distrutto dal fuoco "buono", il fuoco del fulmine di Zeus [10].
3. Lo scudo di
Eteoclo. Sull'arma c'è un uomo che scala le mura e una scritta che dice che neppure Ares riuscirà a buttarlo giù dalle mura. Lo scudo è simile a quello di Capaneo, e la bestemmia è simile. Lo scalare le mura ci ricorda l'orgoglio di chi infrange il "sacro cerchio", il pomerium ci verrebbe da dire, novello Remo: ed Etèoclo sarà punito da Megareo, figlio di Creonte. Non si nomina il dio protettore del campione tebano (il Coro genericamente invocherà Zeus vendicatore, invocazione che tornerà altre volte). Questo è forse il duello con meno caratterizzazioni tra tutti, e infatti Etèoclo è il campione tradizionalmente "meno rilevante", tant'è che in altri elenchi viene sostituito da Adrasto stesso o da Mechisteo [11].
4. Lo scudo di
Ippomedonte. E' lo scudo più blasfemo: in esso è rappresentato Tifone, il nemico degli dei. Contro di lui Eteocle sa che agirà per prima Atena Onca in persona, e poi l'eroe tebano Iperbio, che sul suo scudo ha Zeus folgorante, il distruttore di Tifone. A farli scontrare sarà Ermes, un altro protagonista della sconfitta di Tifone [12].
5. Lo scudo di
Partenopeo. L'eroe ha una lancia "che venera più degli dei", è figlio di due empi (
Atalanta e Melanione), e a sfregio dei Tebani sul suo scudo ha l'immagine in sbalzo della Sfinge che ha tra le grinfie un tebano; il ragazzo quasi imberbe e crudele spera che le frecce dei difensori colpiscano il disegno del tebano, così che per una magia simpatica i difensori si indeboliscano da soli. Contro di lui Eteocle manda Attore fratello di Iperbio, guerriero "che non conosce spvalderie, ma il cui braccio mira diritto all'effetto" [13]. Il re di Tebe non cita divinità particolari che intervengano in questo duello.
6. Lo scudo di
Polinice. Il fratello di Eteocle è in realtà citato come settimo campione per esigenze drammatiche, ma qui lo nominiamo prima di Anfiarao per ragioni che saranno poi chiare. Sul suo scudo "nuovo, perfetto e rotondo" c'è un guerriero condotto da una donna, ovvero Dike, la Giustizia; una scritta dice "Condurrò questo guerriero: riavrà al sua città e tornerà alla casa del padre" [14]. Contro di lui andrà Eteocle, perché questo è il destino dei maledetti discendenti di Laio, e la Giustizia sarà al suo fianco, a meno che il suo nome non sia falso.
7. Lo scudo di
Anfiarao. L'indovino biasima Tideo e Polinice, i responsabili della guerra in cui sa già che dovrà morire: biasima più i suoi alleati che gli avversari. E' l'unico del Sette a non essere empio, a non distorcere simboli sacri per scopi malvagi. E infatti il suo scudo è privo d'insegna "perché non vuole apparire, ma essere valoroso". Anfiarao è l'unico a mettere in imbarazzo Eteocle, perché non è uno dei nemici "empi, arroganti e violenti" [15]: è un avversario "saggio giusto valoroso e pio". Eteocle lo rispetta, e manda controdi lui Lastene, che sembra il compendio di tutte le virtù: "ha la mente saggia di un vecchio, ma il suo corpo è un fiore di giovinezza". Nessun dio specifico viene nominato, perché Apollo Lossia ha già parlato per mezzo dei suoi oracoli, e il destino di Anfiarao è già scritto.
Riassumendo: i Sette, attraverso i loro scudi, mostrano la loro empietà. Invocano potenze negative (Tifone, la Sfinge), o mostrano presunzione e blasfemia, o distorcono il senso della Giustizia. Solo Anfiarao non mostra nulla, perchè sa che la spedizione è condannata in partenza dagli dei proprio per la sua malvagità intrinseca.
Lo scontro tra tebani e argivi non è solo una guerra per la sopravvivenza di una città, una guerra umana: è il simbolo di un conflitto cosmico, in cui i cittadini assaliti sono le forze del bene, del kosmos voluto dagli dei, e gli assalitori i rappresentanti del male, fieri di essere tali. I Sette parlano, si vantano, fanno propaganda sperando di vincere prima con la psicologia che con le armi; i tebani
sono persone di poche parole e molti fatti, uomini virtuosi, rispettosi
degli dei e per questo dagli dei favoriti.
Lo scudo di Achille e quello di Eracle sono scudi che raffigurano il mondo: il fatto che il bordo sia rappresentato dall'Oceano che, secondo Omero circonda l'Oikoumène, la terra abitata dagli uomini, è significativo. Un mondo ordinato dagli dei, in cui compare anche il male, il disordine, ma sotto un ordine superiore.
Gli scudi dei Sette sono scudi "individualisti", malvagi. Non mostrano elementi positivi, costruttivi, eccetto quello di Polinice che, però, ci viene detto essere una deformazione della realtà, una parodia della vera Giustizia.
Non sono il kosmos: sono un'empia minaccia al kosmos.
Ecco perchè questa è la tragedia dei Sette.
I Sette non sono in scena, lo ripetiamo. Ma senza i Sette non ci sarebbe il dramma.
Non solo perché sono il motore dell'azione, ma perchè rappresentano la minaccia del caos, del ritorno al disordine che è insito in ogni vicenda umana. Questa tragedia non racconta la fondazione di un culto o di un ordine, ma la minaccia dell'ordine stesso: non narra di ciò che è stato fatto per sempre, ma di ciò che per sempre sarà a rischio.
Ecco perché il titolo parla dei Sette. Ecco perché è la tragedia più "umana" e "contemporanea i suoi tempi" di Eschilo. Più ancora, paradossalmente, dei Persiani.
Prima gli eroi, e poi i comuni cittadini della Polis devono affrontare queste "forze oscure", queste minacce che possono distruggere il kosmos. Non è solo e non è tanto la tragedia di Eteocle che deve salvare la patria anche a costo di dare un nuovo giro alla ruota della maledizione: è la tragedia di ogni uomo minacciato, che deve scegliere di contrapporsi al male; non è una tragedia sul concetto astratto di colpa, ma una tragedia sul concetto concreto di pericolo.
[1] secondo la tradizione, Eschilo volle che sul suo cippo funerario fosse ricordato solo questo fatto con queste parole
"Eschilo,
figlio di Euforione, ateniese, morto a Gela produttrice di grano,
questo monumento ricopre: il bosco di Maratona potrebbe raccontare il
suo glorioso valore, e il Medo dalle lunghe chiome, che lo conosce."
Non una parola sulla sua poesia immortale.
[2] Omero, Iliade, XVIII, 478-607
[3] Ps. Esiodo, Scutum
[4] Virgilio, Eneide, VIII, 626-731
[5] Vedi un prossimo post... ah!, la costanza che manca!
[6] In nessuno degli scudi mitici si fa accenno a un umbone
[7] "Superbo" non nel senso positivo di "opera superba" come si può trovare in italiano, ma "altezzoso, d'animo altiero"
[8] Eschilo, Sette a Tebe, 403 segg.
[9] Eschilo, Sette a Tebe, 447 segg
[10] Avendo tempo, si potrebbe parlare di Evadne, moglie di Capaneo che si
butta nel rogo del marito (già bruciato); e confrontare questo col
suttee indù, la dea Sati, la fiamma che annichilisce Semele...
[11] Uno degli Epigoni, Eurialo, è indicato come suo figlio; nei diversi elenchi degli Epigoni non risulta citato un figlio di Etèoclo, salvo errori.
[12] Assieme a Pan.
[13] Eschilo, Sette a Tebe, 556
[14] Eschilo, Sette a Tebe, 647
[15] Eschilo, Sette a Tebe, 610 e segg.
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